Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
L'ideologia smentita dai fatti a proposito della visita di Bush in Egitto: confronto tra quotidiani
Testata:L'Unità - Corriere della Sera Autore: Umberto De Giovannangeli - Ennio Caretto Titolo: ««Medio Oriente senza diritti ma Bush aiuta regimi dispotici» - Bush incontra Mubarak: «Riforme e diritti umani»»
Da L'UNITA' del 17 gennaio 2008, un intervista di Umberto De Giovannangeli alla scrittrice femminista egiziana Nawal El Sadat, ostile ai fondamentalisti ma non alla loro ideologia antiamericana e antisraeliana. Segnaliamo il passaggio nel quale El Saadawi afferma che nella sua visita in Egitto Bush "ha sorvolato sul tema delle libertà e dei diritti osteggiati dal potere in Egitto". E' falso, come i nostri lettori possono verificare nella cronaca di Ennio Caretto che riprendiamo più in basso, dal CORRIERE della SERA. Perché u.d.g. non lo fa notare ? Forse perché condivide i pregiudizi della sua interlocutrice ? Ed'è proprio per questo che ha scelto di intervistarla, continuando invece a ignorare quei dissidenti del mondo islamico che riconoscono il ruolo degli Stati Uniti nella promozione della democrazia del mondo e gli effetti nefasti sulle stesse società arabe e musulmane dell'ideologia del rifiuto di Israele ?
Ecco il testo:
«Il mio “no” a George W. Bush è forte e chiaro, e non ha nulla a che vedere con quello dei fondamentalisti. Non sarà certo il signor Bush a garantire nel mondo arabo i diritti, in particolare quelli delle donne. Quei diritti potranno affermarsi solo se crescerà un movimento dal basso, fatto di associazioni, Ong, in una parola, se crescerà la società civile; una crescita vista come una minaccia mortale non solo dagli integralisti ma anche da quelle élite al potere che gli Stati Uniti hanno sempre protetto». Nel giorno (ieri, per chi legge) in cui George W.Bush è giunto in Egitto, ultima tappa del suo tour mediorientale, la parola va a Nawal El Saadawi, 76 anni, la scrittrice femminista egiziana più conosciuta e premiata al mondo. Per essere stata la scrittrice che ha caratterizzato maggiormente il movimento femminista nel mondo arabo e musulmano, Nawal El Saadawi ha pagato a caro prezzo il suo impegno a favore della liberazione delle donne. Il suo primo libro, «Women and sex» , pubblicato nel 1972, un inno di battaglia contro la circoncisione femminile, le costa la cacciata dal Ministero della Sanità e la persecuzione delle autorità religiose. Da allora scrittura e impegno civile divengono per lei inseparabili e si traducono in alcuni tra i libri più scioccanti scritti sull’oppressione delle donne arabe. Viene arrestata e imprigionata, senza processo, nel 1981, assieme a 1600 esponenti politici e intellettuali egiziani, e rilasciata solo dopo l’assassinio del presidente Anwar el Sadat. A metà degli anni Novanta è costretta all’esilio perché il suo nome compare nella lista della morte di un gruppo fondamentalista; la «colpa» di cui si è macchiata agli occhi dei «giustizieri di Allah» è quella di avere offeso la religione con i suoi romanzi sul sesso e sulle libertà individuali non contemplate dalla «sharia», la legge islamica. Nel 2001, l’ennesima persecuzione: solo una grande mobilitazione internazionale la salva da un processo per apostasia e dal divorzio coatto chiesto, contro la volontà sua e di suo marito, da un avvocato integralista. Avversata dai jihadisti, mal tollerata dall’establishment politico-militare al potere in Egitto, Nawal El Saadawi è una figura scomoda anche l’ l’Occidente. Di ciò, ne dà conto in questa intervista a l’Unità. Il presidente degli Usa George W.Bush è in Egitto per rafforzare l’alleanza con i leader arabi moderati in funzione anti-iraniana. «Davvero non riesco proprio a pensare al signor Bush come un mio alleato. Semmai, con la scellerata guerra in Iraq e con l’acritico sostegno americano a Israele, Bush ha fornito agli integralisti altre armi di propaganda che sono servite per rafforzare le loro fila». Un j’accuse pesante... «Ma fondato, Non parlo per avversione ideologica, ho sperimentato personalmente a cosa possa portare il fanatismo e il pregiudizio ideologico. No, la mia accusa agli Stati Uniti è di segno opposto: è di aver messo tra parentesi diritti e libertà quando si è trattato e si tratta di