Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Combattere per la democrazia nel mondo islamico un convegno a Roma, un libro che denuncia il sonno dell'Europa di fronte al pericolo fondamentalista
Testata:Il Foglio - Il Giornale Autore: Giulio Meotti - Marina Gersony Titolo: «Cronache dal fronte dei dissidenti islamici in lotta per la libertà - Pericolo islam Europa svegliati»
Dal 10 all'11 dicembre 2007 si svolge a Roma il convegno "Combattere per la democrazia nel mondo islamico", organizzato dall'Istituto Adelson di Gerusalemme, dalla Fondazione Magna Carta, dalla Fondazione Farefuturo e dalla Fondazione Craxi. Ecco la cronaca di Giulio Meotti, dal FOGLIO dell'11 dicembre (pagina 2):
Il convegno sulla “Battaglia della democrazia nel mondo islamico”, organizzato a Roma da numerose fondazioni italiane e dall’Adelson Institute di Gerusalemme, viene dopo lo storico meeting che nel giugno scorso vide decine di dissidenti riuniti assieme a George W. Bush, Nathan Sharansky e Vaclav Havel. Il diritto alla vita e alla libertà di pensiero i ribelli del mondo islamico se lo sono conquistato al prezzo dell’esilio, della tortura, dell’ostracismo e del ludibrio totalitario. A loro si è rivolto Bush inaugurando il più grande centro islamico d’America: “Per decenni il mondo libero ha abbandonato i musulmani in medio oriente ai tiranni, ai terroristi, ai senza speranza. Oggi, nel luogo della libera fede, nel cuore della nazione libera, diciamo a coloro che languono per la libertà da Damasco a Teheran: non sarete incatenati per sempre alla vostra miseria. Il mondo libero vi ascolta”. “Le torture sono state dolorose, ma è bene guardare al lato luminoso della storia”, ci dice Amir Abbas Fakhravar, passato per le segrete della prigione di Evin, dove Zahra Kazemi è stata torturata a morte. Fakhravar ha subìto otto mesi di “tortura bianca”, descritta così da Amnesty International: “La cella non aveva finestre, era completamente bianca, come gli abiti. Per cibo riceveva riso bianco. Le guardie non emettevano rumore. Proibito parlare”. “Se la democrazia prevarrà in Iran sull’attuale dittatura religiosa, allora il popolo scoprirà il valore della democrazia”, ci spiega Fakhravar. “E’ questo il lato dolce delle torture che scopriremo in un Iran democratico”. Dissidente della mullahcrazia, Fakhravar dice che “la cosa peggiore è che mentre passavo di prigione in prigione non sapevo cosa ne fosse della mia famiglia”. Quando è uscito era così provato da non riconoscere neppure la madre. “La libertà non è gratis, noi combattiamo per essa e il mondo libero deve aiutarci”. L’iracheno Mithal al Alusi era un dissidente prima sotto Saddam Hussein, che lo costrinse a un esilio ventennale dopo averlo condannato a morte, poi nell’Iraq infestato da squadracce islamiste e decapitatori. I terroristi gli hanno ucciso due figli e una guardia del corpo. “Voglio ringraziare chi ha liberato il mio popolo. Non possiamo costruire un nuovo Iraq, un nuovo medio oriente senza il valore della libertà. Io voglio che i bambini tornino a giocare per le strade dell’Iraq. L’ideologia fascista si è presa i miei”. Alusi, che è stato colpito al ritorno da un viaggio in Israele, il primo di un politico iracheno, dichiara guerra ai “fantasmi della morte che uccidono la vittoria degli iracheni e il loro diritto alla vita. L’Iraq non morirà”. Mudawi Ibrahim Adam è stato incarcerato dal governo sudanese per aver svelato i massacri in Darfur. “Se vuoi la democrazia, devi essere pronto a batterti”, dice Adam. “Bisogna pagare con la propria vita. Ci sono migliaia di combattenti di cui nessuno parla. Io ho visto gente uccisa e torturata sotto i miei occhi. Ho pianto e oggi voglio comunicarlo”. Presidente del Partito riformista siriano, Farid Ghadry vive in esilio a Washington. “A tredici anni sono stato a Dachau, lì ho visto per la prima volta gli ebrei come vittime, prima li conoscevo soltanto come aggressori. Quando la mia famiglia è stata cacciata, in Libano ci hanno accolto i cristiani. In Arabia Saudita sono stato picchiato dalla polizia religiosa perché non andavo in moschea. Per questo dico che la democrazia deve prevalere, soffriamo la cultura dell’odio, la lotta per la libertà è l’unica scelta. Dobbiamo far capire agli arabi cosa vuol dire non avere catene, altrimenti non ce la faremo mai”. E rivolto all’occidente aggiunge: “Non vi chiediamo di fare il lavoro per noi”. Bisogna dare ai dissidenti quel sostegno materiale, politico e culturale che venne meno durante il comunismo, quando i dissidenti erano definiti in modo sprezzante “diversamente pensanti”. Saad Eddin Ibrahim, presidente dell’Ibn Khaldun center for development studies, ha trascorso tre anni nelle prigioni egiziane. A Praga ha stretto la mano a Bush. “Dai mullah ai secolaristi, le oppressioni sono immagini riflesse l’una dell’altra. All’occidente dico: smettete di sostenere gli autocrati, sono come gli islamisti, conducono al disastro. Portate democrazia e libertà nei nostri paesi. Usate la vostra libertà”. Noi e loro, l’occidente e i dissidenti dell’universo coranico. Bush ha scelto un lirico sufi per collegare le due battaglie: “Conserviamo nei nostri cuori l’antica speranza di uno dei grandi poeti musulmani, Rumi: ‘Le lampade sono differenti, la luce è la stessa’”.
Dal GIORNALE (pagina 32), un'intervista di Marina Gersony a Bruce Bawer, autore del libroWhile Europe Slept. How radical Islam is destroing the West from Within :
Lo hanno chiamato di volta in volta «anti-comunista», «razzista anti-islamico», «neo-con», «classical liberal» o «reazionario» a seconda delle sue prese di posizione su temi vari di scottante attualità. Ma lui, Bruce Bawer, delle etichette se ne infischia («Non ero io che cambiavo idea, erano i "label" che cambiavano di significato. Ma si sa, le voci libere e indipendenti non sono gradite al sistema»). Di fatto il suo libro While Europe Slept. How radical Islam is destroing the West from Within (editore Broadway Books) - per ora non ancora tradotto in italiano - ha suscitato un vespaio ma anche molti consensi. Certo è che il suo grido «Sveglia Europa, o sarà troppo tardi» non lascia indifferenti comunque la si pensi. Lei accusa l’Europa di dormire mentre sta per essere distrutta dall’Islam radicale. «È una questione urgente che non viene affrontata come si dovrebbe. La politica, i media e le istituzioni europee non vogliono che la gente pensi, che prenda coscienza di quanto sta accadendo, ossia che il fondamentalismo islamico è diffuso ovunque, che detta legge, che impone gli aspetti più anti-democratici della sua cultura ed è sempre più pericoloso. C'è chi ha capito quello che sta succedendo, ma sono voci isolate, fuori dal coro, che non incidono sullo stato delle cose. Certo, negli ultimi tempi anche l’opinione pubblica è più consapevole, ma preferisce chiudere gli occhi e voltare la testa dall’altra parte sperando che le cose cambino da sole». Adesso io faccio l’avvocato del diavolo e le pongo alcune questioni. La prima: domenica scorsa, al Palasharp di Milano, il Dalai Lama ha dichiarato che è sbagliato demonizzare un intero popolo. Quindi ha sollecitato il dialogo interreligioso, in particolare con i musulmani... «Non ho sentito il discorso del Dalai Lama. Io non critico i singoli che saranno anche le più brave persone del mondo. Reagisco a quello che vedo in Europa e più in generale in Occidente; vedo un’Europa laica e democratica che non vuole affrontare le proprie politiche di immigrazione e di integrazione rivelandosi sempre più fragile. Non possiamo far finta di niente». A che cosa allude? «Ieri erano le bombe di Madrid, gli assassini di Theo Van Gogh e di Pym Fortuin. Oggi sono i video e le foto dell’iraniana Sooreh Hera, ritirate in quanto offensive nei confronti di Maometto. Non bastano queste lezioni per capire? Quando ho letto quest’ultima notizia ero proprio ad Amsterdam. Mi ha stupito che esistano ancora degli artisti coraggiosi che non hanno rinunciato alla libertà di espressione». Adesso le pongo un’altra questione: il recente caso a Vienna della «Turkish Delight», la scultura dell’artista Olaf Metzel che rappresenta una donna velata ma che sotto è nuda, ha suscitato le ire dei musulmani. Non è l’ennesima provocazione inutile? «Al contrario.Èl’ennesima dimostrazione che non c’è più libertà di espressione. Ripeto, il diffuso sistema di laissezfaire rende le politiche di integrazione europee sempre più instabili per non dire fallimentari». Pugno di ferro? «Il punto è proprio questo. Se non si interviene con delle politiche lungimiranti e concrete, se la mainstream dei politici europei non prende posizione, il rischio è di avere dei leader fascisti che si fronteggeranno con dei musulmani fascisti. Non mi sembra una bella prospettiva ». Che cosa vuol dire in concreto «prendere posizione»? «La generosità, la tolleranza e lo spirito di accoglienza è stata ripagata con il disprezzo dei musulmani verso l’Occidente e i suoi valori. Pensiamo alla questione delle vignette. La Danimarca ha saputo gestire bene la questione non rilasciando scuse ufficiali. La Norvegia invece si è piegata a fare le sue scuse rivelando così la sua debolezza. Èun comportamento sbagliato ». Lei è favorevole all’entrata della Turchia nella Ue? «Se entrasse ora sarebbe una catastrofe, in futuro si vedrà. La Turchia di oggi non è soltanto Istanbul, bensì un coacervo di realtà non sempre compatibili con i nostri valori». Cosa pensa di Obama for president? «Premetto che sono molto favorevole a un presidente di colore, uomo o donna che sia, in Usa. Detto questo su Obama sospendo il giudizio, devo capire meglio i suoi programmi e la direzione che vuole prendere».