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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Manifesto Rassegna Stampa
30.11.2007 Quel che Olmert vuole evitare, per la disinformazione è già realtà
l'ambiguità di Francesca Paci, la propaganda di Michele Giorgio

Testata:La Stampa - Il Manifesto
Autore: Francesca Paci - Michele Giorgio
Titolo: «Olmert: se non nasce lo Stato palestinese Israele è spacciata - Olmert: due Stati. Se no è il Sudafrica»

Da La STAMPA del 30 novembre 2007 (pagina 17), un articolo di Francesca Paci sulle dichiarazioni del premier israeliano Olmert al quotidiano Haaretz.
Benchè Olmert abbia detto che Israele deve evitare di diventare come il Sudafrica dell'apartheid, e benché la Paci lo spieghi,  nell'articolo ricorrono espressioni come
"parallelo diretto con il sistema razzista",  "parallelo con il Sud Africa" , "esempio dell'apartheid", "condizione di segregazione" (dei palestinesi) che fanno sembrare che il paragone si riferisca allo Stato ebraico così com'è oggi.

Ecco il testo:

«Se lo Stato palestinese non dovesse nascere, Israele scomparirebbe in breve come il Sud Africa dell'apartheid». Di ritorno dalla tre giorni di Annapolis il premier israeliano Ehud Olmert sciocca i connazionali con un'affermazione esplosiva. Il paragone con la storia degli «africaner», evocato solitamente dai pacifisti radicali di Peace Now o dai palestinesi per indicare la propria condizione di segregazione, turba gli israeliani che, secondo un sondaggio del quotidiano Haaretz, considerano Annapolis un fallimento. Il 42 per cento si dice deluso dal vertice voluto dal presidente americano George W. Bush, il 17 crede nella possibilità di sviluppi positivi, il 9 per cento nicchia «senza opinione», deluso da anni di aspettative abortite.
Olmert aveva già denunciato in passato il rischio che la demografia lavorasse contro Israele a favore degli arabi, ma i politici e l'esercito hanno sempre rifiutato il parallelo diretto con il sistema razzista una volta in vigore in Sud Africa. Adesso, dopo l'accordo per un nuovo ciclo di colloqui di pace con il collega Abu Mazen in vista della creazione di uno Stato palestinese entro la fine del 2008, l'affondo: «Se dovesse naufragare la soluzione “due-popoli per due-Stati”, verrà il giorno in cui ci troveremo in mezzo a una guerra per l'eguaglianza dei diritti di stile sudafricano e a quel punto Israele scomparirà».
Nel giorno del sessantesimo anniversario della dichiarazione delle Nazioni Unite sulla divisione della Palestina in uno Stato ebraico e uno arabo, il famoso Partition Plan (29 novembre 1947), una data che anticipa di qualche mese i festeggiamenti per i sessant'anni d'Israele, la dichiarazione di Ehud Olmert fa discutere. Secondo il premier l'unica possibilità di mantenere il carattere democratico di Israele con una solida maggioranza ebraica è «ritirarsi dalla maggior parte della Cisgiordania e da parte di Gerusalemme Est, ultimando il processo cominciato con il ritiro da Gaza nel 2005». Oggi l'80 per cento della popolazione israeliana è ebrea, gli arabi sono circa un milione e mezzo. Ma nell'ipotesi in cui la Cisgiordania e Gaza venissero incluse i rapporti di forza si rovescerebbero. Per questo, sostiene Olmert, la creazione di due Stati vicini è la sola prospettiva accettabile per la sopravvivenza nazionale. Il parallelo con il Sud Africa però è una novità: nonostante alcuni ufficiali giurano ora che recentemente il premier avesse già usato in privato l'esempio dell'apartheid, è la prima volta che lo fa in pubblico in modo così diretto.

Prevedibilmente, la cronaca di Michele Giorgio sul MANIFESTO (pagina 11) va molto più in là rispetto a quella della STAMPA.
Non solo perché il giornalista del quotidiano comunista afferma a chiare lettere che Israele, per lui,  è già un regime di apartheid, ma anche perché secondo il suo giudizio lo resterebbe anche dopo la nascita di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, che sarebbe soltanto un "batustan" economicamente dipendente.
Si tratta di tesi puramente propagandistiche, senza nessun legame con la realtà.
Israele, oggi, assicura l'eguaglianza di diritti civili e politici ai suoi cittadini arabi.
E un futuro Stato palestinese non sarebbe un bantustan. Questi ultimi erano stati tribali insediati  in fazzoletti di terra completamente circondati dal Sudafrica, governati da uomini scelti dai governanti bianchi e sostanzialmente senza popolazione, dato che i neri erano concentrati nei ghetti urbani delle grandi città.
Nessuna di queste condizioni si verificherebbe in un ipotetico Stato palestinese.
Se Israele è poco più grande del Piemonte, i Territori palestinesi hanno grosso modo le dimensioni della provincia di Torino. Le proporzioni tra i due stati sarebbero dunque del tutto diverse da quelle tra il Sudafrica e i bantustan.
Lo Stato palestinese sarebbe governato da storici dirigenti del movimento nazionale palestinese. Se davvero fosse  un "bantustan", sarebbe un bantustan governato dall'African National Congress.  Inoltre, avrebbe come "retrotterra" il mondo arabo-islamico: è Israele ad essere circondato.
In quanto alle dipendenza economica: con una buona amministrazione, un mercato libero e l' uso degli aiuti internazionali per lo sviluppo e non per la propaganda d'odio, la guerra e la corruzione,  non sarebbe un destino.
Nel mondo vi sono molti esempi di solide economie sviluppatisi in territori ridotti, partendo da condizioni di povertà (Hong Kong, Singapore).
In una situazione di pace, inizialmente, l'economia palestinesepotrebbe comunque trarre molti benefici dall'interscambio con quella israeliana, indubbiamente più sviluppata e forte. 
La propaganda di Giorgio è rivolta contro la soluzione a due stati del conflitto israelo-palestinese. Rigettata la soluzione a due stati, la "soluzione" prospettata è la fine di Israele.
Ecco il testo:

