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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
07.11.2007 Hamas vuole la pace, l'Iran non è un pericolo, Israele è la causa di tutti i guai
il Medio Oriente secondo la propaganda post-comunista e comunista

Testata:L'Unità - Il Manifesto
Autore: Umberto De Giovannangeli - Zvi Shuldiner
Titolo: «Ad Abu Mazen dico trattiamo senza precondizioni - Il Medio Oriente verso una farsa pericolosa»
Umberto De Giovannangeli, sull' UNITA' del 7 novembre 2007, a pagina 13, intervista Ismail Haniyeh, che "molti osservatori considerano il leader dell’ala pragmatica del movimento islamico" .
U.d.g. scorge nelle parole di Haniyeh "messaggi concilianti". "Concilianti", forse, verso Fatah, non certo verso Israele, alla quale Haniyeh continua a rifiutare il riconoscimento. La massima offerta di Hamas resta  "una tregua di lunga durata: 10-15 anni". Siccome una tregua è per definizione un'intervallo tra due guerre, si capisce bene che il dichiarato "obiettivo strategico"  di Hamas è soltanto inetrmedio. L'obiettivo finale resta la distruzione di Israele. D'altronde, non è solo Israele a sostenerlo, come afferma u.d.g. E' lo statuto di Hamas a richiedere la cancellazione dello Stato degli ebrei e a rifiutare come contraria all'islam qualsiasi ipotesi di compromesso.
U.d.g. ,  però, non è certo interessato a svelare le abili dissimulazioni di Haniyeh. Il suo interesse principale, al contrario, sembra essere quello di consentire all'interlocutore di diffondere senza contraddittorio la sua propaganda.
Alla fine, però, è Haniyeh che si svela, rivendicando il  ferreo legame della sua organizzazione ( che u.d.g. è d'accordo nel definire "movimento di resistenza") con l'Iran che vuole cancellare Israele dalla cartina geografica.
E' questa l'ala "pragmatica" di Hamas.

Ecco il testo dell'intervista:
 
Lancia messaggi concilianti. Parla Ismail Haniyeh, premier deposto di Hamas, che molti osservatori considerano il leader dell’ala pragmatica del movimento islamico palestinese. «Non abbiamo intenzione di conquistare la Cisgiordania con la forza. Non succederà», assicura Haniyeh nell’intervista concessa a l’Unità. Il leader di Hamas accusa l’Autorità nazionale palestinese di «assecondare l’assedio di Gaza» ma al tempo stesso apre al presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen): «Hamas è pronto a riprendere il dialogo politico con il presidente Abbas, senza precondizioni».
C’è chi sostiene che Hamas sta preparando un colpo di mano militare in Cisgiordania.
«È falso. Hamas non ha alcuna intenzione di conquistare con la forza la Cisgiordania».
Si diceva così anche per Gaza.
«Da tempo siamo favorevoli alla costituzione di una commissione d’inchiesta della Lega Araba che accerti la verità su ciò che è avvenuto 5 mesi fa».
E qual è la sua verità?
«Chi ha vinto le elezioni non ha alcuna ragione di imbastire un autogolpe. La verità è che siamo stati costretti ad agire per debellare il caos. E in questi 5 mesi abbiamo raggiunto importanti obiettivi».
Verità per verità: la realtà di Gaza raccontata all’Unità dal segretario generale aggiunto dell’Onu John Holmes e dall’inviato delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori, John Dugand, parla di una situazione gravissima per la popolazione civile.
«Questa situazione è conseguente alle restrizioni imposte da Israele: togliere il gas, la luce, il carburante, impedire il passaggio delle merci, sono crimini contro l’umanità, atti di terrorismo di Stato. Ma tutto ciò non oscura i risultati ottenuti in questi cinque mesi: il caos è calato del 90%, abbiamo riattivato il sistema giudiziario, ripreso l’attività parlamentare, il pagamento regolare degli stipendi a 17mila dipendenti statali e di sussidi a 60mila disoccupati, organizzato un sistema scolastico praticamente gratuito. E tutto questo dovendo far fronte all’assedio israeliano».
Assedio condannato dallo stesso Abu Mazen.
«A parole. Il presidente è impegnato nella preparazione di una Conferenza internazionale rispetto alla quale il nostro giudizio è decisamente negativo, ma questo è un altro discorso. Ad Abbas diciamo: hai un modo concreto per dimostrare la tua solidarietà alla gente di Gaza. Far dipendere la tua partecipazione alla Conferenza dalla fine dell’assedio di Gaza. Mi lasci aggiungere che di fronte ai crimini compiuti contro 1milione e 400 mila palestinesi è ingiustificabile l’atteggiamento di buona parte del mondo arabo che resta in silenzio di fronte all’assedio di Gaza. Ma chi pensa che infliggendo una punizione collettiva alla popolazione civile si indebolisca Hamas, commette un grave errore. Il risultato ottenuto è l’esatto opposto. Chi vuole affamare il popolo palestinese, pensando così di poterlo piegare, sottovaluto il nostro orgoglio e la nostra determinazione».
In precedenza, lei ha fatto riferimento alla Conferenza di Anna-
polis. Qual è il giudizio di Hamas?
«Quella Conferenza è una vetrina voluta da Bush per cercare di mascherare il fallimento della politica Usa in Medio Oriente, a cominciare dall’Iraq. Da Annapolis la causa palestinese non uscirà certamente rafforzata. Gli Stati Uniti non potranno garantire ai palestinesi quanto davvero desiderano: un ritiro totale e completo di Israele dai Territori. Israele parla di pace ma intanto continua a confiscare le terre palestinesi, a realizzare il Muro dell’apartheid in Cisgiordania, a infliggere odiose punizioni collettive alla popolazione civile di Gaza. Inoltre Olmert non ha alcuna intenzione di fare sostanziali aperture su questioni fondamentali come lo status di Al Quds (Gerusalemme, ndr.), i confini dell’ipotetico Stato palestinese e sul diritto al ritorno dei rifugiati».
Ma Hamas sa dire solo dei no?
«A Israele abbiamo proposto una tregua di lunga durata: 10-15 anni, e Israele sa che Hamas rispetta gli accordi. Una tregua legata alla fine dell’assedio di Gaza e degli assassinii di attivisti della resistenza, e alla liberazione dei prigionieri palestinesi».
Resta il nodo del riconoscimento di Israele.
«Non si può chiedere ad un popolo oppresso, assediato, di riconoscere il proprio oppressore. Il riconoscimento di Israele può essere parte di un serio negoziato e non la precondizione».
Israele sostiene che l’obiettivo strategico di Hamas è la distruzione dello Stato ebraico.
«L’obiettivo strategico di Hamas è realizzare uno Stato di Palestina indipendente sui territori occupati nel 1967, compresa Al Quds. Per questo abbiamo lottato e continueremo a farlo fino alla vittoria».
Nei giorni scorsi, Abu Mazen ha ricevuto a Ramallah, per la prima volta dal golpe di giugno, alcuni esponenti di Hamas in Cisgior-
dania. C’è chi ha parlato di una spaccatura all’interno di Hamas.
«Questo è un auspicio dei nostri nemici. Ma è destinato ad essere una illusione. In Hamas si discute, certamente, e questo è un segno di vitalità, ma sulle scelte che contano abbiamo dimostrato una coesione a prova di bomba. Ed è Hamas nella sua interezza che si rivolge ad Abu Mazen».
Con quale messaggio?
«Siamo pronti a riprendere un dialogo politico con Abu Mazen e Fatah, senza precondizioni».
Mentre si parla di pace, c’è chi sembra stia preparando una nuo-
va guerra: quella contro l’Iran.
