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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Avvenire Rassegna Stampa
02.11.2007 Letteratura e speranze di pace
le parole di Amos Oz e Sami Michael

Testata:Corriere della Sera - Avvenire
Autore: Amos Oz - Giorgio Bernardelli
Titolo: «Il romanzo è il ponte tra le civiltà - La letteratura contro i fucili»

Dal CORRIERE della SERA del 2 novembre 2007, un articolo di Amos Oz:

Se acquistate un biglietto per viaggiare in altri Paesi, andrete ad ammirare i monumenti, i palazzi e le piazze, i musei, i paesaggi e i siti storici. Se siete fortunati, avrete forse l'occasione di scambiare anche quattro parole con la gente del posto.
Poi farete ritorno a casa, portandovi dietro una manciata di fotografie e cartoline.
Ma se leggete un romanzo, sarà come comprare un biglietto che vi condurrà nei recessi più intimi di un'altra terra e di un altro popolo.
Leggere un romanzo straniero è un invito a visitare la casa di altre persone e i luoghi privati di un'altra realtà.
Se siete solo un turista, potreste soffermarvi lungo una strada per osservare una vecchia casa, nella città vecchia, e scorgere forse una donna che guarda dalla finestra. Poi vi girate e vi allontanate.
Se siete un lettore, vedrete anche voi quella donna che guarda dalla finestra, ma sarete accanto a lei, in quella stanza, nei suoi pensieri. Se leggete un romanzo straniero, sarete realmente invitati nei salotti di altre persone, nei loro uffici e nelle loro scuole, fin nelle loro stanze da letto. Sarete invitati a condividere le loro tristezze segrete, i momenti di gioia in famiglia, i loro sogni.
È per questo che io credo che la letteratura sia un ponte gettato tra i popoli. Sono convinto che la curiosità può essere una virtù morale. Sono convinto che immaginare l'altro può essere un antidoto al fanatismo. Immaginare l'altro farà di voi non solo uomini migliori nel lavoro o nell'amore, ma vi trasformerà in esseri umani migliori.
La tragedia tra Ebrei e Arabi consiste in parte nell'incapacità di così tanti di noi, Ebrei e Arabi, di immaginare l'altro. Immaginare l'altro realmente: negli amori, nelle paure tremende, nella rabbia, nella passione. Tra noi prevale l'ostilità, scarseggia invece la curiosità. Ebrei e Arabi hanno qualcosa di essenziale in comune: in passato sia gli uni che gli altri sono stati trattati, con disprezzo e brutalità, dalla mano violenta dell'Europa. Gli Arabi attraverso l'imperialismo, il colonialismo, lo sfruttamento e le umiliazioni. Gli Ebrei attraverso la discriminazione, le persecuzioni, le espulsioni e infine lo sterminio di massa.
Si potrebbe pensare che due vittime, specie due vittime del medesimo oppressore, avrebbero sviluppato tra di loro un senso di solidarietà. Ahimè, non funziona così, né nei romanzi né nella vita. I peggiori conflitti infatti si scatenano spesso tra le vittime dello stesso oppressore: i figli di un genitore violento non provano necessariamente simpatia l'uno per l'altro. Anzi, spesso vedono nell'altro il riflesso del loro carnefice.
Ed è proprio così tra Ebrei e Arabi in Medio Oriente. Mentre gli Arabi considerano gli Israeliani gli ultimi crociati, un'estensione dell'Europa bianca e colonizzatrice, molti Israeliani, da parte loro, vedono negli Arabi la nuova incarnazione dei loro antichi oppressori, incitatori di pogrom e nazisti. Questa situazione fa ricadere sull'Europa una speciale responsabilità per la soluzione del conflitto arabo- israeliano: anziché rimproverare e ammonire ora questi, ora quelli, gli europei dovrebbero estendere solidarietà, comprensione e aiuti agli uni e agli altri. Non occorre più scegliere se essere a favore di Israele o a favore della Palestina: è necessario essere a favore della Pace.
Forse la donna alla finestra è una palestinese di Nablus. Forse un'ebrea israeliana di Tel Aviv. Se volete aiutare a ristabilire la pace tra queste due donne alle finestre, fareste meglio a informarvi su di loro. Leggete i romanzi, cari amici, vi insegneranno molte cose. È giunto il momento che persino ciascuna di queste due donne si informi meglio sull'altra. Per imparare, infine, che cos'è che riempie l'altra donna alla finestra di paura, rabbia, speranza. Certo non intendo affermare che la lettura dei romanzi può cambiare il mondo. Ma suggerisco, e ne sono fermamente convinto, che la lettura dei romanzi è uno dei modi migliori per capire che tutte le donne, a tutte le finestre, con ansia e trepidazione, non aspettano altro che la pace.

