Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Ipotesi di accordo per Annapolis, sui profughi palestinesi è disinformazione rassegna di quotidiani
Testata:L'Unità - Il Messaggero - Il Giorno Autore: Umberto De Giovannangeli - la redazione - Giampaolo Pioli Titolo: «Annapolis, ecco le carte segrete di un grande disaccordo - Annapolis, la pace può attendere - Annapolis, fiato sospeso Israeliani e palestinesi litigano già sulle bozze»
L'UNITA' del 24 novembre 2007 pubblicaun articolo di Umberto De Giovannangeli sul documentopreparatorio delle conferenza di Annapolis del 17 novembre, redatto in due versioni divergenti, una israeliana e una palestinse, e pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz. Umberto De Giovannangeli ricorda, nel suo articolo, il fatto che i palestinesi vorrebbero includere "tra i termini di riferimento per i negoziati, anche la risoluzione 194 delle Nazioni Unite sul diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.". Ma la risoluzione 194 chiede il rientro di priofughi in una situazione di sicurezza per Israele. Oggi, il rientro di milioni di palestinesi non nel loro futuro Stato, ma nello Stato ebraico, significherebbe semplicemente la fine per via "demografica" di quest'ultimo.
Anche sul MESSAGGERO leggiamo che " i palestinesi ricordano tra l'altro la risoluzione 194 dell'Onu sul diritto al ritorno in Israele dei profughi palestinesi e il piano di pace arabo", senza le necessarie spiegazioni.
Sul punto, la disinformazione peggiore però si trova sul GIORNO. Giampaolo Pioli scrive: "L'affermazione inoltre che stabilisce che lo stato di Israele è lo stato degli ebrei e lo "stato palestinese" appartiene ai palestinesi non trova concordi i paesi arabi perché temono finisca per cristallizzare la situazione dei profughi che da anni vivono ospiti nei loro territori e che finiranno per non tornare". In realtà, profughi e i loro discendenti, cui i paesi arabi non hanno mai concesso una possibilità di integrazione, potrebbero, nella soluzione prospettata da Israele, tornare nello Stato palestinese. Dunque il problema non sarebbe in nessun modo la ncessità della loro permanenza negli altri stati arabi.
Ecco il testo dell'articolo di u.d.g.:
La carta intestata è quella di un grande albergo nel cuore della Gerusalemme ebraica - il King David Hotel - dove si è svolta la riunione. La data è il 17 novembre. Cinque pagine. Un documento eccezionale, perché dà conto dello stato della trattativa tra israeliani e palestinesi per la definizione di un Documento (o Dichiarazione) congiunto da portare al tavolo della Conferenza di Annapolis. Cinque pagine con note scritte a mano dove «I» sta per Israele e «P» per l’Anp. l’Unità ne ha avuto copia attraverso fonti legate alla delegazione palestinese, le stesse che hanno fornito la bozza al quotidiano progressista israeliano Haaretz. Quello che definisce un Documento congiunto (ma per «I» è una meno impegnativa Dichiarazione) si apre con un’affermazione di principio condivisa da ambedue le parti. «LA NOSTRA DETERMINAZIONE è a porre fine al bagno di sangue, alla sofferenza e a decenni di conflitto tra i nostri popoli, e di prefigurare una nuova era di pace fondata sulla sicurezza, la giustizia, la dignità, il rispetto e il riconoscimento reciproci, e di diffondere una cultura di pace e la non violenza». Il documento è stato redatto da Shalom Trjeman e Tel Becker per Israele , e Saeb Erekat e Zeinah Salahi per i palestinesi. Il documento inizia con un preambolo in cui sono indicati gli obiettivi e contiene una sezione sui negoziati, una sulla tabella di marcia, un’altra sul ruolo della Comunità internazionale e dei Paesi della regione. Un punto sostanziale di controversia (ancora sul tavolo) segnalata dalla nota a margine della bozza, riguarda la questione del calendario per la conclusione dei negoziati bilaterali. P scrive che le due parti «concordano in buona fede di avviare negoziati al fine di concludere un accordo entro gli 8 mesi successivi alla convocazione della riunione di Annapolis, comunque entro e non oltre il termine della presidenza Bush» (gennaio 2009). La sottolineatura di «I» (come appare nella bozza del 17 novembre) recita: «Nessun accordo per il calendario...». Sulle linee guida della trattativa, «P» scrive che i negoziati saranno «basati sui termini di riferimento concordati e dei principi, compresa la Road Map, che ha chiesto la fine dell’occupazione israeliana, che ha avuto inizio nel 1967, del piano di pace arabo del 2002, e del diritto internazionale, al fine di realizzare uno Stato sovrano indipendente di Palestina, che viva fianco a fianco in pace e in sicurezza con lo Stato d’Israele». Più sfumata è la posizione di «I» secondo