«Se ciò avvenisse, il Medio Oriente esploderebbe. Una guerra di aggressione contro l’Iran verrebbe vista come una dichiarazione di guerra contro tutti i movimenti di resistenza in Medio Oriente».
Anche contro Hamas?
«Sì, anche contro Hamas».
(ha collaborato Osama Hamdan)

L'Iran non è una minaccia e ad Annapolis non c'è nessuna reale prospettiva di pace, per colpa di Israele.
Cecità e ossessione ideologica sono gli elementi centrali del commento di Zvi Shuldiner pubblicato dal MANIFESTO a pagina 2:

C'è chi si preoccupa - con ragione - dell'avventurismo che porta il presidente Bush a paventare i «pericoli della terza guerra mondiale», e chi nutre false illusioni in vista della iniziativa di pace americana. Intanto da Tehran il presidente Ahmadinejad con la sua politica pericolosa e demagogica alimenta tutti coloro che si rafforzano con la politica della paura. Il pericolo? Quale miglior scusa di un presidente musulmano che parla i energia atomica? Per l'occidente questo significa che entro il 2010 e 2013, gli iraniani potrebbero avere la bomba atomica. Pericoli imminenti quanto l'arsenale atomico di Saddam Hussein. O il suo presunto legame con al Qaeda. L'ex agente americano, Osama bin Laden, non era un alleato di Saddam e non ha avuto il suo appoggio. Anche Saddam aveva servito gli americani con una guerra santa che aveva provocato la morte di un milione di essere umani. La guerra era stata finanziata e appoggiata dall'occidente democratico che procurava le armi e riceveva migliaia di milioni di dollari che erano in gran parte petrodollari. Chi si preoccupava ieri o si preoccupa oggi del prezzo del petrolio dovrebbe pensare che questo fa parte di un meccanismo economico molto complesso e non unilaterale come potrebbe apparire. Eppure quattro anni fa il presunto legame tra gli ex alleati degli americani e le menzogne sul presunto arsenale atomico di Saddam sono serviti a scatenare una guerra criminale contro l'Iraq. Oggi la retorica di un presidente dell'Iran che non risponde alle domande reali del suo popolo e si serve della demagogia in politica estera, alimenta gli interessi dell'ala più estremista e criminale dell'amministrazione americana: il pericolo di un attacco americano o israliano appoggiato dagli Stati uniti si fa sempre più serio. Non solo abbondano i rapporti che si interrogano sul tempo necessario per la reale costruzione di una bomba atomica iraniana, ma è anche chiaro che il presunto pericolo di una bomba atomica iraniana è inferiore a quello di altri paesi che hanno la bomba, inclusi Stati uniti e Israele. E' chiaro oggi che diversi sforzi diplomatici potrebbero convertire le dichiarazioni azzardate e criminali del presidente Ahmadinejad in una politica più realista che serva il suo popolo invece degli interessi bellicisti americani, ma grazie ai Sarkozi e altri cresce il pericolo di una «soluzione militare» contro il presunto pericolo della bomba iraniana. In un lungo articolo sulla personalità della ministra degli esteri israeliana Tzipi Livni apparso su Haaretz, il commentatore affermava che la ministra sarebbe meno allarmata del premier per il pericolo dell'esistenza della «bomba iraniana». Tuttavia sulla scena internazionale si continua a utilizzare il «pericolo della terza guerra mondiale» per giustificare i falchi dell'amministrazione americana che vorrebbero terminare il mandato di Bush con un accordo che non solo potrebbe aiutare i votanti nelle prossime elezioni: quello che è più importante è sostenere il progetto economico militare, che comprende la visione che di fronte al declino del potere americano l'unica soluzione possibile risiede nell'uso della forza. Questo non significa solo enormi guadagni per gruppi come Carlyle Gruop, Halliburton e altri, ma anche un continuo fiorire dell'industria delle armi che negli ultimi anni ha trovato nuovi e fruttuosi orizzonti. O la pace? E intanto si discute con interesse