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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.12.2007 Il rapporto dell'intelligence americana sul nucleare iraniano
retroscena e reazioni politiche negli Usa

Testata:Il Giornale - Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Alberto Pasolini Zanelli - p.ped. - Guido Olimpio
Titolo: «Bush: L'Iran è un pericolo per il mondo - Per bush l'Iran resta una minaccia e per fermarla c'è bisogno di Putin - Il «programma segreto» ultima carta dei falchi Usa»

Da pagina 15 del GIORNALE del 5 dicembre 2007:

Washington
- George Bush non ha perso tempo ad intervenire di persona nella fragorosa polemica sollevata dall’annuncio, da parte dei servizi segreti americani, che l’Iran ha smesso da quattro anni di lavorare a un progetto di costruzione dell’arma nucleare. Una rivelazione contenuta in un rapporto firmato fra gli altri anche dalla Cia e dal Consiglio di Sicurezza nazionale, che rischia di mettere in serio imbarazzo un presidente che si è ripetutamente detto certo che gli iraniani lavorassero alla «bomba»; l’ultima volta quando le indicazioni in contrario avrebbero potuto già essere state portate alla sua conoscenza. Laddove il rapporto del 2005 affermava di essere «ragionevolmente sicuro» che l’Iran «è oggi deciso a sviluppare armi nucleari», il rapporto del 2007 dice di essere «ragionevolmente sicuro» che questi esperimenti sono stati interrotti nell’autunno 2003».

Bush non ha negato i fatti, ma li ha inquadrati in una visione più ampia e più profonda. L’Iran, ha detto, «resta una minaccia per il mondo» nonostante le nuove informazioni. Anzi, il rapporto dei servizi segreti «è un segnale d’allarme: se hanno fermato il programma vuol dire che lo avevano cominciato e dunque che potrebbero farlo ripartire. L’Iran era un pericolo, è un pericolo, sarà un pericolo se avrà il know how nucleare». L’uomo della Casa Bianca dunque non ritratta niente, né nella forma né nella sostanza. Almeno in apparenza, perché la pubblicazione del rapporto in questo momento e l’identità dei firmatari indica che un qualche riesame, almeno tattico se non strategico, è in corso a Washington.Da tempo si sapeva di un contrasto tra la linea dei più intransigenti (il vicepresidente Cheney e i suoi consiglieri «neoconservatori») e quella più pragmatica in cui si riconoscono il segretario di Stato Condoleezza Rice e il ministro della Difesa Gates, che non sono delle «colombe», ma che credono nell’utilità della diplomazia, delle pressioni economiche e della ricerca del consenso internazionale. Il documento della Cia non riflette in realtà un ripudio della strategia americana nei confronti dell’Iran, ma semmai della retorica con cui essa è stata condotta finora con la partecipazione personale del presidente. Divergenze dovute anche alla coincidenza tra la campagna elettorale negli Usa e la crisi con Teheran. Il presidente iraniano Ahmadinejad, che insiste con lo sviluppo della politica nucleare, ha più volte affermato di volere cancellare Israele dalla carta geografica: E proprio iewri, fonti di stampa israeliana, hanno annunciato che Bush visiterà lo Stato ebraico e Territori palestinesi in gennaio.
La pubblicazione del rapporto ha indotto a ricompattare le iniziative diplomatiche con Paesi come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna. Più esplicito di tutti il linguaggio di Gordon Brown. Ma restano forti ostacoli, soprattutto in seno all’Onu. La Cina ha comunicato, per bocca del suo ambasciatore alle Nazioni Unite, Wang Guangya, che «le cose sono cambiate: l’Onu deve prendere in considerazione le informazioni contenute nel nuovo rapporto». Linea evidentemente dettata dal presidente Hu Jintao. Quanto all’ambasciatore russo, Vitaly Churkin, egli ha detto che il rapporto dà ragione alla nostra posizione». Opinione sostanzialmente condivisa dall’egiziano El Baradei, direttore dell’Aiea e oggetto di numerose critiche da parte americana per il suo atteggiamento «morbido» nei confronti dell’Iran.

Washington. Nulla cambia della strategia americana nei confronti di Teheran: il National Intelligence Estimate (NIE), il più autorevole report di intelligence dell’Amministrazione Bush, è “un avvertimento” per il regime iraniano, che non vuole essere chiaro sul suo programma nucleare e che intanto continua a testare missili balistici. George W. Bush non abbassa la guardia, non esclude alcuna alternativa per governare un Iran “che era, è e sarà pericoloso”, perché “manca di trasparenza”, mette in opera le centrifughe, arricchisce uranio. Il report dell’intelligence – che ha stabilito che dal 2003 Teheran ha sospeso il programma nucleare militare – dimostra che sanzioni e pressioni funzionano, quindi devono continuare: l’Iran ha sospeso il riarmo “soprattutto in risposta alla pressione internazionale – stabilisce il NIE – e le decisioni dei mullah “sono guidate da un approccio costi-benefici invece che da una corsa a una bomba che non tenga conto dei costi politici, economici e militari”. I costi sono alti per i mullah, ma anche per l’occidente, perché “le aziende hanno paura di perdere quote di mercato in Iran”, ha detto Bush. Ma si va avanti: il Consiglio di sicurezza sta cercando di predisporre una bozza per un un terzo pacchetto di misure economiche contro il regime di Mahmoud Ahmadinejad. Poi ci sono le sanzioni unilaterali su cui sono d’accordo gli Stati Uniti (che già le applicano), la Francia e la Gran Bretagna (c’è un “nì” della Germania, e un sostanziale “no” dell’Italia). Per questo ieri sia Parigi sia Londra hanno dichiarato di non voler cambiare strategia: “Il report dell’intelligence conferma che avevamo ragione a essere preoccupati del fatto che l’Iran stesse cercando di sviluppare armi nucleari – ha detto il premier britannico Gordon Brown – e mostra che il programma di sanzioni e la pressione internazionale hanno avuto effetto”. Coinvolgere tutta la comunità internazionale in questo piano potrebbe essere ora più difficile, come ha spiegato al New York Sun Kenneth Pollack, consigliere ai tempi di Bill Clinton sui temi mediorientali – “il report non sarà d’aiuto, anche se non è ancora chiaro quanto debilitante potrà essere”.

Dal FOGLIO (prima pagina):

Washington. Nulla cambia della strategia americana nei confronti di Teheran: il National Intelligence Estimate (NIE), il più autorevole report di intelligence dell’Amministrazione Bush, è “un avvertimento” per il regime iraniano, che non vuole essere chiaro sul suo programma nucleare e che intanto continua a testare missili balistici. George W. Bush non abbassa la guardia, non esclude alcuna alternativa per governare un Iran “che era, è e sarà pericoloso”, perché “manca di trasparenza”, mette in opera le centrifughe, arricchisce uranio. Il report dell’intelligence – che ha stabilito che dal 2003 Teheran ha sospeso il programma nucleare militare – dimostra che sanzioni e pressioni funzionano, quindi devono continuare: l’Iran ha sospeso il riarmo “soprattutto in risposta alla pressione internazionale – stabilisce il NIE – e le decisioni dei mullah “sono guidate da un approccio costi-benefici invece che da una corsa a una bomba che non tenga conto dei costi politici, economici e militari”. I costi sono alti per i mullah, ma anche per l’occidente, perché “le aziende hanno paura di perdere quote di mercato in Iran”, ha detto Bush. Ma si va avanti: il Consiglio di sicurezza sta cercando di predisporre una bozza per un un terzo pacchetto di misure economiche contro il regime di Mahmoud Ahmadinejad. Poi ci sono le sanzioni unilaterali su cui sono d’accordo gli Stati Uniti (che già le applicano), la Francia e la Gran Bretagna (c’è un “nì” della Germania, e un sostanziale “no” dell’Italia). Per questo ieri sia Parigi sia Londra hanno dichiarato di non voler cambiare strategia: “Il report dell’intelligence conferma che avevamo ragione a essere preoccupati del fatto che l’Iran stesse cercando di sviluppare armi nucleari – ha detto il premier britannico Gordon Brown – e mostra che il programma di sanzioni e la pressione internazionale hanno avuto effetto”. Coinvolgere tutta la comunità internazionale in questo piano potrebbe essere ora più difficile, come ha spiegato al New York Sun Kenneth Pollack, consigliere ai tempi di Bill Clinton sui temi mediorientali – “il report non sarà d’aiuto, anche se non è ancora chiaro quanto debilitante potrà essere”.
E’ arrivata subito la reazione dell’ambasciatore cinese al Palazzo di Vetro, Guangya Wang, secondo cui il documento dell’intelligence “cambia le cose”. Così la bozza di cui si è discusso venerdì scorso con il sottosegretario americano Nicholas Burns, sul quale Pechino aveva dato un assenso di massima, dovrà essere ridiscussa. I tempi si allungheranno facendo il gioco del regime di Teheran che conta sulle divisioni e sull’arrivo alla Casa Bianca di un nuovo inquilino. Sull’attendibilità del report dell’intelligence grava lo scetticismo di analisti come Norman Podhoretz e Michael Ledeen, ma Bush lo considera un avvertimento e non vuole cambiare il percorso su cui cammina da quattro anni la sua diplomazia – diplomazia che era più docile prima che Ahmadinejad prendesse il potere e cominciasse a rifiutare una dopo l’altra le offerte e le trattative – e per questo ieri mattina, come prima cosa, ha telefonato a Vladimir Putin. Come scriveva ieri Philip Gordon sul Financial Times, il Cremlino è strategico nel governare la minaccia iraniana, non soltanto perché siede nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma anche e soprattutto perché decide se e come fornire tecnologia, ingegneri e materiale alle centrali iraniane. Come ha investito nella centrale di Bushehr, così Putin ha poi deciso – ufficialmente per via di fatture non pagate – di sospendere il suo sostentamento a uno dei siti strategici del piano nucleare della Repubblica islamica. Il vai e vieni tra Mosca e Teheran di funzionari e negoziatori – ieri il caponegoziatore Saeed Jalili era in Russia – testimonia il ruolo strategico di Putin. Così Bush – che è stato “sincero” e ha espresso le sue “preoccupazioni sull’esito delle elezioni” plebiscitarie di domenica scorsa – ha discusso per quaranta minuti con Putin sulla strategia in medioriente, in particolare in Iran. Poco dopo il capo del Cremlino ha detto a Jalili: “Ci aspettiamo che tutti i vostri programmi nucleari siano trasparenti e sotto il controllo dell’Agenzia atomica dell’Onu”. I problemi naturalmente restano: le sanzioni implicano la collaborazione sia del settore privato, che dovrebbe rinunciare a lauti profitti, sia di governi come quello cinese, che non è disposto a rinunciare alle risorse. Ma le pressioni funzionano, quindi continueranno.

Dal CORRIERE della SERA (pagina 14):

WASHINGTON — «Non sappiamo quello che non sappiamo ». La frase pronunciata una volta dall'ex segretario alla Difesa Rumsfeld calza alla perfezione con il dossier Iran. Nel senso che gli 007 non sono in grado di raccontare cosa Teheran realmente combini. Il rapporto Nie ha forse colto di sorpresa la Casa Bianca, ma non gli addetti ai lavori. E' da un anno che le spie mettono le mani avanti lamentandosi della difficoltà di infiltrare i mullah. Probabilmente perché non dispongono di «talpe» affidabili e alcune delle fonti — specie quelle dell'opposizione iraniana — tendono ad esagerare la minaccia. Senza contare poi l'atteggiamento dei rappresentanti iraniani. Ad ascoltare gli annunci roboanti di Ahmadinejad e dei suoi ministri si potrebbe pensare che l'Apocalisse è vicina. Non c'è giorno senza che l'Iran riveli la produzione di nuove mirabolanti armi: missili capaci di raggiungere il sud Europa, sottomarini fantasma, battelli che volano. Una miscela di ordigni letali — è il caso dei missili, presenti in gran numero — e trovate propagandistiche. Ma che finiscono comunque nei rapportini dell'intelligence: tocca poi agli analisti distinguere tra l'aspirapolvere e il cannone.
Per preparare il Nie ( National intelligence estimate), i servizi di informazione hanno messo insieme tasselli non omogenei. Il primo è venuto dall'orecchio elettronico della Nsa, l'agenzia che spia le comunicazioni. Nella sua rete sono rimaste impigliate conversazioni tra alti funzionari iraniani che si lamentavano dello stop al programma atomico. L'esatto contrario di quanto avvenne in Iraq: allora i generali, fidandosi delle minacce di Saddam, erano sicuri di possedere armi di distruzione di massa. E lo dicevano al telefono. Poi si è scoperto che il raìs ha tentato il bluff perché voleva intimorire non gli Usa ma l'Iran.
Il secondo tassello ha dell'incredibile. Gli 007 avrebbero tratto prove importanti dal video diffuso dagli iraniani in occasione di una visita di giornalisti ad un impianto nucleare. Foto e filmati, sostengono fonti della sicurezza, hanno confermato il sospetto di molti scienziati: Teheran prima di arrivare alla bomba deve superare una serie di ostacoli tecnici. Se non siamo davanti ad una barzelletta, gli ayatollah sapranno come regolarsi in futuro. Crei una «scena», inviti i reporter e lasci che raccontino. Non male per un Paese che sospetta di tutto e di tutti. Solo pochi giorni fa Ahmadinejad ha accusato l'ex negoziatore Mousavian di aver passato dati sensibili all'estero.
Chi lo avrebbe fatto di sicuro è Ali Reza Asghari, scomparso da quasi un anno e probabilmente nascosto in Occidente. Generale dei pasdaran, coinvolto nei piani militari, il transfuga potrebbe aver dato agli americani le informazioni che hanno «assolto » l'Iran. Quando era svanito nel nulla, dopo un viaggio in Turchia, si è subito pensato ad una sofisticata operazione della Cia o del Mossad per avere un teste decisivo. L'uomo che avrebbe fornito la pistola fumante fornendo le informazioni mancanti sull'atomica. Invece, secondo fonti citate dalla Cnn, avrebbe sostenuto esattamente l'opposto. La storia di Asghari ricorda quella di Hussein Kamel, l'influente genero di Saddam. Fuggito in Giordania nel 1995 avrebbe spiegato agli americani che non c'erano più armi di distruzione di massa. Sappiamo come è andata a finire: Kamel è tornato a Bagdad e lo hanno giustiziato, Bush ha invaso comunque l'Iraq.
Infatti i falchi dell'amministrazione introducono sul tavolo una variabile sollecitando il conforto di qualche scienziato. La tesi è quella del programma «segreto». Teheran avrebbe bloccato il piano tradizionale — quello sotto l'occhio di tutti — per favorire lo sviluppo clandestino dell'arma nucleare. Uno scenario che bene si adatta alla regola del «non sappiamo quello che non sappiamo» e permette di tenere sotto pressione gli iraniani. In questo quadro potrebbero spuntare «rivelazioni » su impianti top secret mentre Washington insisterà sulla richiesta di trasparenza avanzata anche dall'Aiea. Strategia che tiene conto della passione di Ahmadinejad per la sfida continua e dei sospetti dei mullah più conservatori. Increduli davanti al rapporto hanno ipotizzato che possa nascondere una manovra. C'è tempo per altre sorprese.

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