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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica Rassegna Stampa
13.12.2007 La Gerusalemme di Abraham B. Yehoshua
che visse nella città dal 1936 al 1967

Testata: La Repubblica
Data: 13 dicembre 2007
Pagina: 1
Autore: Abraham B. Yehoshua
Titolo: «La mia Gerusalemme»
Da La REPUBBLICA del 13 dicembre 2007, anticipazioni di un articolo dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua che sarà pibblicato integralmente sul mensile Traveller :

Nonostante io non viva più a Gerusalemme da quarant´anni, ho legami forti e profondi con questa città, e forse il motivo per cui non vivo più lì è proprio questo: la complessità e l´intensità di questi legami. Ho più di settant´anni e quando sono nato la mia famiglia viveva a Gerusalemme già da cinque generazioni.
Sono pochi in Israele quelli come me. I miei avi giunsero a Gerusalemme a metà del XIX secolo da Salonicco e da Praga, spinti da motivi religiosi e nazionali.
Presero sul serio la preghiera che invocava il ritorno alla terra d´Israele e alla città santa e tornarono a una madrepatria consacrata nella liturgia religiosa. (...). Negli ultimi centocinquant´anni Gerusalemme ha subito enormi cambiamenti. Da piccolo centro di provincia si è trasformata nella più grande città d´Israele per estensione e numero di abitanti. Dopo la guerra dei Sei giorni, con il pretesto di voler riunificare la città divisa, il governo israeliano cominciò a mettere in atto uno scaltro piano strategico di annessione di villaggi e territori che fino ad allora non ne erano considerati parte. Così facendo, però, accrebbe anche la popolazione araba della città che, di fatto, si trasformò in un centro a doppia etnia. La carta d´identità che ancora oggi viene concessa agli abitanti di Gerusalemme est garantisce loro il diritto di voto solo alle elezioni municipali, non a quelle politiche per il parlamento israeliano, quindi non possono ritenersi cittadini a pieno titolo.
Ho vissuto a Gerusalemme in due diverse fasi storiche: prima della fondazione dello stato di Israele, ovvero dal giorno della mia nascita nel 1936 fino al 1948 - quando la città non era ancora divisa ed era governata da un protettorato britannico - , e dal 1948 al 1967 - diciannove anni in cui le due parti della città rimasero separate da un alto muro e da un confine invalicabile.
Durante il primo periodo i rapporti tra ebrei e arabi si mantennero nel contesto di un governo coloniale straniero e anche se talvolta erano improntati a cordialità, erano costantemente in bilico, giacché entrambe le parti si preparavano allo scontro che avrebbe deciso il destino della regione dopo la partenza degli inglesi. Mio padre, che lavorava per il governo britannico come orientalista e traduttore dall´arabo all´inglese e all´ebraico, aveva molti colleghi arabi e in alcuni casi i rapporti di lavoro si trasformarono in amicizia tra le famiglie. (...) Credo che l´atteggiamento di confidenza che ho avuto con gli arabi fin da bambino sia vivo in me ancora oggi e su un piano letterario mi aiuti a «sentire» gli arabi, a immedesimarmi con loro e trasformarli, all´occorrenza, in personaggi letterari nei miei romanzi. Proprio perché non li vedo in una luce romantica, come tanti miei compagni di sinistra, ho con loro un rapporto di intimità; non provo solo compassione per loro, ma posso anche osservarli con occhio critico e tentare di porre rimedio alle loro numerose debolezze, così come faccio con i membri del mio popolo. Questo mi permette talvolta di assumere un tono più disinvolto e umoristico nei loro confronti e nel creare personaggi letterari.
La mia seconda fase a Gerusalemme ebbe inizio a partire dagli scontri sanguinosi scoppiati nel 1948, che noi ebrei chiamiamo Guerra d´indipendenza e gli arabi palestinesi Nakbah, tragedia. Dopo il ritiro degli inglesi Gerusalemme si trasformò in un campo di battaglia. Zone arabe furono conquistate dagli ebrei e zone ebraiche (in primo luogo il quartiere ebraico della Città Vecchia) caddero nelle mani degli arabi. Fino alla guerra dei Sei giorni, la città rimase divisa. Nei rioni arabi non viveva nemmeno un ebreo e nei rioni ebraici nemmeno un arabo. Gli arabi, con l´aiuto dei giordani, furono vicini a conquistare l´intera città dopo la proclamazione della fondazione dello stato di Israele. Per più di due mesi i quartieri ebraici furono sotto assedio e subirono incessanti bombardamenti da parte dell´esercito giordano. Cibo e acqua furono razionati e in quei mesi io e la mia famiglia vivemmo in un rifugio affollato di profughi fuggiti dai quartieri a ridosso del confine. Mio padre fu richiamato sotto le armi (come intercettatore delle conversazioni telefoniche degli arabi), rimase gravemente ferito dal crollo di una parete di casa, guarì e tornò in servizio. Da allora rimasi sempre in ansia per lui, e ancora oggi sono apprensivo nei confronti dei membri della mia famiglia.
Dopo la tregua la zona est della città sparì alla nostra vista e con essa la Città Vecchia e tutti i luoghi sacri agli ebrei che avevo conosciuto da bambino e dei quali per diciannove anni serbai solo il ricordo (come gli arabi serbarono il ricordo di molti luoghi conquistati dagli ebrei). Gerusalemme est divenne una specie di lato oscuro della luna. Chi non l´aveva mai vista la rimosse dalla coscienza. In questa fase della mia vita a Gerusalemme, la zona invisibile della città assunse per noi un significato mistico e simbolico. Dal punto di vista fisico e demografico la città ebraica non aveva sbocchi. Era chiusa su tre lati da zone nemiche, aperta solo verso occidente, in direzione della pianura costiera. Più che altro era un centro amministrativo con uffici governativi, popolata da funzionari e docenti universitari. La vera attività politica si svolgeva a Tel Aviv. Laggiù, in riva al mare, c´erano le sedi delle associazioni sindacali, della Borsa, dei centri economici dello stato, delle redazioni dei giornali, delle case editrici. Anche l´unica università era a Gerusalemme; ma a partire dagli anni Sessanta furono fondate le università di Tel Aviv e di Haifa e la capitale perse anche il primato accademico.
Ho descritto l´atmosfera simbolica e astratta della Gerusalemme di quel periodo nel racconto Tre giorni e un bambino. Un brano che poteva essere scritto solo nella zona ebraica della Gerusalemme divisa, lontano dai siti archeologici e religiosi celati nella zona palestinese. In quel testo, scritto poco prima che io e mia moglie andassimo a Parigi per terminare i nostri dottorati di ricerca, già esprimevo una certa reticenza nei confronti di quell´aspetto astratto ed esageratamente simbolico della città (...).
E così, durante la nostra permanenza parigina, dal 1963 al 1967, io e mia moglie decidemmo di non fare ritorno a Gerusalemme, di cercare una città più aperta, più israeliana, meno ebraica, più laica, dove abitassero anche arabi israeliani che non erano profughi né nemici, lontano dalle soffocanti radici familiari che legavano me a Gerusalemme e mia moglie a Tel Aviv. La scelta, ancor prima che scoppiasse la guerra dei Sei giorni, cadde sulla bella città portuale di Haifa, nel nord di Israele. Nel giugno del 1967, mentre già facevamo i bagagli per tornare in Israele con la nostra figlioletta, scoppiò, inattesa, la guerra. In due giorni l´esercito israeliano conquistò Gerusalemme est e poi tutta la Cisgiordania. Il confine si aprì, le barriere caddero e il lato oscuro della luna ci si rivelò di colpo.

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