della «iniziativa di pace» in Medio oriente. Non pochi di coloro che appoggiano l'iniziativa hanno eccellenti intenzioni e si autosoddisfano con l'idea che la prossima Conferenza di Annapolis potrebbe liberare energie più positive nella regione e rafforzare gli elementi moderati per raggiungere un accordo israelo-palestinese. E' certo, l'iniziativa ha obbligato molti a definire posizioni politiche un po' più avanzate del passato e porta gli israeliani a una visione più realista rispetto a una pace che renderebbe necessario liberarsi di molti vecchi dogmi della politica colonialista israeliana degli ultimi 40 anni. Anche la questione di Gerusalemme dovrebbe aprirsi e la prenderemo come esempio. Diversi analisti guardano con entusiasmo quello che considerano il neorealismo di alcuni falchi come il ministro Lieberman che parlano di concessioni a Gerusalemme, dando ai palestinesi il campo profughi di Shufat o alcune aree arabe che oggi sono parte di Gerusalemme. Nulla di più ingannevole! Questa politica «pragmatica» non farebbe altro che soddisfare il desiderio di vedere meno palestinesi a Gerusalemme mentre l'occupazione e la negazione dei diritti dei palestinesi nella città continuerebbero. Sì, anch'io sono a favore di una Gerusalemme unificata, però sarebbe una Gerusalemme nella quale entrambi i popoli si dividono la sovranità statale. Gerusalemme capitale di due stati, Israele e Palestina, ma libera e aperta, con un chiaro e intimo vincolo con il resto di quello che sarebbe lo stato palestinese e non chiusa al passaggio, un'altra miniprigione in una realtà di bantustan. L'iniziativa attuale non può portare alla pace se il suo maggior segno distintivo è la divisione del popolo palestinese. Non è necessario accettare i principi di Hamas, si può ripudiare la sua ala più estremista e specialmente coloro che hanno portato all'attuale divisione con la criminale avventura di Gaza. Ma deve risultare assolutamente chiaro che non ci sarà pace se questa si basa sulla frammentazione della società palestinese. Questa non è altro che una stupida illusione che nasconde gli enormi e imminenti pericoli che minacciano la regione. Per questo è necessario e urgente aprire canali di comunicazione con Hamas. La Conferenza non sarà altro che un teatro retorico dove si ripeteranno alcune delle formule che ci hanno accompagnato da Oslo nel 1993 in poi. Ma la retorica non significa l'interruzione dello sforzo di colonizzazione israeliana nei territori occupati nel 1967. E il cerchio dei posti di blocco dell'esercito continuerà e la vita infernale dei palestinesi nei territori occupati non cambierà. I negoziati continueranno mentre i missili Qassam cadranno su Sderot e i suoi dintorni e la risposta militare e brutale di Israele sarà il presunto rimedio. Il «ritiro unilaterale», che tanti hanno ammirato, oggi sembra una testimonianza chiara della realtà: quando i palestinesi lanciano i loro missili sulla popolazione civile israeliana - atto criminale sul piano morale e stupido e negativo su quello politico - Israele risponde con l'interruzione dell'elettricità. La maggioranza nel mondo e in Israele non capisce: l'esercito israeliano e i coloni non sono più nella striscia di Gaza, ma l'elettricità, l'acqua, il commercio, l'entrata e l'uscita dei prodotti, entrare in Israele per andare all'ospedale o uscire per andare in Egitto, tutto è controllato da Israele. La grande prigione di Gaza era controllata fino all'agosto del 2005 dalle forze israeliane che si trovavano sul posto. Sharon ha tolto da lì i coloni e i soldati e ora la prigione continua ad essere una enorme prigione però accerchiata da fuori. E Gaza non è altro che un esempio chiaro dei limiti e degli interrogativi che pone la presunta iniziativa di pace americana mentre Bush, Cheney e i suoi complici godono all'idea di un possibile attacco all'Iran.

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