Forse è solo una coincidenza ma Ehud Olmert, all'indomani dell'incontro di Annapolis e proprio nel sessantesimo anniversario della risoluzione 181 dell'Onu che nel 1947 stabilì la spartizione della Palestina in due Stati, arabo ed ebraico, ha sottolineato la necessità di realizzare la soluzione dei due Stati. Altrimenti, ha ammonito, Israele come Stato ebraico sarà destinato a sparire, come il Sudafrica bianco dell'apartheid. Un timore, quello di Olmert, causato da note tendenze demografiche e che il primo ministro ha espresso in un'intervista apparsa sul quotidiano Haaretz. «Se si arrivasse al giorno in cui la soluzione di due Stati dovesse scomparire e ci trovassimo davanti a un tipo di lotta come in Sudafrica per uguali diritti di voto (anche ai palestinesi dei Territori, ndr), allora da quel momento lo Stato di Israele sarebbe spacciato», ha spiegato Olmert. Israele, ha aggiunto, si troverebbe del tutto isolato: «Le organizzazioni ebraiche negli Usa sarebbero le prime a prendere posizione contro di noi perché diranno di non poter appoggiare uno Stato che non sostiene la democrazia e uguali diritti di voto per tutti». Premesso che le organizzazioni filo-Israele negli Stati uniti (e non solo) sostengono la situazione di apartheid che si sta realizzando nei Territori occupati con il completamente del muro e la cortina fumogena delle necessità di sicurezza, il riferimento fatto da Olmert al sistema di segregazione sudafricano abbattuto da Nelson Mandela è molto importante. Il premier in sostanza ha ammesso che quello che si sta materializzando nei Territori occupati è un regime di apartheid. I numeri e le tendenze demografiche parlano chiaro. In Israele il 20% dei suoi sette milioni di abitanti sono palestinesi a cui si aggiungono altri quattro milioni che vivono in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Tra qualche anno, una decina probabilmente, nel territorio storico della Palestina - Israele e la porzione occupata militarmente - i palestinesi saranno la maggioranza. La conferma dello status quo produrrebbe perciò una situazione in cui una minoranza ebraica, più ricca e potente, controllerebbe una maggioranza palestinese priva di diritti politici e senza il controllo del territorio e delle sue risorse. Olmert vuole due Stati perché questa soluzione gli darebbe la possibilità di tracciare una divisione netta, per la legge internazionale, tra un Israele «patria del popolo ebraico» e un bantustan arabo patria dei palestinesi dove, peraltro, far «tornare» i profughi del 1948 che perderebbero il loro diritto a rientrare alle località di origine in Israele. Quello che il premier non dice inoltre è che questo Stato palestinese sarà a sovranità limitata, indipendente a parole ma in realtà sotto il controllo di Israele, specie in economia. Il piano di Olmert è cambiare tutto per non cambiare nulla. Il presidente Abu Mazen, con la sua debolezza e mancanza di prospettiva, appare il dirigente palestinese ideale per realizzare questo progetto partorito ad Annapolis ad inizio settimana ma che è stato concepito da molti anni. Olmert e una buona fetta dell'establishment politico temono che il fallimento della soluzione basata su due Stati riproponga con forza la richiesta di costituire uno Stato binazionale - un numero crescente di palestinesi comincia a rivalutare questa possibilità e una minoranza sparuta di israeliani a considerarla - e quindi si arriverebbe alla fine dello Stato creato dal movimento sionista ebraico. Le parole del premier sono allo stesso tempo un avvertimento e una richiesta di aiuto all'opposizione di destra, una esortazione a mettere fine alle proteste per lavorare insieme. La destra e il movimento dei coloni tuttavia non daranno il loro «contributo», poichè non vedono la necessità di rimescolare le carte per arrivare ad un apartheid legalizzato visto che sul terreno i palestinesi sono già rinchiusi nelle loro città-bantustan della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza senza che questo turbi la comunità internazionale. Il disinterresse è così forte che da settimane viene ignorata l'uccisione quotidiana a Gaza di 3-4 palestinesi da parte israeliana. Da ieri comunque Olmert ha una preoccupazione in meno: la polizia ha chiesto di archiviare le indagini sui suoi maneggi nella privatizzazione della Banca Leumi. La decisione finale è del procuratore generale ma l'incriminazione sembra a questo punto esclusa.

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