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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Opinione - Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.01.2008 Ancora sulla mancata visita dell'imam alla sinagoga di Roma
una cronaca e un'intervista a Renzo Gattegna

Testata:L'Opinione - Corriere della Sera
Autore: Dimitri Buffa - Paolo Brogi
Titolo: «Consigli dall’Egitto - «Dobbiamo reagire ai sentimenti di chiusura»»
Dall'OPINIONE del 23 gennaio 2008:

Tanta acqua sul fuoco. E’ questa la parola d’ordine in seno alla comunità ebraica romana dopo lo smacco della “per ora mancata visita” dell’imam della grande moschea della capitale alla Sinagoga di Lungotevere de’ Cenci. Ieri un’intera conferenza stampa del rabbino capo Riccardo Di Segni è stata dedicata a ricucire il dialogo annodato con anni di annusamento reciproco sotto la regia del sindaco Walter Veltroni che da tempo si è fatto promotore e garante dell’avvicinamento tra ebraismo e islam almeno nella capitale. Peraltro lo stesso sindaco di Roma da circa un anno ha fatto editare insieme all’assessore alle politiche dell’integrazione e della multietnicità Franca Eckart Cohen una rivista quadrimestrale che ospita regolarmente articoli sia del segretario della moschea, il marocchino Abdallah Redouane, sia del rabbino capo di Roma e di altri esponenti della comunità ebraica locale. Tutti un po’ melensi, magari, ma almeno nel segno della tolleranza e del rispetto reciproco. Non a caso il titolo della rivista è allo stesso tempo un vero e proprio progetto di dialogo: “Conoscersi per convivere”.

Naturalmente tutto ciò può anche essere visto come tipicamente veltroniano. Ma ieri le marce indietro su questa gaffe targata Al Azhar, e quindi Fratelli mussulmani, sono state tante, e tutte convergenti. La più importante è stata quella dell’ambasciatore d’Egitto in Italia, Ashraf Rashed, che ha negato alcun interesse egiziano a far saltare il dialogo interreligioso tra ebrei e islamici in Italia. E ha anzi affermato che “la grande moschea di Al Azhar non interferisce nell’amministrazione del Centro culturale islamico a Roma e non interviene in nessun arrangiamento relativo alle visite che vengono effettuate dai responsabili del Centro”. Rashed sostiene inoltre che “Al Azhar non ha preso alcuna posizione in relazione alla visita alla sinagoga ebraica di Roma. Quanto è stato fatto risalire da parte di alcuni quotidiani ad Al Azhar è totalmente privo di fondamento veritiero”.

Gli si può credere? Ieri Abd al-Fattah Allam, esponente di spicco di Al-Azhar, aveva dichiarato che generalmente ad al Azhar viene adottata “una posizione positiva nei confronti delle iniziative di dialogo interreligioso”, ma che “quello tra Islam ed Ebraismo non è contemplato finché non saranno restituiti i propri diritti a chi ne è titolare”. Una frase ambigua, al limite con l’anti semitismo anche nel voler deliberatamente confondere gli ebrei romani con i problemi politico-militari di Israele, Egitto e Gaza. E qualcuno aveva parlato di telefonate concitate tra Al Azhar e l’imam Al Eldin Mohamed Ismail al Gobashi della grande moschea di Roma proprio a causa del precipitare della situazione umanitaria e terroristica nella Striscia. Ieri, un po’ fuori tempo massimo, è arrivata anche la smentita del segretario amministrativo e culturale della Moschea di forte Antenne, Abdallah Redouane, che ha addotto abbastanza credibili motivi organizzativi alla coincidenza dell’annuncio del rinvio con le ambigue parole provenienti dall’Egitto.

Dove non è un mistero che la pace fredda con Israele di questi tempi sta diventando glaciale. Redouane viene considerato un vero e proprio “veltroniano” sia all’interno del suo entourage sia fuori. E da quando era stata preparata questa storica visita aveva visto crescere esponenzialmente le adesioni di quelli che non volevano perdersi l’evento. Prima nove, poi quindici, infine venticinque. Un po’ troppi forse. E potevano in effetti esserci motivi di sicurezza che sconsigliavano di effettuare la visita proprio oggi. Però ha stupito tutti quel tempismo tra il veto di Al Azhar e la richiesta di rinvio per “impraticabilità del campo.” Così ora non resta che andare a vedere le carte, come ha suggerito il sindaco Veltroni, che ieri si è proposto come mediatore della crisi. E quindi riprogrammare a giorni, l’ideale sarebbe per il 27, giorno della memoria dell’Olocausto, l’incontro. E l’assist di Veltroni sembrava fatto apposta per aiutare il rabbino capo di Roma nella conferenza stampa a enunciare analoghi concetti sia pure con il beneficio d’inventario. “Vogliamo credere che siano queste le ragioni che hanno determinato questa speriamo temporanea battuta d’arresto” – ha detto il rabbino - “e ho fiducia che l’evento possa verificarsi”.

“Però - ha sottolineato - dall’Egitto giungono segnali inquietanti che non si possono ignorare”. Il che implica che se Di Segni vuole credere a Redouane in nome del comune impegno nella rivista quadrimestarle voluta da Veltroni e dalla Eckart Cohen ciò non implica che la comunità ebraica debba “per forza” anche credere alla nota ufficiale un po’ di circostanza dell’ambasciata d’Egitto in Italia. D’altronde Ashraf Rashed è un diplomatico di lungo corso ma anche un bel po’ ambiguo. Poche settimane fa, fu preso di mira dai suoi connazionali di religione cristiano copta immigrati nel nostro paese che gli suggerirono di non andarli più “ipocritamente” a visitare per Natale, “quando in Egitto la nostra confessione religiosa viene perseguitata dagli estremisti islamici dei Fratelli Musulmani, con le forze di polizia e il governo che fanno finta di non vedere”. Purtroppo questo tipo di ambiguità sono un po’ la regola tra i politici del mondo arabo (e anche in Italia non si scherza) e quindi il lieto fine su questa vicenda è ancora tutto da scrivere.

Dal CORRIERE della SERA, un'intervista a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche in Italia:

ROMA — «Se sembrano prevalere sentimenti di chiusura bisogna reagire rilanciando ragioni d'incontro...». Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche in Italia, sostiene che non ci sono alternative: il futuro è condivisione.
Incontrarsi come?
«Non certo aprendosi indiscriminatamente, ma con chi crede negli stessi principi di libertà. Questa era l'ispirazione per l'incontro in Sinagoga, che spero solo rinviato. Ma andiamo oltre. Vorrei che da Roma venisse lanciato dai rappresentanti delle grandi religioni monoteiste, e da tutti gli uomini che sentono di poterlo condividere, un appello per rivalutare i principi di libertà di coscienza, di pensiero e di religione».
Con quali punti di riferimento?
«La Carta dei Valori elaborata dalla commissione del ministero dell'Interno.
Contiene i temi più impegnativi per chi vuole convivere e integrarsi. Quella Carta può appianare contrasti. Abbiamo la base, mobilitiamoci su questa».
Intanto c'è però questa battuta d'arresto per l'incontro previsto tra ebrei e musulmani.
«Spero sia solo un fatto contingente, momentaneo. Se ci sono state ingerenze esterne, allora bisogna chiedere con forza che cessino immediatamente. Tutte le nostre azioni sono finalizzate ad evitare presupposti per guerre di civiltà e guerre di religione».

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