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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
14.01.2008 Passaporto palestinese a Daniel Barenboim
due cronache a confronto

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Davide Frattini - Alberto Stabile
Titolo: «Barenboim: un onore ricevere il passaporto palestinese - Il miracolo di Beethoven Barenboim cittadino palestinese»
Dal CORRIERE della SERA del 14 gennaio 2008, una corretta cronaca di Davide Frattini sulla "passaporto palestinese" attribuita a Daniel Barenboim Sulla vicenda segnaliamo anche l'articolo di Deborah Fait pubblicato da Informazione Corretta:

Ha accettato il passaporto di uno Stato che ancora non c'è, su proposta di un governo dissolto nella violenza sette mesi fa. Come il nome della sua orchestra, Eastern-Western Divan, Daniel Barenboim prova a incrociare le identità. Israeliano di origine argentina, porta adesso in tasca anche un documento emesso dall'Autorità palestinese, potrà viaggiarci in un centinaio di nazioni. «Ricevere questo passaporto — commenta il direttore d'orchestra — è per me un grande onore. Sono convinto che i destini del popolo palestinese e di quello israeliano siano legati in modo inestricabile. Siamo benedetti o condannati a vivere insieme. Io preferisco essere benedetto».
Sabato sera, nel freddo di Ramallah, Barenboim ha eseguito al pianoforte le sonate di Beethoven. «Questa musica deve non solo servire a suscitare piacere, a far dimenticare il mondo per un po', ma anche e soprattutto a comprenderlo». Considera «speciale» suonare nella città palestinese: «Mi auguro che col tempo i concerti diventino sempre meno speciali, che la musica classica si possa gustare a Ramallah e in tutta la Palestina».
Il passaporto — da aggiungere a quelli argentino, israeliano, spagnolo che già possiede — lo stava aspettando. Preparato dal governo di unità nazionale, sciolto dal presidente Abu Mazen dopo gli scontri fratricidi nella Striscia di Gaza. Barenboim ha deciso di accettare, anche se l'esecutivo era allora guidato da Ismail Haniyeh, leader di Hamas, il movimento fondamentalista inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche decisa dall'Unione Europea. Barenboim è un personaggio controverso in Israele. Per i duri attacchi contro l'occupazione dei territori («ora anche le persone non molto intelligenti dicono che deve finire», ha commentato riferendosi a George W. Bush, presidente americano). E per aver suonato Richard Wagner a Gerusalemme, sette anni fa. La musica del compositore tedesco, amata da Adolf Hitler, è tutt'ora messa al bando dalle radio pubbliche. Alla guida della Berlin Staatskapelle, Barenboim aveva inserito nel programma parte del Tristan und Isolde, che ha diretto per l'apertura della Scala, a Milano. Dopo le proteste dei sopravvissuti all'Olocausto, aveva accettato di sostituire Wagner per poi decidere di proporlo alla fine del concerto, invitando chi non avesse voluto restare ad andarsene.
Il recital a Ramallah è stato organizzato dalla Fondazione Barenboim-Said, che ha fondato con l'intellettuale palestinese Edward Said. Con la Eastern-Western Divan Orchestra, vuole riunire talenti musicali israeliani, arabi, palestinesi ed europei. Fra loro, Ramzi Aburadwan, cresciuto nel campo profughi di Al Amari. Ancora bambino, oltre vent'anni fa, era diventato il simbolo della seconda intifada: una foto lo ritrae mentre scaglia pietre contro i blindati israeliani. La musica (e la viola) lo hanno allontanato dal destino che sembrava congelato in quell'immagine.

Alberto Stabile su REPUBBLICA esalta acriticamente Barenboim, in contrasto con i suoi connazionali israeliani. Dei quali sfida le "ire" dedicandosi "ad un genere a lungo trascurato: aiutare i palestinesi a migliorare la loro vita negletta".

In realtà, tutto il mondo, da anni, invia spreca un enorme quantità di denaro, divorato dalla corruzione e dal terrorismo,  nel tentativo di migliorare la vita dei palestinesi. Non si tratta certo di un "genere a lungo trascurato".
E le critiche rivolte a Barenboim in Israele non riguardano la sua (vera o presunta) sensibilità umanitaria, ma il suo prestarsi alla propaganda contro il suo paese, coltivando anche amicizie con intellettuali palestinesi oltranzisti e filo-terroristi come Edward Said.

