giovedi` 15 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
08.01.2008 Alla vigilia della visita mediorentale di Bush
due analisi a confronto

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: Ennio Caretto - R.A. Segre
Titolo: «Bush in Medio Oriente E i Paesi arabi temono una guerra - E Bush in Israele cerca il compromesso»

Il CORRIERE della SERA dell'8 gennaio 2008 pubblica un articolo di Ennio Caretto sul viaggio di bush in Medio Oriente. Grande spazio alle preoccupazioni dei paesi arabi per la possibilità di un conflitto tra Iran e Stati Uniti.
L'attuale tensione tra i due paesi è presentata come una lotta per l'"egemonia" nell'area, senza minimamente mettere in luce l'aggressività di Teheran, il suo sostegno al terrorismo, la sua volontà di sistruggere Israele e di esportare nel mondo la rivoluzione islamica.

Ecco il testo:

WASHINGTON — La missione di pace del presidente Bush in Medio Oriente e nel Golfo Persico rischia di trasformarsi in un viaggio di guerra dopo il confronto, ieri, tra pasdaran iraniani e Sesta flotta americana nello stretto di Hormuz? È quanto temono i Paesi arabi, dove il rapporto dell'intelligence Usa — secondo cui l'Iran ha rinunciato alle ambizioni atomiche — aveva suscitato la speranza di una distensione. A 24 ore dalla partenza di Bush oggi per la regione torna l'incubo di un attacco americano a Teheran. E la pace tra arabi e israeliani, prima ritenuta l'obiettivo più urgente, passa di nuovo in secondo piano.
A preoccupare i Paesi del Golfo sono la gravità attribuita da Casa Bianca e Pentagono all'incidente — che invece Teheran ha minimizzato — e le pressioni di Israele su Bush perché riveda il rapporto di intelligence: ieri il premier Olmert ha sottolineato che Stato ebraico e Usa «continueranno a lavorare assieme per impedire che l'Iran si doti di armi nucleari». Da indiscrezioni diplomatiche, i Paesi arabi si chiedono se l'incidente, proprio alla vigilia della visita, sia davvero una coincidenza. E si preparano ad ammonirlo di evitare un conflitto con l'Iran, che li vedrebbe in prima linea e destabilizzerebbe l'intera area.
Già prima del confronto a Hormuz, Bush aveva ribadito in un'intervista che «Teheran rimane una minaccia e le nazioni di Medio Oriente e Golfo devono fare fronte comune contro di essa». Ma il presidente aveva insistito soprattutto sulla pace tra arabi e israeliani «e l'impegno dell'America alla stabilità». Adesso, il suo viaggio assume un connotato anti iraniano, un cambiamento facilitato anche dalle dichiarazioni di Teheran. In visita in Siria, Ari Larijani, il consigliere dell'ayatollah Khamenei, ha esortato «le forze palestinesi all'unità per la sconfitta sionista», e il portavoce del ministero degli Esteri Ali Hosseini ha accusato Bush di «interferenza».
Secondo l'esperto Anthony Cordesman, tra Usa e Iran è in corso una gara per il controllo dell'area, e Bush starebbe reagendo ai recenti successi di Teheran. A dicembre, il presidente iraniano Ahamadinejad è stato ospite del Consiglio della cooperazione del Golfo, formato 27 anni fa contro l'Iran; ha visitato la Mecca, onore sempre negato ai leader del suo Paese, e incontrato il re saudita Abdullah; tramite Larijani, che si è recato al Cairo per offrire aiuti per il nucleare, ha aperto un dialogo sulla ripresa dei rapporti diplomatici con l'Egitto. Ha detto il segretario della Lega araba Amr Moussa: «La nostra politica estera è indipendente».
Il dilemma di Bush, valuta Cordesman, è come contenere l'espansione della sfera d'influenza dell'Iran. Un dilemma reso ancora più difficile dal fatto che senza la collaborazione di Teheran Bush non potrebbe pacificare la Palestina, l'Iraq e il Libano. Iraq e Libano non figurano nell'itinerario, ma il presidente Usa potrebbe compiere un blitz a sorpresa (anche se in Kuwait ha già in programma un incontro con il generale Petraeus, il suo «proconsole» a Bagdad). Infine, sul viaggio l'ombra del terrorismo: in un video, Al Qaeda ha sollecitato l'Islam ad accogliere Bush «con le bombe ».

