martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.11.2007 Israele vorrebbe un Medio Oriente di stati islamici
lo sostiene il poeta Adonis, con il tacito consenso della sua intervistatrice

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 novembre 2007
Pagina: 10
Autore: Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Separare la religione dallo Stato»

Intervistato da Cecilia Zecchinelli per il CORRIERE della SERA del 23 novembre 2007, il poeta libanese Adonis ripartisce equamente le rssponsabilità della crisi libanese tra  "Paesi arabi e Occidente".
Strano non venga neppure ric la particolare responsabilità di coloro che vogliono fare del Libano una base per il terrorismo antisraeliano (oggi, Hezbollah e Iran, in passato, l'Olp), o di coloro che vorrebbero annetterselo e ne condizionano con la violenza la vita politica (la Siria).
Sembrerebbe impossibile equiparare queste responsabilità a quelle degli Stati Uniti e della Francia che difendono l'indipendenza del paese, o a quelle di Israele, che si difende. Ma Adonis lo fa.
Una menzione speciale, invece, la dedica a Israele, che falsamente definisce
"uno Stato religioso" che  "vuole creare Paesi omologhi, basati sulla fede. "
Meno male che Adonis dovrebbe essere un "moderato" !
Nessuna replica da parte dell'intervistatrice.

Ecco il testo dell'intervista:

«Un Paese arabo radicalmente diverso da tutti. Io lo chiamo un Progetto, aperto sull'avvenire. Ma rischiamo di perderlo. La crisi, credo, verrà rimandata ma non risolta». È libanese di adozione il più grande poeta arabo vivente: Ali Ahmad Said Asbar, che 60 anni fa scelse di chiamarsi Adonis dal nome del dio della morte e della rinascita, arrivò a Beirut dalla Siria ancora ragazzo, ne ripartì nel 1975 con la guerra civile. Da allora vive a Parigi, continua a scrivere, gira il mondo per premi (tre volte ha sfiorato il Nobel), per convegni (a Milano, martedì, per quello del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente). Ma a Beirut continua a tornare, il Paese resta per lui un riferimento, un simbolo. Spesso un dolore.
Cosa sta succedendo in Libano? Perché ritiene che la sua crisi sia così particolare? «È l'unico progetto di complessità e pluralità che noi arabi conosciamo. In perpetuo movimento verso un Paese esemplare dove ci siano tutte o quasi le culture, le etnie e le religioni. Con un'unità umana, culturale e della cittadinanza dove la religione sia separata dallo Stato. Se tutti i Paesi arabi sono compiuti, il Libano non lo è, guarda al futuro. Tutto il mondo arabo invece gira intorno al passato. Anche Israele, che nella costituzione è uno Stato religioso e vuole creare Paesi omologhi, basati sulla fede. L'Islam in questo caso».
Molti temono una nuova guerra civile. Anche lei?
«Non credo che vi si arriverà, mi dicono che
qualcosa si sta muovendo. E nessuno la vuole nel Paese. Ma la crisi sarà solo rimandata perché nessuno intende risolverla in profondità».
Siria, Iran, Europa, Usa. Chi è responsabile della crisi?
«Sono tutti responsabili. Il Libano è uno spazio di giochi strategici per tutti. Esistono solo gradi diversi in questa responsabilità, sta ai politologi indicarli, ma la natura è la stessa. I Paesi arabi, l'Occidente. Tutti operano perché il Libano resti confessionale. Perché il progetto si arresti».
E i libanesi? Lei è noto, e spesso attaccato, perché cerca «il male negli arabi nella loro storia, non al di fuori».
«Il problema del Libano, e del mondo arabo, è che dobbiamo rifondare la società su altro rispetto a quanto abbiamo ereditato. La prima cosa è separare radicalmente la religione dallo Stato, o sarà la catastrofe. In Libano le forze politiche religiose e comunitarie sono contro questo progetto. Anche i politici laici, per non perdere le loro comunità. Ma i giovani, gli intellettuali, gli artisti lo difendono. È una grande novità. E c'è anche altro di positivo rispetto alla guerra civile: oggi il conflitto non è superficiale, non è tra cristiani e musulmani. Esistono due blocchi, ognuno formato da persone delle due fedi, non diversi tra loro, divisi dal conflitto per il potere e non confessionali».
Lei sogna un mondo con Stato e religione divisi, ma per molti questo è impossibile in terra d'Islam.
«Niente è impossibile. La Chiesa cristiana in Europa nel Medio Evo era più forte di quanto non lo siano oggi gli integralisti nel mondo arabo. Eppure tutto è cambiato. Io non sono contro la religione come fede personale. Il misticismo islamico e la poesia sono i due grandi movimenti anti-religiosi nel senso di anti-ufficiali della cultura araba. Ma finché regnerà la religione nelle nostre istituzioni non ci sarà democrazia».
Esistono però Stati laici non democratici, come l'Egitto.
«La religione non è solo nella politica ma nelle case, nelle scuole, nelle tradizioni. E poi tutto è religioso perché ideologico. Anche il pensiero marxista è una sorta di pensiero religioso, non genera visioni né rispetta le diversità. Per questo ha fallito, come il panarabismo. Noi arabi abbiamo un lungo cammino da fare».
La crisi palestinese, lei ha detto, è l'anteprima di quella dell'intero mondo arabo. Vede spiragli? Crede che Annapolis servirà a qualcosa?
«La crisi palestinese ha svelato quanto era nascosto nella società araba, che ha molti elementi a rischio di esplosione perché i regimi non hanno risolto i problemi alle fondamenta. Penso a Iraq, Sudan, Libano. Al conflitto sciiti-sunniti. E in quanto ad Annapolis bisogna sperare ma non trasformare la speranza in cecità. Guardare le cose come sono, nude».
Cosa può fare l'Occidente?
«Non confondere i regimi con i popoli, come fanno molti media europei. Accorgersi degli individui, spesso più avanti di molte singole persone in Europa o America, soprattutto le donne. Smettere di lavorare con i nostri regimi e le istituzioni a loro legati ma aprire finalmente ai movimenti di intellettuali liberi delle nostre società».
E gli intellettuali arabi? Lei non sembra molto ottimista.
«Dobbiamo continuare a gridare, rischiare la vita per dire la verità nonostante le censure e la religione trasformata in ideologia. E non è vero che non sono ottimista: amare e scrivere poesia è necessariamente sperare. Ed è quello che io faccio».

Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT