Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Elena Loewenthal Scrivere di sé. Identità ebraiche allo specchio 16/01/2008
Scrivere di sé. Identità ebraiche allo specchio Elena Loewenthal Einaudi, pagine 93, e 14,50
N on suonasse come una sorta di ironica blasfemia, verrebbe da sorridere osservando che con Scrivere di sé. Identità ebraiche allo specchio (Einaudi, pagine 93, e 14,50) Elena Loewenthal ha davvero fatto suo il popolare principio per cui «non si butta mai via niente, come nel maiale». Arrivata forse a una svolta nell'affascinante cammino attraverso le parole e i segni e le magie del millenario alfabeto, la 48enne studiosa, scrittrice, esegeta, traduttrice torinese sembra avere voluto mettere un punto che segni, a un tempo, ciò che ha dato e ciò che ha avuto dalla decennale attività — ma meglio sarebbe dire esistenza — di ebraista. Gli studi di Torà, la passione per l'umorismo e lo jüdischer Witz, l'eccellenza e poi il primato nella traduzione dell'Israele letteraria, un po' di divulgazione rivolta ai figli e agli amici non ebrei, un mettersi generosamente in gioco per mezzo del romanzo, l'orgoglio perenne di essere donna moderna e donna della Bibbia. La somma di tutto ciò è, per Elena Loewenthal, vivere l'identità che ha bisogno di parlare di sé. «Guardarsi allo specchio, darsi un nome, un colore è il modo per scendere a patti con quella cosa scomoda e dolorosa che è l'essere ebrei. Una cosa bella finché si vuole, piena di storia e di vocazione, unica. Ma così difficile da portare che ogni tanto viene voglia di accompagnare Umberto Saba nel suo percorso di beneficenza: aiutare gli ebrei a non sentirsi — a non essere? — più tali». Scrivere di sé parla di identità allo specchio. Di Ezechiele e di Philip Roth, di Saba e di Amos Oz, Arthur Miller, Saul Bellow, Yaakov Shabtai e Paul Celan, e di Elena Loewenthal. Come sa fare lei. Con il suo linguaggio. «L'ebraico è una lingua antica. Non ha dimestichezza con l'astrazione, è molto avara di proverbi, ha svariate parole per dire "silenzio": anche questo è un segno della sua propensione alla concretezza. È una lingua corporea, fatta non di simboli ma di cose. Dotata di una straordinaria onomatopea del significato: l'ebraico parla da sé». Così, in queste pagine, nel medesimo specchio si riflettono e chiacchierano — fors'anche talvolta ridacchiano — scrittori e profeti, ebrei di ogni varietà e grandezza. E sopra, a mezz'aria, piccola piccola e un poco chagalliana, a guardare e raccontare lo spettacolo c'è lei, Loewenthal.
Stefano Jesurum Corriere della Sera del 16 gennaio 2008