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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Il Riformista Rassegna Stampa
17.01.2008 Quando i commenti entrano nella cronaca
Stabile e Caridi sulle dimissioni di Avigdor Lieberman

Testata:La Repubblica - Il Riformista
Autore: Alberto Stabile - Paola Caridi
Titolo: «L´ultrà Lieberman lascia Olmert»

Alberto Stabile su La REPUBBLICA del 17 gennaio 2008 scrive delle dimissioni del ministro israelaino degli Affari Strategici,   Avigdor Lieberman, leader  del partito  Ysrael Beitenu.
Spiegando la posiszione politica di Lieberman commenta:
 "l´opposizione di Lieberman al processo di pace era cosa arcinota, così come le sue idee irrealistiche secondo cui la pace dovrebbe arrivare da uno scambio di territori e di popolazioni, di fatto, costringendo un milione e 200 mila cittadini arabi-israeliani ad emigrare sotto la sovranità dell´Autorità palestinese, cosa che non hanno alcuna intenzione di fare".
Anche i coloni israeliani non hanno intenzione di abbandonare gli insediamenti in Cisgiordania, ma Stabile non definisce "irrealistica" l'idea del loro trasferimento in Israele.
Il problema, dunque, sembra non essere affatto il "realismo", ma la preferenza ideologica di Stabile per la soluzione "territori in cambio di pace" rispetto a quella dello "scambio di territori" .

Ecco il testo:


GERUSALEMME - S´infiamma il confine di Gaza. Ma l´improvviso innalzamento della tensione al sud non ha impedito che Ehud Olmert perdesse ieri un pezzo della coalizione di governo. Come aveva minacciato, nel caso in cui il premier israeliano avesse deciso di aprire un negoziato coi palestinesi sui problemi-chiave del conflitto, Avigdor Lieberman, detto Yvette, leader indiscusso del partito Ysrael Beitenu e ministro per gli Affari Strategici, ha consegnato ieri la lettera di dimissioni al capo del governo e ha trascinato il suo partito fuori dalla maggioranza.
Questo non implica l´apertura di una crisi politica. Almeno, non ora. Nonostante l´abbandono di Lieberman il governo gode, infatti, di un margine di 67 deputati su 120. Né si può dire che le dimissioni del ministro per gli Affari Strategici siano tali da mettere in discussione la strategia elaborata da Olmert e benedetta da Bush durante la recente visita del presidente americano.
L´opposizione di Lieberman al processo di pace era cosa arcinota, così come le sue idee irrealistiche secondo cui la pace dovrebbe arrivare da uno scambio di territori e di popolazioni, di fatto, costringendo un milione e 200 mila cittadini arabi-israeliani ad emigrare sotto la sovranità dell´Autorità palestinese, cosa che non hanno alcuna intenzione di fare. «Il concetto di terra in cambio di pace è fuori questione - ha ribadito Lieberman -. Il principio deve essere lo scambio di territorio e di popolazione. Il nostro problema non è con i palestinesi, ma con gli arabi israeliani».
Le sue dimissioni appaiono, dunque, salutari, perché riducono il tasso di ambiguità sulle reali intenzioni di pace del governo. Senonché lo strappo di Lieberman, se apparentemente non mette in pericolo la maggioranza, sicuramente contribuisce ad indebolire la figura di Olmert, il quale, a fine mese, dovrà fronteggiare una prova ben ardua. Il 30 di gennaio, la Commissione Winograd sul fallimento della seconda guerra del Libano (estate del 2006), fortemente e frettolosamente voluta da Olmert, consegnerà le sue conclusioni. La fretta con cui Olmert è corso alla guerra contro gli Hezbollah (un atteggiamento che i Commissari hanno criticato nel loro primo rapporto provvisorio) sembra rispecchiarsi nell´urgenza con cui il vertice israeliano ha deciso d´innalzare il livello dello scontro con Hamas. Anche qui Israele può invocare un casus belli. Ma se finora Hamas aveva osservato una sorta di tregua unilaterale, lasciando che fosse la Jihad a continuare i suoi attacchi missilistici, ora il movimento islamico sembra aver rotto gli indugi.
Le conseguenze peggiori di questa svolta sembrano ricadere sul negoziato per il rilascio del caporale Gilad Shalit, rapito nel giugno del 2006 e tuttora ostaggio delle milizie islamiche a Gaza. Se negli ultimi giorni le trattative avevano fatto registrare progressi di cui avevano parlato anche i giornali israeliani, adesso «non ci sarà nessuno scambio di prigionieri riguardante Gilad Shalit, nessuna tregua, niente di niente», ha minacciato da Damasco il leader di Hamas in esilio, Khaled Mashal. A riprova del coinvolgimento diretto di Hamas nel conflitto, ieri oltre 40 razzi Qassam sono piovuti su Sderot, nel Negev. Le forze armate israeliane hanno proseguito la loro offensiva, uccidendo il capo militare della Jihad islamica in Cisgiordania, Walid Obeidi, ma a Gaza hanno clamorosamente mancato il bersaglio. In un bombardamento aereo diretto contro una cellula della Jihad sono stati uccisi tre civili.

Per Paola Caridi, che pubblica sul RIFORMISTA  Lieberman propugna il "trasferimento della popolazione araba nei territori controllati dall'Autorità nazionale palestinese" e ha sferrato un attacco frontale contro gli arabi israeliani.
In realtà Lieberman ipotizza di trasferire  territori a maggioranza araba dalla sovranità israeliana a quella palestinese, non l'espulsione della popolazione.
Il fatto che abbia dichiarato che " il vero «pericolo» non sono Khaled Meshaal e Hassan Nasrallah, ma alcuni dei nomi più importanti dei deputati arabi alla Knesset" deve essere compreso alla luce della posizione radicalemente antisionista di questi deputati, che negano il diritto di Israele ad esistere come Stato ebraico.

Ecco il testo:

Gerusalemme. Le dimissioni erano annunciate. Le ragioni erano più che conosciute. La vera notizia sta nel modo in cui Avigdor Lieberman ha reso pubblico, ieri, il ritiro del suo nuovo partito dell'immigrazione russa, Ysrael Beitenu, dalla coalizione che sostiene il governo Olmert. Altro che questioni cruciali, le cosiddette core issues , Gerusalemme, frontiere definitive, rifugiati. Queste dovevano essere le ragioni alla base di una rottura che Lieberman, astro nascente della destra israeliana, aveva minacciato da tempo. Alle core issues del negoziato israeliano-palestinese, benedetto pochissimi giorni fa dallo sponsor più importante, George W. Bush, il capo di Ysarel Beitenu ha dedicato veramente poco spazio, per esprimere la sua contrarietà di fondo.
Molta più verve, invece, ha usato Lieberman per andare al cuore della questione, e ai veri pilastri del suo programma politico. La ricetta di colui che ha rappresentato la novità alle ultime elezioni politiche, è semplice: trasferimento della popolazione araba nei territori controllati dall'Autorità nazionale palestinese, no al ritiro sulla linea pre-1967, scambi di territori e persone per arrivare realmente a due stati per due popoli. E non, come dice lui, a uno stato e mezzo per i palestinesi, e mezzo stato per gli israeliani ebrei.
Di per sé, niente di nuovo. La questione degli arabo-israeliani, dei palestinesi con passaporto israeliano, è sempre stata presente nel programma di Ysrael Beitenu, così come nella retorica colorita di Lieberman. Ma un attacco così frontale e così complessivo non c'era mai stato, sinora. Non fino al punto da dire che, per Israele, il problema non sono i palestinesi, bensì gli arabo-israeliani. E che il vero «pericolo» non sono Khaled Meshaal e Hassan Nasrallah, ma alcuni dei nomi più importanti dei deputati arabi alla Knesset.
Avigdor Lieberman, dunque, ha tolto qualsiasi fronzolo alla sua retorica, e ha deciso l'attacco frontale contro gli arabi-israeliani che rappresentano circa un quinto della popolazione di Israele. Un attacco che tocca corde sensibili dentro le varie componenti della destra israeliana, compresa - ma non soltanto - quella dei coloni. E che non ha suscitato grande clamore nella politica israeliana. A parte la reazione di Ahmed Tibi, uno dei deputati della Knesset citati dal capo di Ysrael Beitenu, che ha definito Lieberman «peggio di Jorg Haider».
Nel "palazzo" politico si tace sostanzialmente su Lieberman e il suo eloquio razzista. E si fanno letteralmente i conti. Senza gli undici deputati di Ysrael Beitenu, il governo Olmert ha una maggioranza di appena 67 rappresentanti della Knesset. Una manciata di voti contrari su di una legge, e il governo non va solamente in minoranza. Parte la macchina delle elezioni anticipate. Ancora una volta.
Le prospettive sono, a questo punto, diverse. La prima, rafforzare numericamente la coalizione (ma quanto dal punto di vista della omogeneità?) attraverso l'inserimento di nuovi alleati. Che potrebbero essere addirittura di diversissimo colore, dal piccolo partito religioso dello United Torah Judaism alla sinistra pacifista rappresentata dal Meretz. La seconda possibilità, è quella di rimanere con una maggioranza risicata e attendere che passi il ciclone Winograd.
Le dimissioni di Lieberman e dei suoi è, infatti, giunta (casualmente?) due settimane prima della pubblicazione del rapporto definitivo della commissione Winograd sulla condotta del governo e delle forze armate durante la guerra con il Libano dell'estate 2006. Un rapporto definitivo che si prevede durissimo, e che rischia di indebolire Ehud Olmert al punto di costringerlo a dimettersi. E se anche Olmert decidesse di non lasciare la carica di premier, il rapporto Winograd potrebbe costringere Ehud Barak a fare un passo indietro. Come aveva promesso, e come peraltro gli chiede una parte del suo partito, il Labour.
È proprio la posizione dei laburisti, paradossalmente, la più delicata. Tra le ambizioni per nulla nascoste di Barak, c'è quella di (ri)candidarsi alle elezioni, anticipate o meno. Barak, però, teme di perdere ancor più consensi, oltre quelli già persi alle precedenti consultazioni, nel caso non dividesse il proprio destino da quello di Olmert. E poi, i sondaggi parlano chiaro. In caso di elezioni anticipate, Barak non avrebbe partita vinta. Prima di lui, e molto distaccati, ci sono Benyamin Netanyahu e l'attuale ministro degli Esteri, Tzipi Livni, consolidata dentro il Kadima.


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