Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
L'Iran non è un pericolo, ma Bush e Israele non rinunciano alla guerra la disinformazione all'opera
Testata:La Repubblica - Il Messaggero - Il Riformista - L'Unità - Il Manifesto - Metro Autore: Arturo Zampaglione - Silvio Fagiolo - Flavio Pompetti - Anna Momigliano - Gabriel Bertinetto - Michele Giorgio - la redazione Titolo: «Iran, Bush non cambia idea»
Bush è costretto a giustificare le sue posizioni sull'Iran, la Casa Bianca ha un "atteggiamento di chiusura", gli allarmi del 2005 si sono rivelati "fuorvianti". La cronaca di Arturo Zampaglione sulla reazione della Casa Bianca al rapporto di intelligence sulle ambizioni nucleari della Repubblica islamica è unilaterale e manipolatoria. Ecco il testo:
NEW YORK - Il sorprendente voltafaccia dell´intelligence americana, che ora ritiene che l´Iran abbia sospeso sin dal 2003 i programmi di armi nucleari, ha costretto ieri George W. Bush a giustificare - con un certo imbarazzo - le sue posizioni. «Sono venuto a conoscenza del rapporto solo la settimana scorsa e nessuno mi aveva suggerito di rinunciare ad avvertimenti minacciosi», ha detto il presidente, riferendosi al suo discorso di ottobre in cui sollevava lo spettro di una terza guerra mondiale. «Ma resto convinto che l´Iran rappresenti un pericolo», ha dichiarato durante una conferenza stampa, convocata per denunciare le inadempienze dei democratici sul bilancio della difesa, e poi trasformatasi in un confronto sulla politica iraniana. «Il rapporto - ha continuato Bush - è anche un segnale d´allarme perché Teheran potrebbe riprendere segretamente e in qualsiasi momento i suoi progetti nucleari». Di qui la richiesta alla comunità internazionale di continuare le sue pressioni diplomatiche («con carota e bastone») e la conferma che gli Stati Uniti non rinunceranno a nessuna opzione, neanche a quella militare: «Perché - ha spiegato - nulla è cambiato». Ma al di là dell´atteggiamento di chiusura della Casa Bianca, è chiaro che il Nie (National intelligence estimate), come viene chiamato il documento delle 16 agenzie dell´intelligence americana coordinate da Mike McConnell, è destinato a ribaltare gli scenari di politica estera. Fino all´altro ieri sembrava che l´Iran sarebbe stato al centro delle tensioni internazionali nell´ultimo anno di presidenza Bush. Sulla base degli allarmi lanciati dall´intelligence del 2005, ora rivelatisi fuorvianti, i falchi americani chiedevano di accelerare i preparativi per un raid militare. Due candidati di punta per la Casa Bianca, Hillary Clinton e Rudy Giuliani, promettevano di affrontare il nodo iraniano in via prioritaria. E lo stesso Iran aveva un atteggiamento ambiguo: da un lato lanciava messaggi tranquillizzanti, dall´altro faceva leva sui presunti programmi nucleari per rafforzare la sua influenza in Medio Oriente. «Adesso le cose sono profondamente cambiate», ha detto l´ambasciatore della Cina all´Onu, Guang Wang, contraddicendo Bush. L´ultimo rapporto Nie, infatti, probabilmente basato sulle rivelazioni di un generale iraniano fuggito in Turchia, Ali Reza Asgari, ridimensiona il pericolo a breve termine di una bomba atomica di Teheran. E anche se Ahmadinejad volesse rilanciare i programmi di armamento nucleare, dicono gli 007, dovrebbe aspettare il 2010-15 per avere una quantità sufficiente di uranio arricchito. Per bocca del ministro degli esteri Manouchehr Mottaki, l´Iran si è rallegrato per le conclusioni dell´intelligence e per l´approccio «più realistico» di molti paesi. Ha anche stigmatizzato le «bugie» di Washington. Ma il vero effetto del Nie è di aver spiazzato gli alleati degli Stati Uniti, che negli ultimi mesi si erano avvicinati a Washington, e di aver dato ragione a quanti, come la Russia di Vladimir Putin, ripetevano di «non avere prove» sui programmi nucleari di Teheran. Il documento riapre anche, dopo l´abbaglio sulle armi di sterminio irachene, gli interrogativi sulla attendibilità della intelligence americana. E indebolisce ulteriormente il ruolo internazionale degli Stati Uniti. Nel tentativo di correre ai ripari Bush ha avuto ieri una conversazione telefonica di 40 minuti con Putin, di cui Mosca ha dato per prima la notizia irritando la Casa Bianca. Il presidente americano ha sollevato qualche dubbio sull´esito delle ultime elezioni russe, ma solo marginalmente, perché ha preferito concentrarsi sul dossier iraniano. «Condividiamo la posizione russa - ha riferito Bush - secondo cui l´Iran ha diritto ad avere un programma di energia nucleare a uso civile, ma dovranno essere altri stati a fornirgli l´uranio arricchito». Al consiglio di sicurezza, questo mese sotto la presidenza dell´Italia, si vedranno le prime conseguenze dei cambiamenti nel quadro internazionale. Nelle settimane scorse i cinque membri permanenti, più la Germania, sembravano puntare verso una terza risoluzione anti-Teheran. Persino la Cina appariva più possibilista e aveva anche sospeso alcuni prestiti all´Iran. Ma ora, anche se la Francia e la Gran Bretagna insistono per le sanzioni, sembra inevitabile che si vada verso un rallentamento dell´iter al Palazzo di vetro e a una ripresa dei negoziati con l´Iran. Sul terreno diplomatico, continua il pressing della Casa Bianca sul Medio Oriente dopo il vertice di Annapolis. Il quotidiano israeliano Haaretz scrive che Bush sarà in Israele nel gennaio prossimo per la sua prima visita da presidente degli Stati Uniti: si recherà anche nei Territori palestinesi.
Silvio Fagiolo sul SOLE 24 ORE, in un articolo intitolato "A Washington ha perso il partito del conflitto", dà ormai per scontato che l'Iran non sia una minaccia e auspica che dopo la pubblicazione del rapporto dell'intelligence americana divenga
meno ossessiva a Tel Aviv la priorità della minaccia iraniana
A parte lo spostamento della capitale israeliana da Gerusalemme a Tel Aviv e la distorsione del significato del rapporto americano, è notevole la completa dimenticanza del fatto che i servizi di intelligence israeliani danno valutazioni decisamente più pessimistiche sul programma nucleare iraniano.
Per Flavio Pompetti del MESSAGGERO "il rapporto dell'intelligence americana "assolve Teheran dall'accusa di lavorare alla costruzione di armi atomiche", ma Bush "non ha cambiato idea".
Anna Momigliano sul RIFORMISTA riporta le reazioni dei repubblicani che criticano la posizione dell'amministrazione Bush, ma non dedica neanche una riga alle reazioni critiche israeliane al rapporto dell'intelligence Usa. Fatto sorprendente, dato sulle pagine del quotidiano arancione è in genere lei a occuparsi di Israele.
Gabriel Bertinetto scrive sull' UNITA'
Bush fa finta di nulla e almeno per ora riconferma la linea dura nei confronti della Repubblica islamica. Come se la Cia, anziché contraddirlo, gli avesse dato ragione.
L'interpretazione del presidente americano del rapporto dell'intelligence è definita "capziosa"
Michele Giorgio sul MANIFESTO attacca Israele e gli esperti israeliani che avvertono che secondo le loro informazioni l'Iran continua a lavorare alla bomba. Ecco l'articolo:
«Spazzata via la politica di Bush su Teheran», titolava ieri il Washington Post riferendo della mazzata inferta alla propaganda dell'Amministrazione dal rapporto dell'intelligence americana secondo cui l'Iran ha fermato nel 2003 il suo programma di sviluppo di armi nucleari. Ma è stato un colpo anche per Israele? Non sembra, almeno ad ascoltare le reazioni contrarie che il rapporto ha suscitato in Israele. Per il governo Olmert e un nutrito coro di esperti e analisti, veri o presunti, i servizi americani non hanno capito «un tubo». L'Iran continua a lavorare per dotarsi della bomba atomica, ha assicurato ieri Israele e il più lesto a scendere in campo per contraddire le conclusioni del rapporto è stato Ehud Barak. «L'Iran continua a lavorare alla fabbricazione di una bomba nucleare», ha proclamato il ministro della difesa, aggiungendo che se è possibile che Tehran abbia interrotto in passato il processo di arricchimento dell'uranio, in seguito l'ha ripreso. A Tel Aviv temono che la pressione internazionale contro la Repubblica islamica possa allentarsi, rinviando a tempo indeterminato l'attacco militare contro le centrali atomiche iraniane proprio nel momento in cui i neocons superstiti (ma sempre molto influenti) nell'Amministrazione Bush, e Israele avevano cominciato a prepararlo. Gli attacchi feroci lanciati di recente da Tel Aviv al capo dell'Aiea Mohammed ElBaradei ne sono una dimostrazione. Olmert ha così reagito: «È vitale continuare gli sforzi per impedire che l'Iran si doti di armi non convenzionali...faremo tutti gli sforzi, con i nostri amici, soprattutto con gli Usa, per fermare Teheran». Tel Aviv ora lancerà la sua controffensiva diplomatica e mediatica che, prevedibilmente, si intensificherà nelle prossime settimane. Tuttavia non vi è dubbio che il rapporto dei servizi americani abbia preso in contropiede gli israeliani. Il quotidiano Yediot Ahronot ha parlato di «choc» e di «doloroso colpo alla politica di Israele che tenta di convincere il mondo della necessità di risolvere con urgenza il problema iraniano». Un altro quotidiano, Maariv, ha riferito della «sorpresa» tra i dirigenti israeliani e aggiunto che il rapporto permette agli iraniani di «fregarsi le mani». «Non è la prima volta che l'intelligence Usa cambia orientamento sul nucleare iraniano», ha commentato Efraim Kam, specialista di Iran. «Questo, ha aggiunto, complica l'eventualità di lanciare un'operazione militare contro le installazioni nucleari iraniane e rende più difficile giustificare un attacco israeliano». «Gli iraniani sono in grado di ingannare i servizi occidentali. Non sarebbe la prima volta, hanno sistemi molto efficaci», ha rincarato Meir Javedenfar, analista di origine persiana e autore di «The Nuclear Sphynx of Tehran», la bibbia dei sostenitori dell'attacco militare all'Iran. La mazzata peraltro è giunta nelle stesse ore in cui il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad parlava di fronte al 28esimo vertice del Consiglio di Cooperazione dei sei paesi del Golfo (GCC) che si è svolto due giorni fa a Doha, in Qatar. Un discorso storico perché la presenza del leader iraniano è stata decisa all'unanimità dagli Stati membri, tutti alleati di Washington, e che non hanno mai nascosto la loro ostilità nei confronti della repubblica nata dalla rivoluzione islamica di Khomeini. Un passo in apparenza contrario al recente incontro di Annapolis durante il quale George Bush ha cercato di costruire un'alleanza anti-Iran, mettendo insieme paesi arabi e Israele. «Siamo vicini e abbiamo convissuto per migliaia di anni in pace e così sarà il nostro cammino per l'eternità», ha detto Ahmadinejad proponendosi come «settimo partner» del Gcc. Forse non basterà a evitare la guerra ma certo la ritarda. Il quotidiano gratuito METRO denuncia le posizioni "intransigenti" dell'amminstrazione Bush, della Francia, della Gran Bretagna e soprattutto di Israele verso Teheran.
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