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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.12.2007 Nelle moschee dove di predica la jihad
L'analisi di Magdi Allam

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 dicembre 2007
Pagina: 44
Autore: Magdi Allam
Titolo: «Insisto: in quelle moschee si predica la jihad»

Sotto un titolo che più esplicito non si può, Magdi Allam sul CORRIERE della SERA di oggi, 27/12/2007, a pag.44, ritorna sull'impiego delle moschee italiane a fini terroristici. Preoccupa che quasi nessun altro mezzo d'informazione senta la necessità di informare i propri lettori su un argomentodi questa importanza. Ecco l'articolo:

Insisto: in quelle moschee si predica la jihad

 


N on è la prima volta che dopo aver riferito di un caso specifico, adducendo fatti concreti, circostanziati e contestualizzati, così come è stato nel mio commento alla sentenza della Corte d'Assise su Abu Imad, l'imam della moschea di viale Jenner a Milano ( Corriere,
23 dicembre), mi ritrovi con la reazione di chi mi accusa di aver voluto condannare, non il singolo Abu Imad sulla base della responsabilità soggettiva che è il cardine dello Stato di diritto, non la categoria ideologica e militante a cui appartiene ovvero gli estremisti e i terroristi islamici, bensì un universo di persone e cioè l'insieme dei musulmani.
Ciò è quanto mi rimprovera il procuratore aggiunto Armando Spataro che a Milano coordina il Dipartimento Antiterrorismo ( Corriere, 24 dicembre).
La sua critica radicale troverebbe riscontro nella mia conclusione: «La verità è che le istituzioni in Italia, dal governo al Parlamento, dalle forze dell'ordine alla magistratura, hanno paura di affrontare e di scontrarsi con gli estremisti islamici che si sono saldamente arroccati nelle moschee». Questa mia esplicita denuncia viene da lui interpretata come una incivile discriminazione nei confronti di tutti i musulmani e un appello alla chiusura di tutte le moschee.
Ebbene, proprio la replica di Spataro, che mescola e sovrappone la valutazione prettamente giuridica — che legittimamente gli compete — con esplicite posizioni ideologiche e politiche — che non dovrebbero appartenere a un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni — conferma la fondatezza della mia denuncia. Consapevolmente o meno, Spataro assume come verità dei luoghi comuni e dei pregiudizi. In primo luogo l'immaginare che l'imam, che è un semplice funzionario ma non un'autorità religiosa, sarebbe il rappresentante di una «comunità islamica» che fa perno sulla moschea e che, di conseguenza, condannare un singolo imam corrisponderebbe a criminalizzare tutti i musulmani. La verità è che l'insieme dei musulmani non forma una «comunità» e che in Italia il 95% dei musulmani non si riconosce nelle moschee controllate in maggioranza da estremisti e terroristi.
In secondo luogo, Spataro immagina una concezione reattiva, non aggressiva, del terrorismo islamico globalizzato. E immagina che esso possa essere sconfitto «con gli strumenti della legge», così come sarebbe avvenuto con il terrorismo brigatista in Italia.
Ebbene se, da un lato, è del tutto improprio il paragone tra il terrorismo di Renato Curcio e quello di Osama Bin Laden, dall'altro, Spataro dimentica che comunque le Brigate Rosse furono sconfitte solo grazie alle leggi speciali, ai corpi speciali e alle carceri speciali.
In terzo luogo Spataro immagina che i terroristi islamici sarebbero soltanto delle «mele marce», mentre sono parte integrante di una filiera in cui i cosiddetti «fondamentalisti non violenti», da lui difesi, sono la scintilla che innesca il letale processo dell'ideologia di odio, violenza e morte. La storia recente attesta che il terrorismo islamico è divampato solo dove i Fratelli Musulmani, i wahhabiti o i salafiti sono riusciti a imporre il loro potere. Perché la vera arma del terrorismo non sono le bombe o gli esplosivi, bensì l'indottrinamento ideologico e il lavaggio di cervello che trasformano le persone in robot della morte.
Ed è appunto questo il caso di Abu Imad. Ciò che sembra non emergere dalla sentenza è la sua responsabilità nella morte di terroristi da lui formati nella moschea di viale Jenner, di cui si fanno i nomi, e nell'uccisione delle loro vittime. In Italia Abu Imad non è l'unico burattinaio del terrorismo in libertà. Il fatto è che chi ha incarichi di responsabilità non vuole vedere, non vuole capire e soprattutto non vuole agire. Non sorprende pertanto che il nostro Paese finisca per essere percepito come la Mecca degli estremisti e dei terroristi islamici, un porto franco dove si depongono le armi e non si commettono attentati, ma solo perché conviene per vincere la loro «guerra santa» che l'Italia esorcizza auto-convincendosi che non esista.

Invitiamo i nostri lettori a scrivere al giornale che leggono abitualmente per chiedere perchè viene ignorata  una realtà grave come quella denunciata da Magdi Allam. Per scrivere al Corriere della Sera, cliccare sulla e-mail sottostante.


lettere@corriere.it

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