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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
27.11.2007 E a Gaza Hamas proclama il suo no
un confronto tra quotidiani

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Davide Frattini - Francesca Paci
Titolo: «Hamas celebra il «summit del no» «Non rispetteremo i loro accordi» - E' tutto un bluff e gli arabi ci cascano»

Dal CORRIERE della SERA del 27 novembre la corretta cronaca di Davide Frattini, inviato a Gaza:

GAZA — Il giardino è ben curato. Le guardie di Hamas controllano chi entra e chi esce, innaffiano i fiori di Abu Ala. L'ex primo ministro guida i negoziatori palestinesi ad Annapo-lis, il suo potere a Gaza non esiste più. Negli uffici, lavorano i consiglieri di Ismail Haniyeh, che usa queste stanze come base non ufficiale. Qui sono stati esiliati i pochi (due) che hanno tentato di contrastare la linea oltranzista del movimento. Gazi Hamad, ex portavoce di Haniyeh, non ci viene neppure più. Resta in casa a Rafah, nel sud della Striscia, da quando l'organizzazione gli ha fatto capire di aver osato troppo.
Ahmed Youssef è ancora il suggeritore politico del premier cacciato sette mesi fa da Abu Mazen. È chiamato l'«americano», per gli anni passati negli Stati Uniti e il buon inglese. Nel giorno di Annapolis, parla anche lui la lingua senza compromessi di Mohammed Zahar, quello che tra i leader ha preso il sopravvento. «Solo la gente di Ramallah è felice di questa conferenza. I sondaggi raccontano che i palestinesi sostengano le scelte di Abu Mazen. La mia impressione è che abbiano chiesto a quelli che vivono attorno alla sua residenza».
Che Abu Mazen fosse pronto a volare da George Bush non sorprende Hamas. La rabbia viene dalla partecipazione di sedici Paesi arabi. «Siamo scioccati — commenta Fawzi Barhoum, uno dei portavoce —. Così le nazioni arabe aprono la porta alla normalizzazione con gli occupanti israeliani. Piuttosto ci saremmo aspettati una decisione unanime che rompesse l'assedio economico ».
Nel suo piccolo negozio a Gaza, Tareq Abu Dayya vende una tazza celebrativa. Con istruzioni per l'uso pessimiste. Una colomba porta un ramo di ulivo, la prima scritta recita: «Da conservare in ricordo di Annapolis ». Un'altra avverte: «Se la conferenza è un fallimento, siete pregati di rompere la tazza». Hamas vede già i cocci e ha convocato il suo «vertice del rifiuto», perché la profezia si avveri. Nella sala del centro culturale, arrivano in un migliaio. Sul palco, Haniyeh è affiancato da Zahar e Mohammed Al Hindi della Jihad islamica. Il Fatah, la fazione di Abu Mazen, non c'è, i suoi leader si nascondono, ricercati dalla polizia di Hamas.
L'ex premier parla poco: «Qualunque impegno sottoscritto ad Annapolis vincolerà solo chi lo firma». Il più duro è Zahar: «La terra dei palestinesi è posseduta dai palestinesi. Nessuna persona, gruppo, governo o generazione ha il diritto di cederne un centimetro». La terra che Zahar sogna va «dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo». Israele per lui non può esistere e chiunque cerchi il negoziato «è un traditore».

Di seguito, riportiamo l'intervista di Francesca Paci a Mahmoud Al Zahar, capo di Hamas.
In essa la giornalista definisce "grande capo di Hamas in esilio" Khaled Meshal, in realtà un terrorista che opera da Damasco, non un esule.
Non replica alle falsità proclamete da Al Zahar
("Storicamente Israele non esiste").
Quando Al Zahar dichiara esplicitamente che Israele non ha diritto ad esistere, passa ad un altro argomento (l'adesione della Siria ad Annapolis).

Ecco il testo

«Abbiamo visto decine di vertici come Annapolis, passerà anche questo: il tempo è dalla nostra parte». Mahmoud al Zahar, gessato blu e kefia al collo, esce dalla porta posteriore del Rashada Shawa Center di Gaza dopo la Conferenza del Popolo Palestinese, il controvertice di Annapolis organizzato ieri da Hamas, dalla Jihad Islamica e dai gruppi palestinesi contrari al dialogo con Israele. L’ex premier di Hamas, Ismail Haniyeh, seduto alla sua destra durante le tre ore del meeting, si allontana in direzione opposta. Pur restando alla guida del «governo rivoluzionario» di Gaza, Haniyeh ha perso terreno rispetto all’ala radicale del partito capitanata da Mahmoud al Zahar, il chirurgo sessantaduenne coofondatore di Hamas insieme allo sceicco Yassin, l’uomo forte che sostiene le Brigate al-Qassam e incanta la gioventù perduta di Gaza con l’epica del martirio.
Dottor al Zahar, se fosse stato invitato ad Annapolis sarebbe stato meno duro?
«Non sarei andato ad Annapolis neppure se mi avesse convocato personalmente George Bush».
Perché?
«Annapolis è un bluff. Mentre i leader mondiali si incontrano nel Maryland la sofferenza del popolo palestinese continua. Anche oggi (ieri ndr.) l’esercito israeliano ha ucciso quattro nostri combattenti. L’America usa Annapolis per la campagna elettorale di Bush, il criminale dell’Afghanistan e dell’Iraq, l’erede dei criminali di Hiroshima e del Vietnam».
Uno dei partner di Bush è Abu Mazen, il legittimo presidente palestinese. Ha un messaggio per lui?
«Non ci capiamo da tempo. Mahmoud Abbas non parla più arabo ma ebraico con inflessione americana. Ci ha stancato. Siamo pronti a incontrare Fatah e mettere una pietra sopra ai fatti di giugno ma a patto che si torni alla nostra piattaforma: nessuna concessione a Israele e ai nemici del popolo palestinese».
Il ministro degli Esteri palestinese al Malki dice esattamente l’opposto: Hamas deve consegnare le armi, sciogliere le sue milizie e assumersi la responsabilità del colpo di Stato compiuto a Gaza nel giugno scorso. Cosa risponde?
«Ognuno vada per la sua strada».
Ad Annapolis partecipano 17 Paesi arabi: ognuno per la sua strada?
«I Paesi arabi sbagliano a voler regolarizzare i loro rapporti con Israele. Come se fosse possibile. Non devono accettare l’ingerenza esterna su questioni che riguardano gli interessi nazionali palestinesi e quelli dell’intero mondo musulmano».
Quali sarebbero questi interessi?
«Il diritto al ritorno di tutti i profughi palestinesi, Gerusalemme capitale, lo Stato Palestinese indipendente dal fiume al mare».
Dal fiume Giordano al mar Mediteranneo? E Israele?
«Storicamente Israele non esiste. La soluzione è la Palestina casa madre di musulmani, cristiani e, se lo vogliono, ebrei».
L’adesione della Siria ad Annapolis indebolisce Hamas?
«La Siria deve andare ad Annapolis per affrontare la questione del Golan occupato. Non siamo d’accordo strategicamente ma il sostegno siriano alla lotta del popolo palestinese non verrà meno».
Eppure pare che ora il grande capo di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, portrebbe spostarsi da Damasco a Teheran.
«Il nostro leader resterà a Damasco. Comunque a Teharan non avrebbe problemi».
E se il vertice di Annapolis alla fine producesse un accordo?
«Non ci sarà alcun accordo. Al massimo torneranno tutti a casa con la speranza di aver piantato un seme, come a Madrid o a Oslo. E passeranno altri anni».
Hamas invece cosa produce?
«Andiamo avanti con tutti i mezzi. Con quelli pacifici come la manifestazione di stamattina contro il vertice di Annapolis, e con quelli bellicosi. Abbiamo le nostre armi e non staremo a guardare i crimini che Israele commette ogni giorno».

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