difendere i propri interessi in Medio Oriente e nel mondo. Ciò che imputo al signor Bush e a tanti altri leader occidentali è la loro ambiguità, la loro "doppia morale". Ciò che imputo loro è l’ipocrisia colpevole di chi ha sostenuto e sostiene regimi dispotici, corrotti, perché rappresentano il "male minore" rispetto allo spauracchio fondamentalista, finendo così per ottenere il risultato opposto: l’affermarsi dell’Islam radicale come disperata ricerca di identità». Un’amara considerazione… «Le cui conseguenze ho sperimentato sulla mia pelle. E come me, tantissime donne e uomini che continuano a battersi per una società, oltre che uno stato, di diritto. Se dovessi incontrare il signor Bush gli direi che se l’America intende davvero favorire la democrazia nel mondo arabo non ha bisogno di bombe, cannoni, eserciti. La democrazia non la si impone con la forza». Come agire allora? «Molti di questi regimi, penso ad esempio all’Egitto, vivono grazie agli aiuti, al sostegno economico e militare dell’Occidente. Ebbene, si dovrebbero vincolare questi aiuti e la cooperazione al rispetto dei diritti umani, delle libertà individuali e collettive. E tra i diritti da vincolare ci sono quelli legati alla condizione della donna». Come difendersi dalla deriva integralista? «Non certo perseguendo la folle linea delle "guerre preventive", ieri in Iraq domani in Iran…Dall’oscurantismo fondamentalista ci si difende promovendo innanzitutto la crescita della società civile. E’ questo un passaggio cruciale nell’affermazione di una democrazia sostanziale; altro che l’imposizione dall’esterno, con la forza, di una democrazia made in Usa. Una cosa è certa: il futuro del Medio Oriente, un futuro all’insegna dei diritti, non potrà essere garantito da quei dittatori, da quei regimi feudali e religiosi che marchiano, ingabbiandola, la nostra Regione. Quei regimi che purtroppo continuano a godere del sostegno dell’Occidente…». Tra questi regimi lei annovera anche quelli moderati? «Saranno "moderati", o per meglio dire compiacenti, verso gli interessi americani, ma non certo "moderati" nel negare diritti fondamentali della persona. Si imprigionano persone per reati di opinione, si chiudono i pochi giornali indipendenti, si cerca di affossare con ogni mezzo la crescita della società civile. Ma su questa vergogna George W.Bush non ha nulla da eccepire. Se c’era bisogno di una riprova l’abbiamo avuta oggi (ieri, ndr.): nell’incontro con Mubarak, Bush ha sorvolato sul tema delle libertà e dei diritti osteggiati dal potere in Egitto, e lo stesso ha fatto in Arabia Saudita, preferendo dismettere i panni - a lui invero molto stretti - di paladino della democrazia per vestire quelli di piazzista d’armi».
Ecco il testo di Caretto:
SHARM EL SHEIKH — Il presidente Bush si è congedato dal mondo dell'Islam richiamandolo fermamente al rispetto dei diritti umani. Al termine del suo viaggio di otto giorni nel Golfo Persico e in Medio Oriente, Bush ha sollecitato i regimi arabi ad accelerare le lente riforme politiche, economiche e sociali. Dall'ultima tappa, l'Egitto, il Paese da lui designato nel 2005 «vetrina della democrazia», li ha ammoniti che non possono fermare «i movimenti per la libertà e la giustizia». Ma ha evitato critiche dirette all'ospite Hosni Mubarak, uno dei pochi leader musulmani ad appoggiare incondizionatamente il suo piano di pace tra israeliani e palestinesi, dicendosi invece certo che l'Egitto «abbia un importante ruolo da svolgere in futuro». Il presidente ha sottolineato che «i passi avanti» sono dovuti «a giudici indipendenti, giornalisti, blogger», un implicito rimprovero al governo per averli ostacolati. Bush ha trascorso con Mubarak solo tre ore. Ma ha ottenuto ciò che voleva, l'impegno del presidente egiziano a mediare per la firma di un trattato tra israeliani e palestinesi entro l'anno: «Ha capito che faccio sul serio». La tappa è servita al presidente anche per proclamare successo in Iraq e diffidare «Iran, Siria e i loro alleati» dall'interferire in Libano. È dubbio tuttavia che Bush raggiunga gli obiettivi prima della scadenza del suo mandato: la Palestina, l'Iraq, il Libano e il rispetto dei diritti umani sono tutte questioni che trasmetterà probabilmente al successore.
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