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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-La Repubblica Rassegna Stampa
12.01.2008 Bush in visita al Museo della Shoah
Dichiarazioni da grande Presidente

Testata:Corriere della Sera-La Repubblica
Autore: Alessandra Farkas-Pietro Del Re-Ennio Caretto
Titolo: «Bush: Dovevamo bombardare Auschwitz»

George W.Bush a Gerusalemme ha visitato il Museo della Shoah. Le sue dichiarazioni sulle responsabilità degli alleati nei confronti dello sterminio nazista sono quelle di un Presidente con la P maiuscola. Pubblichiamo dal CORRIERE della SERA, intervista di Alessandra Farkas, e da REPUBBLICA,Pietro del Re, le testimonianze di due sopravvissuti, Elie Wiesel e Shlomo Venezia. La cronaca di Ennio Caretto dal CORRIERE della SERA, e l'opinione di Marcello Pezzetti, sorico della Shoah da REPUBBLICA.

, di Alessandra Farkas:

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK — «Conosco molto bene le foto aeree di Auschwitz che hanno fatto piangere George W. Bush: sono stato io a regalarle a Yad Vashem. Ne possedevo due copie; l'altra l'ho regalata al Museo dell'Olocausto di Washington». Il Nobel per la pace Elie Wiesel, che ad Auschwitz ha perso la madre, il padre e la sorellina, ha aspettato tutta la vita questo momento: il mea culpa di un presidente americano per l'America che non ha fermato prima l'orrore.
«Il presidente Jimmy Carter mi aveva regalato quelle drammatiche foto nel 1978, quando mi propose di diventare presidente della prima Commissione sull'Olocausto», racconta lo scrittore de «La Notte». «Aveva chiesto all'allora direttore della Cia, Ammiraglio Stansfield Turner, che cosa l'America avesse saputo, allora, "del luogo dove è stato Elie". Fu così che Turner aveva tirato fuori dagli archivi Cia quelle foto che non lasciano alcun dubbio: gli Usa sapevano ma hanno lasciato fare».
Perché c'è voluto tanto per giungere a questa ammissione?
«Bisognava domandarlo a Carter, Reagan, Bush Sr e Clinton. A tutti loro io chiesi personalmente e più volte di spiegarmi perché gli Stati Uniti, pur sapendo da tanto tempo quanto avveniva nel lager, non fecero nulla per fermare lo sterminio quotidiano di ebrei. Nessuno ha saputo rispondermi. Bush è stato il primo a farlo e lo applaudo per il suo coraggio».
Perché proprio lui?
«Perché è un uomo molto emotivo che sente profondamente il dramma dell'Olocausto e si è lasciato guidare dal cuore. Da oggi in Israele, dove è già popolare, sarà ancora più amato e rispettato. Soprattutto tra i sopravvissuti».
Secondo alcuni storici gli Alleati temevano, bombardando Auschwitz, di uccidere migliaia di prigionieri nel campo.
«È una vecchia scusa. Ogni volta che i miei amici ed io sentivamo gli aerei alleati sopra le nostre teste ci auguravamo che le bombe cadessero. Sarebbe stata una morte preferibile alle camere a gas. E comunque gli Alleati avevano altre alternative ».
Quali?
«Bombardare i binari della ferrovia diretta ad Auschwitz. Ciò avrebbe salvato la vita di migliaia e migliaia di ebrei ungheresi, gli ultimi spediti nel lager quando tutto il mondo ne conosceva gli orrori. Ma è giunta l'ora di rivolgere la stessa domanda ai russi».
Cosa intende dire?
«L'armata rossa era molto più vicina degli americani ad Auschwitz. Era già in Polonia e nel 1944 aveva liberato il campo di Majdanek. I russi avrebbero benissimo potuto liberare anche il nostro lager dove nel '44, al culmine della mattanza, quasi 10 mila ebrei finivano tutti i giorni nei forni».
È vero che Roosevelt e i leader dell'ebraismo temevano di essere accusati di voler trasformare il conflitto in una «guerra ebraica »?
«Quel timore esistette solo all'inizio della guerra, non certo nel mezzo. Non dimenticherò mai l'incontro con l'allora presidente del World Jewish Congress, Nahum Goldman, che dopo la guerra mi disse: "Sapevamo ma abbiamo taciuto". Il rimorso l'ha perseguitato per tutta la vita».

Shlomo Venezia: :

ROMA - Shlomo Venezia, lei ad Auschwitz era un sonderkommando, lavorava cioè nei crematori del campo. È vero che molti ebrei avrebbero preferito morire sotto le bombe piuttosto che essere uccisi dai nazisti?
«Sì, pregavamo tutti di morire per mano alleata piuttosto che per mano tedesca. Sarebbe stato meno sacrilego. Quando sentivamo il rombo degli aerei che sorvolavano il campo speravamo tutti che la facessero finita, che ci attaccassero e ci annientassero una volta per tutte. Non solo. Credo che qualsiasi ebreo di Auschwitz avrebbe preferito morire piuttosto che vedere il protrarsi dello sterminio».
Sarebbe quindi bastato distruggere le camere a gas, bombardandole, per inceppare il meccanismo di distruzione messo in piedi dai tedeschi?
«Una cosa è certa: senza crematori né camere a gas non avrebbero saputo come portare a termine il loro piano diabolico. Invece...».
Invece?
«Ad Auschwitz sono state uccise 1,2 milione di persone. E per questo crimine immenso gli alleati, che non hanno fatto nulla per impedirlo, hanno una grande responsabilità».
E perché, a suo avviso, non hanno tentato di impedirlo?
«Forse perché i capi di governo dell´epoca se ne infischiavano degli ebrei. O forse perché assieme agli ebrei i tedeschi sterminavano anche i comunisti, gli omosessuali e gli zingari».
(p.d.r.)

Marcello Pezzetti < Gli Usa sapevano dal '44 ma non era un loro obiettivo> di Pietro Del Re:

ROMA - Marcello Pezzetti, andava bombardata, oppure no, Auschwitz?
«Certamente sì. Andavano soprattutto bombardate le linee ferroviarie che trasportavano gli ebrei nel campo di sterminio».
All´inizio del 1944, dopo la fuga di due internati, arrivarono in Occidente precise informazioni sul genocidio degli ebrei. Allora gli americani erano già in grado di distruggere il campo?
«Sì, già a gennaio di quell´anno ebbero la possibilità concreta di farlo poiché potevano usare la base aerea di Foggia. Prima avrebbero comunque potuto distruggere le linee della deportazione».
E perché non l´hanno fatto?
«Per un solo motivo: perché la distruzione di Auschwitz non era un obiettivo primario. Quando ho chiesto ai militari americani per quale ragione non sono intervenuti, tutti mi hanno risposto nello stesso modo, ossia che avevano altre priorità. Il loro atteggiamento è stato un lasciapassare per lo sterminio».
C´è chi si è giustificato sostenendo che bombardare il campo avrebbe provocato molti morti anche tra i deportati.
«È un´assurdità perché ad Auschwitz la mortalità tra i deportati era del 90 per cento. Se gli alleati avessero cominciato a bombardare il campo nel febbraio del ´44 non sarebbero stati sterminati tutti gli ebrei ungheresi, che arrivarono in 430.000 a maggio di quell´anno. Lo stesso si può dire della maggior parte delle deportazioni italiane e greche. Forse settecentomila persone sarebbero potute essere salvate».

di Ennio Caretto:

KUWAIT CITY — Per la prima volta un presidente americano si è rammaricato che nella Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti non abbiano tentato di porre fine allo sterminio degli ebrei attaccando Auschwitz e altri campi di concentramento nazisti. «Avremmo dovuto bombardarlo», ha detto George W. Bush, le lacrime agli occhi, rivolgendosi al segretario di Stato «Condi» Rice e a Avner Shalev, direttore del Museo dell' Olocausto a Gerusalemme, lo Yad Vashem.
«Guardavamo le foto aeree di Auschwitz scattate dai piloti alleati — ha riferito Shalev — e il presidente si è commosso». La Rice lo ha confermato: «C' erano anche foto delle ferrovie che portavano ai campi. Abbiamo discusso del perché non le bombardammo. Esistono varie spiegazioni. Non c'è stata polemica, solo un riesame di quell'orrendo genocidio».
Bush, che nel corso della visita ha alimentato la Fiamma eterna che onora le vittime dell'Olocausto, ha ceduto all'emozione dopo aver pregato alla memoria del milione e mezzo di bambini ebrei sterminati. Con il presidente israeliano Peres e il premier Olmert, ha deposto una corona di fiori. Poi, tra la sorpresa di tutti, ha deprecato che Auschwitz non fosse stata bombardata. Ha commentato lo storico israeliano Tom Segev: «Oggi sappiamo che gli Stati Uniti erano al corrente dello sterminio degli ebrei. Se avessero attaccato i campi di concentramento o le loro ferrovie, forse avrebbero salvato gli ungheresi, gli ultimi internati ad Auschwitz ». In America, l'inattesa protesta del presidente ha riaperto una vecchia ferita: da anni si polemizza sul rifiuto di Washington e Londra di bombardare i lager. Quando si è recato in Galilea, sul Monte delle Beatitudini, Bush ha solo detto all'ospite, il vescovo Skakar, di essere «un pellegrino». Ma congedandosi da Peres e Olmert per andare nel Kuwait, ha promesso loro di tornare a maggio, per il sessantesimo anniversario dello Stato di Israele.
Con la devozione dimostrata in Terra Santa, e il velato mea culpa sul silenzio sull'Olocausto al tempo della guerra, Bush ha rafforzato l'impegno assunto a promuovere la pace tra israeliani e palestinesi. Il presidente, che oggi incontrerà il generale David Petraeus, «proconsole » in Iraq, è venuto nel Golfo da un lato per indurre i Paesi arabi a partecipare al dialogo di pace, dall'altro per indurli a formare un fronte comune contro l'Iran. «Condi» (che per evitare
gaffes presidenziali durante la cena con Olmert avrebbe zittito Bush scrivendogli su un bigliettino di «chiudere la bocca») ha ammonito che il viaggio del presidente — Bahrein, poi Emirati Arabi e Arabia Saudita — «non illuminerà di luce accecante » gli ospiti. Ma ha insistito che entro l'anno si convertiranno alla causa della pace.
Intervistato alla tv Nbc sulla fede, così ostentata a Gerusalemme, Bush ha risposto che facilita il suo rapporto con l'Islam: «La religiosità ci unisce ».

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