Ecco il testo dell'articolo:

«Come avete sentito, sono il primo e unico cittadino israeliano ad avere anche un passaporto palestinese. Considero un grande onore averlo ricevuto». Si trattasse di un artista straniero qualunque, la cosa passerebbe sotto silenzio. Ma Daniel Barenboim non è soltanto il grande pianista e direttore d´orchestra che conosciamo.
Da almeno dieci anni, sfidando le ire di molti compatrioti, si dedica ad un genere a lungo trascurato: aiutare i palestinesi a migliorare la loro vita negletta. È giocoforza aspettarsi che, dopo aver ricevuto la cittadinanza onoraria del «nemico», per i meriti acquisiti nel diffondere la musica in Palestina, un´ulteriore dose di polemiche, oltre a quelle passate, s´abbatterà su di lui.
Stasera, tuttavia, Barenboim è carico e raggiante, come se fosse appena uscito dalla trionfale prima del Tristan und Isolde alla Scala. Più modestamente, siamo nella hall del Palazzo della Cultura di Ramallah, nel cui auditorium il maestro ha appena finito di eseguire da par suo tre sonate di Beethoven (la n.1, la n.18 e la n.23), quasi a voler sottolineare con la scelta del programma la «fede inalterabile nell´uomo», l´«ottimismo volontario» anche nei momenti più tragici della storia, che accompagnarono il grande musicista tedesco. «La musica - semplifica Barenboim - non è andare al concerto per dimenticare il resto. La musica è più di questo: è la capacità di capire il mondo, gli esseri umani».
E´ presentando la serata che Mustafà Barguti, l´ex ministro dell´Informazione, infaticabile animatore della Palestinian Medical Relief Society, annuncia alla platea entusiasta la concessione della cittadinanza onoraria a Barenboim. E allora è obbligatorio chiedere al maestro se lui, un cittadino israeliano, non si sia sentito in imbarazzo ad accettare quel secondo passaporto. «L´ho accettato non soltanto perché lo considero un grande onore, ma anche perché credo che i destini dei nostri due popoli siano inestricabilmente uniti e non esista una soluzione militare. Se così si può dire, israeliani e palestinesi sono condannati (Barenboim dice in inglese: «blessed», benedetti, o «coursed», maledetti, «ma io preferisco il primo termine») a vivere insieme. Il fatto che un cittadino israeliano possa essere insignito della cittadinanza palestinese può essere un segno che la coesistenza è possibile».
Tuttavia, il concerto appena finito non ha niente a che vedere con l´onorificenza concessa al maestro. La serata al Palazzo della cultura è, semmai, un altro piccolo passo che Barenboim ha voluto compiere verso la meta che ha così riassunto prima di concedere il bis: «La ragione di questo concerto è un´occasione speciale. Ci sono quasi sempre dei motivi particolari in queste esibizioni. Ora dico: per favore, aiutatemi a costruire una vita musicale normale a Ramallah e nelle altre città dei Territori». Ma qual è questa «occasione speciale»? Quasi una storia nella storia. Barenboim ha suonato su un fiammante «gran coda», Steinwey & Sons, lo strumento più ambito dai grandi pianisti, messo a punto da un accordatore venuto appositamente dall´Olanda. Il pianoforte è stato acquistato grazie ad una sottoscrizione lanciata da una signora tedesca, un´ammiratrice del maestro. «Nel dicembre del 2006 - racconta Barenboim - la signora è venuta ad ascoltare un mio concerto a Ramallah. Dopo il concerto, salutandomi, mi ha detto: «Vorrei fare qualcosa per la musica in Palestina» e ha fatto il gesto di offrire del denaro. Io le ho risposto che non potevo accettare soldi. Ma lei non s´è arresa: «Non crede - mi ha detto - che l´orchestra di Ramallah meriti un vero pianoforte?» Così ha deciso di aprire una sottoscrizione. La data fissata per la prima esecuzione del piano era il 12 gennaio 2008, oggi. Ed è per onorare quest´impegno che sono venuto. Purtroppo quella persona generosa è morta il mese scorso».
Non è per l´eccezionalità dell´evento in programma che stasera Ramallah dà al visitatore un´impressione di tranquillità. E´ già successo in passato nei lunghi periodi di tregua. I semafori funzionano e vengono rispettati. Le strade principali sono ben tenute. Un manto compatto d´asfalto ricopre le voragini dell´ultima intifada. La piazza dei Leoni è libera di uomini armati e mascherati. Gli ultimi avventori s´attardano nei negozi illuminati. Il pubblico che riempie il Palazzo della Cultura è la rara manifestazione di un fantasma: la società civile palestinese. Che c´è, ma resta oppressa dai radicalismi. Molti uomini sono in giacca e cravatta, come si conviene. Kefieh, poche. Barbe, pochissime.
Sul palco, la sua immagine riflessa dal mogano brillante dello Steinway, Barenboim offre un esempio di bellezza, armonia, disciplina e rigore, nonostante qualche pianto di neonato in sala e qualche applauso fuori luogo. Sono semmai le telecamere e le macchie fotografiche ad infastidire il maestro: «Please, no cameras and no photos». «Sono venuto a suonare per il pubblico di Ramallah», precisa. Insomma, una gran bella atmosfera, uno di quei momento in cui tutto si crede possibile. Anche la pace, perché no.

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