Da AVVENIRE, un'intervista a un altro scrittore israeliano,  scrittore  Sami Michael:

S i può raccontare Israele dalle mura di Gerusalemme, la san­ta. Si può raccontare Israele dal lungomare della laica e dinami­ca Tel Aviv. Ma c’è una terza grande città capace di svelare squarci ina­spettati di questa terra. Soprattutto se a guidarti attraverso i suoi vicoli e mercati è un narratore ebreo nato e cresciuto a Baghdad. È infatti l’I­sraele di Haifa, quella che ti raccon­ta Sami Michael, altra voce di quel­lo scrigno ricchissimo che è oggi la letteratura israeliana. Classe 1926, autore fortemente impegnato nelle battaglie sociali (è presidente del­l’Associazione per i diritti umani in Israele), in Italia è stato scoperto da poco. Solo l’anno scorso la casa e­ditrice Giuntina ha infatti tradotto
 Una tromba nello uadi,
il libro in cui già nel 1987 – con un cocktail di ironia, poesia e analisi del presente – Sami Michael raccontava la storia d’amore tra Alex, giovane immigra­to dall’allora Unione Sovietica, e Huda, un’araba cristiana cresciuta in un quartiere popolare. Una storia
 Sami Michael, qual è il segreto di questa città?

 «Non lo capirai mai da fuori, at­traverso i gior­nali o la televi­sione. Haifa è u­na città speciale non solo in I­sraele,
ma in tutto il Medio Oriente. Qui la coesi­stenza tra ebrei, musulmani e cri­stiani, è un fatto vero. Non è uno slogan, ma una realtà quotidiana.
  Per questo, quando sono venuto in Israele nel 1949, l’ho scelta come mia città; e da allora ho sempre vis­suto qui. Ogni fine settimana mi­gliaia di persone vengono a vedere questo miracolo. A vedere come si fa a vivere insieme e a mescolarsi a
tal punto che non sei più capace di dire chi è arabo e chi è ebreo».
 Però anche Haifa ha vissuto le sue tragedie: nell’estate 2006, ad esem­pio, è stata la città più colpita dai missili degli Hezbollah.

 «Gli Hezbollah volevano colpire proprio questa situazione di coesi­stenza. Invece è successo il contra­rio: quando una casa araba è stata colpita dai missimili, gli ebrei sono venuti ad aiutare i suoi abitanti. E viceversa. Gli Hezbollah ave­vano invitato gli arabi ad abban­donare la città per poter bom­bardare solo gli
ebrei. Nessun a­rabo l’ha fatto.
  Sono rimasti. È come se avesse­ro detto: noi stiamo qui, questa è la no­stra
città speciale».
 Lei ha scritto 'Una tromba nello uadi' nel 1987. Vent’anni dopo è meno ottimista sui rapporti tra im­migrati russi e arabi israeliani?

 «I russi che sono immigrati in Israe­le, politicamente, si sono collocati in maggioranza a destra, è vero. So­no molto vicini ai movimenti dei coloni. Ma anche in questo ad Hai­fa la stiuazione è un po’ diversa.
 
Anche loro qui vivono accanto agli arabi. E in questi vent’anni ad Haifa non si è mai verificato un incidente serio tra russi e arabi. Del resto qui non ci sono stati problemi neanche tra i russi e gli altri ebrei. Io non so bene da che cosa dipenda tutto questo. Se sia l’aria, se sia il Medi­terraneo... Ma il punto vero è che u­na città così esiste. Oggi. E in Israe­le ».
 Lei è nato a Baghdad. E qui, negli anni Quaranta, ha vissuto la sua prima militanza politica.

 «Facevo parte della più antica co­munità ebraica del mondo. Erava­mo là da 2.500 anni. Ed eravamo parte della realtà irachena. Noi e­brei abbiamo fatto parte di ogni ci­viltà fiorita in Iraq. Parlavamo l’ara­bo, che è la mia lingua madre. E quando nacque il moderno Stato i­racheno, negli anni Venti, anche noi ci abbiamo creduto: siamo di­ventati patrioti iracheni. Nei teatri, nei giornali, nella politica, sognava­mo di costruire insieme agli altri giovani iracheni uno Stato libero e giusto. Ma qualcosa è andato stor­to ».

 E quando vede la situazione di oggi a Baghdad che cosa pensa?

 «Quanto sta succedendo mi rattri­sta molto. Perché l’Iraq è ancora la mia terra madre. Sognavamo uno Stato libero in cui ebrei, cristiani e musulmani potessero vivere insie­me.
 
E adesso invece tutti si uccido­no a vicenda».
 Tra qualche settimana dovrebbe tenersi una nuova conferenza di pace ad Annapolis, negli Stati Uni­ti: come guarda a questo appunta­mento?

 «Dopo un secolo in cui ci siamo combattuti l’un l’altro, noi israelia­ni e palestinesi siamo diventati maestri nell’arte della guerra. Ma non sappiamo come si fa la pace.
  Per questo accolgo come benvenu­to qualsiasi sforzo che, dall’esterno, ci aiuti a camminare in questa dire­zione. Da voi europei, dagli Stati U­niti o da chiunque altro. In un certo senso vorrei che ci imponeste di la­vorare davvero per la pace».

 Lei – come Amos Oz, Abraham Yehoshua, David Grossman – è im­pegnato in prima persona nelle campagne per la pace e i diritti u­mani. Perché la letteratura in I­sraele ha assunto con così tanta forza questo ruolo?

 «La letteratura riflette lo spirito di un popolo. Ma allo stesso tempo va al di là dei confini. Ha a che fare con l’uomo, più che con una nazio­nalità. E allora è naturale che in si­tuazioni di guerra uno scrittore si batta per la difesa - sempre e co­munque - dei diritti umani. Che co­s’è scrivere se non sostenere la spe­ranza di pace della gente? I fucili che tuonano non sono letteratura».
 
 

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