Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Letteratura e speranze di pace le parole di Amos Oz e Sami Michael
Testata:Corriere della Sera - Avvenire Autore: Amos Oz - Giorgio Bernardelli Titolo: «Il romanzo è il ponte tra le civiltà - La letteratura contro i fucili»
Dal CORRIERE della SERA del 2 novembre 2007, un articolo di Amos Oz:
Se acquistate un biglietto per viaggiare in altri Paesi, andrete ad ammirare i monumenti, i palazzi e le piazze, i musei, i paesaggi e i siti storici. Se siete fortunati, avrete forse l'occasione di scambiare anche quattro parole con la gente del posto. Poi farete ritorno a casa, portandovi dietro una manciata di fotografie e cartoline. Ma se leggete un romanzo, sarà come comprare un biglietto che vi condurrà nei recessi più intimi di un'altra terra e di un altro popolo. Leggere un romanzo straniero è un invito a visitare la casa di altre persone e i luoghi privati di un'altra realtà. Se siete solo un turista, potreste soffermarvi lungo una strada per osservare una vecchia casa, nella città vecchia, e scorgere forse una donna che guarda dalla finestra. Poi vi girate e vi allontanate. Se siete un lettore, vedrete anche voi quella donna che guarda dalla finestra, ma sarete accanto a lei, in quella stanza, nei suoi pensieri. Se leggete un romanzo straniero, sarete realmente invitati nei salotti di altre persone, nei loro uffici e nelle loro scuole, fin nelle loro stanze da letto. Sarete invitati a condividere le loro tristezze segrete, i momenti di gioia in famiglia, i loro sogni. È per questo che io credo che la letteratura sia un ponte gettato tra i popoli. Sono convinto che la curiosità può essere una virtù morale. Sono convinto che immaginare l'altro può essere un antidoto al fanatismo. Immaginare l'altro farà di voi non solo uomini migliori nel lavoro o nell'amore, ma vi trasformerà in esseri umani migliori. La tragedia tra Ebrei e Arabi consiste in parte nell'incapacità di così tanti di noi, Ebrei e Arabi, di immaginare l'altro. Immaginare l'altro realmente: negli amori, nelle paure tremende, nella rabbia, nella passione. Tra noi prevale l'ostilità, scarseggia invece la curiosità. Ebrei e Arabi hanno qualcosa di essenziale in comune: in passato sia gli uni che gli altri sono stati trattati, con disprezzo e brutalità, dalla mano violenta dell'Europa. Gli Arabi attraverso l'imperialismo, il colonialismo, lo sfruttamento e le umiliazioni. Gli Ebrei attraverso la discriminazione, le persecuzioni, le espulsioni e infine lo sterminio di massa. Si potrebbe pensare che due vittime, specie due vittime del medesimo oppressore, avrebbero sviluppato tra di loro un senso di solidarietà. Ahimè, non funziona così, né nei romanzi né nella vita. I peggiori conflitti infatti si scatenano spesso tra le vittime dello stesso oppressore: i figli di un genitore violento non provano necessariamente simpatia l'uno per l'altro. Anzi, spesso vedono nell'altro il riflesso del loro carnefice. Ed è proprio così tra Ebrei e Arabi in Medio Oriente. Mentre gli Arabi considerano gli Israeliani gli ultimi crociati, un'estensione dell'Europa bianca e colonizzatrice, molti Israeliani, da parte loro, vedono negli Arabi la nuova incarnazione dei loro antichi oppressori, incitatori di pogrom e nazisti. Questa situazione fa ricadere sull'Europa una speciale responsabilità per la soluzione del conflitto arabo- israeliano: anziché rimproverare e ammonire ora questi, ora quelli, gli europei dovrebbero estendere solidarietà, comprensione e aiuti agli uni e agli altri. Non occorre più scegliere se essere a favore di Israele o a favore della Palestina: è necessario essere a favore della Pace. Forse la donna alla finestra è una palestinese di Nablus. Forse un'ebrea israeliana di Tel Aviv. Se volete aiutare a ristabilire la pace tra queste due donne alle finestre, fareste meglio a informarvi su di loro. Leggete i romanzi, cari amici, vi insegneranno molte cose. È giunto il momento che persino ciascuna di queste due donne si informi meglio sull'altra. Per imparare, infine, che cos'è che riempie l'altra donna alla finestra di paura, rabbia, speranza. Certo non intendo affermare che la lettura dei romanzi può cambiare il mondo. Ma suggerisco, e ne sono fermamente convinto, che la lettura dei romanzi è uno dei modi migliori per capire che tutte le donne, a tutte le finestre, con ansia e trepidazione, non aspettano altro che la pace.
Da AVVENIRE, un'intervista a un altro scrittore israeliano, scrittore Sami Michael:
S i può raccontare Israele dalle mura di Gerusalemme, la santa. Si può raccontare Israele dal lungomare della laica e dinamica Tel Aviv. Ma c’è una terza grande città capace di svelare squarci inaspettati di questa terra. Soprattutto se a guidarti attraverso i suoi vicoli e mercati è un narratore ebreo nato e cresciuto a Baghdad. È infatti l’Israele di Haifa, quella che ti racconta Sami Michael, altra voce di quello scrigno ricchissimo che è oggi la letteratura israeliana. Classe 1926, autore fortemente impegnato nelle battaglie sociali (è presidente dell’Associazione per i diritti umani in Israele), in Italia è stato scoperto da poco. Solo l’anno scorso la casa editrice Giuntina ha infatti tradotto Una tromba nello uadi, il libro in cui già nel 1987 – con un cocktail di ironia, poesia e analisi del presente – Sami Michael raccontava la storia d’amore tra Alex, giovane immigrato dall’allora Unione Sovietica, e Huda, un’araba cristiana cresciuta in un quartiere popolare. Una storia Sami Michael, qual è il segreto di questa città? «Non lo capirai mai da fuori, attraverso i giornali o la televisione. Haifa è una città speciale non solo in Israele, ma in tutto il Medio Oriente. Qui la coesistenza tra ebrei, musulmani e cristiani, è un fatto vero. Non è uno slogan, ma una realtà quotidiana. Per questo, quando sono venuto in Israele nel 1949, l’ho scelta come mia città; e da allora ho sempre vissuto qui. Ogni fine settimana migliaia di persone vengono a vedere questo miracolo. A vedere come si fa a vivere insieme e a mescolarsi a tal punto che non sei più capace di dire chi è arabo e chi è ebreo». Però anche Haifa ha vissuto le sue tragedie: nell’estate 2006, ad esempio, è stata la città più colpita dai missili degli Hezbollah. «Gli Hezbollah volevano colpire proprio questa situazione di coesistenza. Invece è successo il contrario: quando una casa araba è stata colpita dai missimili, gli ebrei sono venuti ad aiutare i suoi abitanti. E viceversa. Gli Hezbollah avevano invitato gli arabi ad abbandonare la città per poter bombardare solo gli ebrei. Nessun arabo l’ha fatto. Sono rimasti. È come se avessero detto: noi stiamo qui, questa è la nostra città speciale». Lei ha scritto 'Una tromba nello uadi' nel 1987. Vent’anni dopo è meno ottimista sui rapporti tra immigrati russi e arabi israeliani? «I russi che sono immigrati in Israele, politicamente, si sono collocati in maggioranza a destra, è vero. Sono molto vicini ai movimenti dei coloni. Ma anche in questo ad Haifa la stiuazione è un po’ diversa. Anche loro qui vivono accanto agli arabi. E in questi vent’anni ad Haifa non si è mai verificato un incidente serio tra russi e arabi. Del resto qui non ci sono stati problemi neanche tra i russi e gli altri ebrei. Io non so bene da che cosa dipenda tutto questo. Se sia l’aria, se sia il Mediterraneo... Ma il punto vero è che una città così esiste. Oggi. E in Israele ». Lei è nato a Baghdad. E qui, negli anni Quaranta, ha vissuto la sua prima militanza politica. «Facevo parte della più antica comunità ebraica del mondo. Eravamo là da 2.500 anni. Ed eravamo parte della realtà irachena. Noi ebrei abbiamo fatto parte di ogni civiltà fiorita in Iraq. Parlavamo l’arabo, che è la mia lingua madre. E quando nacque il moderno Stato iracheno, negli anni Venti, anche noi ci abbiamo creduto: siamo diventati patrioti iracheni. Nei teatri, nei giornali, nella politica, sognavamo di costruire insieme agli altri giovani iracheni uno Stato libero e giusto. Ma qualcosa è andato storto ». E quando vede la situazione di oggi a Baghdad che cosa pensa? «Quanto sta succedendo mi rattrista molto. Perché l’Iraq è ancora la mia terra madre. Sognavamo uno Stato libero in cui ebrei, cristiani e musulmani potessero vivere insieme. E adesso invece tutti si uccidono a vicenda». Tra qualche settimana dovrebbe tenersi una nuova conferenza di pace ad Annapolis, negli Stati Uniti: come guarda a questo appuntamento? «Dopo un secolo in cui ci siamo combattuti l’un l’altro, noi israeliani e palestinesi siamo diventati maestri nell’arte della guerra. Ma non sappiamo come si fa la pace. Per questo accolgo come benvenuto qualsiasi sforzo che, dall’esterno, ci aiuti a camminare in questa direzione. Da voi europei, dagli Stati Uniti o da chiunque altro. In un certo senso vorrei che ci imponeste di lavorare davvero per la pace». Lei – come Amos Oz, Abraham Yehoshua, David Grossman – è impegnato in prima persona nelle campagne per la pace e i diritti umani. Perché la letteratura in Israele ha assunto con così tanta forza questo ruolo? «La letteratura riflette lo spirito di un popolo. Ma allo stesso tempo va al di là dei confini. Ha a che fare con l’uomo, più che con una nazionalità. E allora è naturale che in situazioni di guerra uno scrittore si batta per la difesa - sempre e comunque - dei diritti umani. Che cos’è scrivere se non sostenere la speranza di pace della gente? I fucili che tuonano non sono letteratura».
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