cui «i negoziati saranno guidati dai termini concordati di riferimento per il processo di pace», senza entrare nel merito; cosa che invece fa «P» includendo tra i termini di riferimento per i negoziati, anche la risoluzione 194 delle Nazioni Unite sul diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. «I» non accetta questi termini di riferimento e a sua volta «prende atto» delle «richieste» del Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia) che hanno portato al boicottaggio di Hamas, e che comprendono il riconoscimento (palestinese) di Israele e una condanna del terrorismo, e, per quanto concerne riferimenti ai precedenti negoziati e/o documenti, «I» fa riferimento alle risoluzioni dell’Onu 242 e 338, alla Road Map, alla visione del presidente Bush su due Stati, Israele e Palestina (riferimenti peraltro condivisi da «P». «P» si oppone ad una formula inserita da I nel preambolo, con la quale si sancisce che Israele «è la patria del popolo ebraico e la Palestina è la patria del popolo palestinese». «P» si oppone anche alla menzione della parola «terrorismo» inserita nella frase in cui le parti si impegnano a «far cessare l’incitamento (alla violenza), l’estremismo, il terrorismo e la violenza». «P» si dice contrario che nel Documento-Dichiarazione sia inserita la frase «garantire il rilascio (del soldato israeliano rapito diciassette mesi fa ai confini con Gaza) Gilad Shalit». «P» afferma inoltre che il Documento-Dichirazione, una volta firmata, sarà vincolante e che nessuna delle parti compirà passi tali da alterare lo status della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, e della Striscia di Gaza. Vi è poi la sezione «controllo» dell’attuazione delle intese raggiunte fra le parti. «I» si dice contrario alla «immediata e parallela» attivazione della tabella di marcia e alla creazione di una commissione israelo-palestino-statunitense per il controllo dell’attuazione delle intese. Opposizione anche a indicare negli Usa il super visore chiamato a «monitorare e valutare» i comportamenti delle due parti nell’adempimento degli obblighi definiti nel Documento (Dichiazione) congiunto. In questa sezione c’è un punto interamente palestinese. «P» propone l’immediata istituzione di commissioni di negoziazione chiamate a tradurre in intese le indicazioni emerse ad Annapolis e a predisporre incontri internazionali, ogni tre mesi, per la verifica dei progressi (o degli intoppi). Nel paragrafo conclusivo «P» propone che tutti i prigionieri palestinesi detenuti (in Israele) debbano essere rilasciati alla firma del trattato di pace, e fa riferimento al miglioramento della vita quotidiana e al benessere del popolo palestinese. Su questo punto «I» adotta una formula più vaga. Questa: «Israele farà ogni sforzo per migliorare la vita quotidiana e in anticipo il benessere della popolazione palestinese in attesa della piena attuazione del trattato (di pace)». «P» esplicita invece questi «sforzi»: rimuovere i ceck-point, la fine delle restrizioni nei movimenti (di persone e merci), lo smantellamento della barriera di separazione in Cisgiordania. Nel paragrafo conclusivo , appare un commento israeliano, «Nota per la questione in sospeso...Come affrontare la situazione a Gaza nel documento?». «P» non fa alcun riferimento alla situazione nella Striscia di Gaza e non chiede che nel Documento congiunto via sia inserita la richiesta dell’apertura dei valichi di frontiera tra Gaza e Israele, così come non fa menzione dei pronunciamenti della Corte internazionale di giustizia in merito alla barriera di sicurezza in Cisgiordania. Mentre la discussione tra «I» e «P» prosegue, Un cauto ottimismo arriva da Sharm el Sheikh, sulle sponde del Mar Rosso egiziano, dove il presidente Hosni Mubarak ha incontrato il re di Giordania Abdallah II e il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen), in vista della conferenza di Annapolis. La riunione, nel Maryland non distante da Washington, «potrebbe rispondere alle ambizioni dei palestinesi e del popolo arabo e di tutti coloro che sono interessati alla questione palestinese e al processo di pace», rileva il portavoce del presidente egiziano Soleiman Awad. Oggi, vertice d’emergenza dei ministri degli Esteri della Lega Araba. Una fonte diplomatica araba al Cairo ha detto che molti Paesi vogliono partecipare. La questione è trovare una ragione minima per esserci. E l’«ottimismo» di ieri - Egitto e Giordania sono gli unici Paesi arabi ad avere rapporti con Israele - sembra alimentarsi con poco: la lettera d’invito «fa riferimenti alla pace, in particolare all’iniziativa araba sul principio di terra in cambio di pace», ha detto Awad.
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