Equilibrata l'analisi di R.A. Segre sul GIORNALE :

Il presidente Bush arriverà domani in Israele, prima tappa di un periplo mediorientale che lo porterà in Palestina, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi, Arabia Saudita per concludersi in Egitto: il tutto preceduto da un appello di Al Qaida ai palestinesi per ucciderlo. Il che rende un viaggio destinato a portare pace in Palestina ancora più contraddittorio. Se è la prima visita di Bush come presidente in Israele, sarà probabilmente anche l’ultima di una carriera rovinata dalla sua politica mediorientale. È un viaggio in cui si è impegnato a proporre compromessi - creazione di uno Stato palestinese entro il 2008, Gerusalemme, confini, rifugiati, riconoscimento palestinese dello Stato ebraico - su cui il massimo delle concessioni che Israele è disposto a fare è molto lontano dal minimo che i rappresentati palestinesi possono fare senza rischiare la loro vita. Per cui, come nel caso della conferenza di Annapolis, è improbabile che da questo viaggio presidenziale uscirà qualcosa salvo belle intenzioni.
All’albergo King David di Gerusalemme, dove Bush risiederà nella Royal Suite al costo di 2600 dollari la notte, le rimanenti 237 stanze sono state riservate ai principali membri del suo seguito mentre i funzionari americani minori occuperanno 800 altre stanze in alberghi gerosolimitani. Bush incontrerà Abu Mazen a Ramallah, dove un numero imprecisato di agenti della Cia stanno disponendo misure di sicurezza e dove Bush non pernotterà: segni di asimmetria presente a tutti i livelli dei rapporti fra Israele e i palestinesi.
Uno di questi squilibri è rappresentato dal premier israeliano quando lo si confronta con il presidente dell’Autonomia palestinese che poteri reali non ha e rappresenta metà dei suoi concittadini. Olmert, descritto dai media come un leader debolissimo, in procinto di perdere pezzi del suo governo e di essere travolto dal rapporto della commissione Viniograd sulla guerra del Libano, non solo è saldo al potere ma è in grado di opporsi con successo e meglio di molti suoi predecessori ad eventuali pressioni americane. Anzitutto perché Washington non ha altri alleati sicuri in Medio Oriente e in questo momento ha più bisogno di Olmert di quanto questi abbia bisogno di Bush. Poi perché Israele detiene la chiave della crisi nucleare iraniana e della stabilità politica ed energetica internazionale che sarebbe turbata da un attacco israeliano contro Teheran. In terzo luogo Olmert, vituperato in patria e all’estero per non aver saputo vincere la guerra contro gli Hezbollah in Libano, ha tratto benefici da questo conflitto grazie alla protezione che il contingente internazionale ha dato alla frontiera settentrionale di Israele. Sotto il suo governo il terrorismo è diminuito, l’economia è fiorita, l’esercito si sta riformando sotto la guida di un esperto ministro, i contatti coi palestinesi sono stati rinnovati senza alcuna concessione territoriale. Infine il fronte palestinese si è spezzato in Palestina fra Hamas a Gaza e al Fatah in Cisgiordania e all’interno di Israele fra arabi israeliani contrari all’esistenza di uno Stato ebraico e arabi-israeliani che, temendo uno scambio di zone di residenza (specie a Gerusalemme) fra Israele e uno Stato palestinese, incuranti delle accuse di «tradimento», si arruolano nel servizio civile dell’esercito e persino come volontari in alcune sue unità. Tutto questo Bush lo sa e non chiederà a Israele molto di più che l’evacuazione degli insediamenti illegali (cioè creati dopo il 2002) ebraici in Cisgiordania che Olmert (molto lentamente) si è impegnato a eliminare. Il che non metterà fine ai razzi palestinesi da Gaza mentre aumenterà le eliminazioni mirate degli attivisti di Hamas a Gaza e in Cisgiordania, unico modo di rinforzare la vacillante autorità di al Fatah aiutando, forse, a cambiare qualcosa in una regione dove instabilità e assassinio sono elementi permanenti della politica.

Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera e del Giornale cliccare sul link sottostante


lettere@corriere.it
lettori@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT