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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - L'Unità - La Stampa - Europa Rassegna Stampa
24.10.2007 Negare l'evidenza
rassegna di quotidiani per il quali l'Iran sta trattando sul nucleare

Testata:La Repubblica - L'Unità - La Stampa - Europa
Autore: Vincenzo Nigro - Vanna Vannuccini - Umberto De Giovannangeli - Flavia Amabile - Nino Spampinato
Titolo: «Dall'Iran sì al dialogo sul nucleare - Teheran, deputati in rivolta per Larjiani prime accuse contro Ahmadinejad - Nucleare iraniano Solana e i negoziatori:colloqui costruttivi - L'asse dei duri che spaventa Teheran - "Non siamo avventurieri ma sull'atomo»

L'Iran è disposto a "negoziare con forza", l'Europa a negoziare comunque, gli Stati Uniti sono pronti all'uso della forza e hanno dunque la posizione più intransigente ed estrema. L'Iran è un paese "democratico" e dunque la soluzione della crisi nucleare potrebbe venire da un'evoluzione interna del regime degli ayatollah...

E' il quadro, irrealistico a dir poco, disegnato dagli articoli di Vincenzo Nigro e Vanna Vannuccini pubblicati da REPUBBLICA del  24 ottobre 2007.

L'articolo di Nigro:


ROMA - «Negoziare con forza», ma comunque negoziare. Sul nucleare questa è la scelta che il nuovo mediatore iraniano Said Jalili ha confermato ieri sera all´inviato europeo Javier Solana. C´è chi è pronto all´uso della "forza" (l´amministrazione Bush); c´è chi vorrebbe soltanto "negoziare" (la Ue). L´Iran invece battezza questa nuova formula, "negoziare con forza", dietro cui c´è il marchio di fabbrica di Mahmoud Ahmadinejad, che forse vorrebbe semplicemente "negoziare all´infinito".
Ieri il presidente iraniano l´ha ribadito dall´Armenia, «sul nucleare non rinunceremo a una virgola: siamo pronti a trattare, ma senza rinunciare al nostro diritto sacrosanto all´energia nucleare». Dall´altra parte del mondo gli ha risposto George Bush: il programma nucleare iraniano nasconde soltanto l´intenzione di arrivare alla bomba atomica, che grazie ai nuovi missili che Teheran sta costruendo, «sarà capace di minacciare gli Usa e l´Europa entro il 2015». «Anche per questo - dice il presidente americano - è importante installare presto in Europa lo scudo anti-missile al quale abbiamo lavorato dal 2001 con alleati come il Giappone, la Germania, l´Olanda, l´Italia e la Gran Bretagna». E ha ringraziato Roma esplicitamente. «Entro novembre ci sarà una nuova riunione, vogliamo continuare a parlare e il dialogo con la Ue può essere utile», hanno detto insieme il vecchio e il nuovo negoziatore, Alì Larijiani e Said Jalili.
Anche per Solana il summit non è stato un fallimento: l´inviato europeo non si aspettava nessuna evoluzione, se non una presa di contatto col nuovo mediatore, ma forse ha ottenuto qualcosa in più. «Il cambio di negoziatore è innanzitutto un evento interno», dicono i collaboratori del "ministro degli Esteri" della Ue. Cristina Gallach, la portavoce di Solana, dice che il mandato dell´inviato europeo rimane lo stesso: «Bisogna capire se l´Iran ha intenzione davvero di riprendere il negoziato con la comunità internazionale, e la condizione per riprendere la trattativa è la sospensione dell´arricchimento dell´uranio». Se Solana ha accettato di vedersi con gli iraniani evidentemente spera in qualcosa, prima che alla fine di novembre l´Onu si riunisca per votare nuove sanzioni all´Iran.
Chi ha partecipato agli incontri parla di un Larijiani molto assertivo, sempre presente, per nulla "perdente" di fronte a Jalili. Anche Larijiani, moderato e sicuramente contrario alla linea estrema di Ahmadinejad, ha però spiegato con chiarezza che la questione nucleare non dipende dalla volontà di un solo negoziatore, più o meno autorevole: «La politica nucleare iraniana è consolidata, e non cambia di continuo. Anche se cambia il presidente, la politica nucleare non cambierebbe: le questioni strategiche sul nucleare vengono decise a livello di Consiglio di sicurezza nazionale, con l´approvazione della Guida suprema».
Anche per questo spesso di Iran torna a parlare negli Usa il "comandante supremo", George Bush: ieri ha fatto un discorso alla National Defence University, per insistere sullo scudo anti-missile. «La necessità di una difesa missilistica in Europa è reale e io credo sia urgente. L´Iran sta perseguendo la tecnologia che potrebbe essere usata per produrre armi nucleari e missili balistici di gittata sempre maggiore che potrebbero trasportarle, Teheran va fermata con la deterrenza, ma va fermata».

E quello di Vannuccini:

Le dimissioni a sorpresa del capo negoziatore Ali Larijani erano sembrate a tutti una vittoria di Ahmadinejad, ma le ripercussioni politiche che hanno provocato sono sorprendenti e il presidente potrebbe uscirne danneggiato invece che rafforzato. Una maggioranza parlamentare di 183 deputati conservatori ha approvato ieri una risoluzione in cui elogia Larijani e si rammarica della sua partenza. L´influente conservatore Bahonar ha lasciato intendere che Larijani non si era dimesso per "motivi personali", come aveva affermato il portavoce della presidenza, bensì era stato messo praticamente alla porta e impedito di condurre proficuamente il negoziato.
Larijani stava cercando di trovare una strada per riportare il dossier nucleare sotto l´ala dell´Aiea attraverso una collaborazione chiara con l´Agenzia; ma le continue dichiarazioni provocatorie di Ahmadinejad, che tanta attenzione destavano nel mondo e in Iran nessuno osava criticare ad alta voce, gli avevano reso impossibile proseguire su questo cammino. «Larijani era arrivato a una via senza uscita nei rapporti col presidente» ha detto Bahonar. Per la prima volta una critica aperta è venuta anche dall´ex ministro degli Esteri Velayati, oggi consigliere del Leader Supremo Khamenei per la politica estera. «In un momento così sensibile per il negoziato nucleare sarebbe stato meglio se le dimissioni non vi fossero state, e comunque che non fossero state accettate», ha detto Velayati. Significa che Ahmadinejad ha agito senza il consenso di Khamenei, una ipotesi impensabile fino a ieri, e che tuttavia alcune reazioni sembrano suggerire? Oppure significa che Khamenei, dando a Ahmadinejad la piena responsabilità del dossier nucleare, potrà giustificare più facilmente una uscita di scena del presidente se le sue posizioni porteranno a un fallimento del negoziato e a nuove sanzioni? Ahmadinejad non avrà più alcun pretesto per giustificare i suoi fallimenti, e ne pagherà il prezzo, scrive Etemad-e Melli, il giornale del riformatore moderato Karroubi.
Finora i conservatori hanno guardato increduli alla possibilità di un attacco militare americano e hanno contato con ottimismo sull´appoggio di Russia e Cina. Ma ora sembra si siano resi conto che il cerchio si stringe intorno all´Iran. La visita di Putin ha certamente contribuito ad aprire loro gli occhi. Khamenei ha promesso a Putin di studiare le sue proposte. Il capo dell´Aiea Baradei ha scritto una lettera confidenziale ai dirigenti iraniani e non ha ancora ricevuto una risposta e il suo vice Heinonen sta discutendo in questi giorni il tema scottante delle centrifughe P1 e P2.
La presa di posizione dei deputati ha provocato un piccolo giallo. Ahmadinejad, che lunedì era in Armenia in visita ufficiale, è tornato a Teheran in anticipo sul previsto, senza presentarsi a una cerimonia al memoriale del genocidio, né parlare al parlamento armeno com´era previsto. Al suo arrivo a Teheran, Ahmadinejad ha smentito la notizia del suo rientro anticipato: «Sono rimasto in Armenia più a lungo del previsto», ha detto. E ha ribadito che l´Iran «non arretrerà di uno jota sui suoi diritti e non cesserà nemmeno per un minuto l´arricchimento dell´uranio». Nel suo mondo virtuale i fatti non contano, dice l´economista Said Leylaz. Pochi giorni fa Ahmadinejad ha detto in Parlamento che il suo governo ha fatto meglio e di più di tutti quelli che l´hanno preceduto e ha irriso il governo Khatami perché «lavoravano quattro o cinque ore al giorno e non 18 come fa lui».
Non conta che l´inflazione abbia superato il 20 per cento, che gli affitti salgano del 25 per cento ogni anno, che gli economisti più noti del paese abbiano criticato pubblicamente la sua gestione economica. «Forse qualcuno in futuro dirà di lei che sarebbe stato meglio se avesse lavorato solo mezz´ora al giorno e lasciato le cose come stavano», ironizza Etemad-e Melli.

"Colloqui costruttivi" per Umberto De Giovannangeli, sull' UNITA':

ROMA crocevia di un negoziato cruciale: quello sul nucleare iraniano. Sono le 18.00 quando a villa Doria Pamphili, sede del governo messa a disposizione dall’Italia, ha inizio l’atteso incontro tra il capo negoziatore iraniano uscente, Ali Larijiani, il suo succes-
sore Said Jalili, e il responsabile per la politica estera della Ue, Javier Solana. Il primo obiettivo di Teheran è quello di dare all’Occidente una immagine di compattezza. «Sul nucleare - dice Jalili alla Tv iraniana prima dell’inizio dell’incontro con Solana - c’è un consenso nazionale. La precedente squadra di negoziatori ha fatto molti sforzi, e questa squadra continuerà con la stessa forza». «Le interpretazioni secondo cui la linea dei negoziati cambierà - gli fa eco Larijani - scaturiscono dall’ignoranza del sistema decisionale in Iran. Su questioni strategiche come il nucleare sarà sempre seguita la stessa linea, perché il luogo delle decisioni è chiaro». Un apparente riferimento alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, a cui spetta l’ultima parola sulle politiche del Paese.
L’incontro dura oltre due ore. E apre spazi alla speranza. È stato un colloquio «costruttivo» afferma Solana». auspicando che si «continui a parlare». «Quello di oggi (ieri, ndr.) è stato un buon dialogo, ne faremo un altro entro novembre»: ad annunciarlo sono congiuntamente l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, e l'ex capo negoziatore Ali Larijani. Un altro segnale che l’incontro di Roma ha dato i suoi frutti. Stiamo facendo «buoni progressi» per cui abbiamo deciso di fare altri incontri e «di continuare i negoziati» per fare dei passi in avanti prima della fine di novembre quando ci sarà un altro colloquio, conferma Larijani. L’ex capo negoziatore iraniano - in qualità di rappresentante della Guida suprema - ringrazia il governo italiano «per aver creato un'atmosfera adatta ai colloqui», definendo gli incontri «costruttivi e trasparenti» nel solco «degli accordi raggiunti a Lisbona» alla fine di giugno. Noi sosteniamo ogni tipo di negoziato e quindi il negoziato di Solana è benvenuto perchè vogliamo arrivare ad una conclusione», insiste Ali Larijani. «Non siamo degli avventurieri», aggiunge ribadendo che l'Iran vuole il negoziato. Quanto al suo successore, Larijani lo definisce «un amico che ha l'energia per continuare a lavorare» sulla stessa linea. Smentendo l'esistenza di divisioni ai vertici che avrebbero giustificato le sue dimissioni Larijani ha ribadito il pieno sostegno alla linea del presidente Ahmadinejad. «Terremo la stessa linea che è stata portata avanti in questi mesi», assicura a sua volta il nuovo negoziatore per il nucleare iraniano Said Jalili che ricambia gli elogi del suo predecessore affermando che» le sue capacità saranno usate al più alto livello». In risposta a una domanda, Solana ha fatto cenno ai provvedimenti contro Teheran che potrebbero essere adottati dall'Onu: «Le sanzioni - rileva - saranno rimosse quando sarà raggiunto un accordo» . Ai giornalisti Jalili spiega che «negoziato e cooperazione sono l'approccio di base dell'Iran», così come «il dialogo». Fuori dall’ufficialità, fonti diplomatiche vicine a Solana confidano a l’Unità che la positività dell’incontro «non sta solo nei toni concilianti ma soprattutto nelle aperture di contenuto». Oltre la fonte non si sbilancia. Ma il clima che si respirava ieri sera a Villa Pamphili era di «cauto ottimismo». E di questi tempi non è poca cosa. Buone nuove da Roma.

Intervistato da De Giovannangeli ijjan Zamardili sostiene che la sostituzione di Larjiani sarebbe stata provocata dall'unità di Usa, Francia e Gran Bretagna sulla questione nucleare.
Maggiori divisioni nella controparte, fa capire il giornalista, renderebbero l'Iran più flessibile...
Una tesi che è una mancanza di rispetto per l'intelligenza di chi legge.
La posizione iraniana nella sostanza non è cambiata con la sostituzione di Larijani. Se la forma, viceversa, diventa sempre più intransigente, è perchè l'escalation di Ahmadinejad non ha ancora provocato conseguenze negative di rilievo per il regime. L'Iran conta proprio sulle divisioni dell'Occidente per proseguire indisturbata nei suoi progetti.

«Ciò che Teheran teme oggi di più è l’affermarsi di un asse dell’intransigenza Washington-Parigi- Londra». A sostenerlo è Bijan Zarmandili, scrittore e analista politico iraniano.
Per negoziare sul nucleare a Roma si sono presentati il vecchio e nuovo negoziatore iraniani, Said Jalili e Ali Larijani. Come leggere questo cambio?
«Apparentemente la presenza a Roma di Larijani vuol dire che Teheran intende dare l’impressione di avere una continuità della propria linea sulla questione nucleare. Ma dietro a questa apparenza in realtà vi sono divergenze sostanziali tra Ahmadinejad e Larijani che hanno portato alle dimensioni di quest’ultimo. C’è poi un altro fattore più vicino a ciò che sta avvenendo oggi a Teheran...».
Vale a dire?
«A Teheran i dirigenti iraniani hanno l’impressione che i loro interlocutori occidentali abbiano una posizione assai più compatta rispetto al passato. E ciò è dovuto soprattutto all’allineamento della Francia di Sarkozy alle posizioni degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Quello che preoccupa Teheran è il delinearsi di un asse Washington-Parigi-Londra. Di conseguenza è stato deciso di togliere di mezzo voci di dissenso rispetto alla linea sul nucleare, presentando anche da parte iraniana una posizione compatta. La novità di questa fase è che questa posizione compatta rappresenta la linea più rigida. L’Iran valuta i cambiamenti nel campo avversario e ad essi si modella. A questo aggiungerei un altro elemento: tra i dirigenti iraniani non è una novità cambiare il negoziatore del momento per rispondere ad esigenze esterne. Ricordiamoci che lo stesso Larijani aveva sostituito a suo tempo Ali Rohani, il mediatore iraniano che aveva avviato il dialogo sul nucleare per due anni con la trojka europea. Appena quella fase fu giudicata superata, fallita, con l’arrivo di Ahmadinejad si è fatto largo Larijani, portatore di una posizione più rigida. A sua volta, questa posizione viene sostituita con una ancor più intransigente rappresentata da Jalili».
Alla luce di queste considerazioni ha ancora uno spazio e una prospettiva la posizione dell’Italia che punta ancora su un pressing politico a tutto campo su Teheran?
«Questa posizione ha delle prospettive se non resta isolata in Europa e riesce invece a inserirsi in un alinea comune ad altri partners europei. Penso alla Spagna, all’Austria ma soprattutto alla Germania. L’Italia deve guardare oggi a Berlino, e cercare di costruire un asse con la Germania della cancelliera Angela Merkel. Se la Merkel non si fa attrarre dall’asse Washington-Parigi-Londra e riesce a mantenere una certa equidistanza, ciò aprirebbe nuovi spazi per l’iniziativa italiana che potrebbe a sua volta puntare a una linea condivisa da Berlino, Madrid e Vienna. Una linea che potrebbe aprirsi, o comunque relazionarsi, alle posizioni assunte sul dossier nucleare iraniano dalla Russia di Vladimir Putin. Io vedo abbastanza difficile un allineamento dei Paesi europei direttamente sulle posizioni di Mosca e di Pechino, tuttavia l’affermarsi di un asse Roma-Berlino-Madrid potrebbe in qualche modo equilibrare all’interno della comunità europea le posizioni più intransigenti portate avanti da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, un asse assai forte e determinata. L’Italia potrebbe avere un ruolo importante nel ricostruire equilibri nuovi all’interno dell’Europa, partendo proprio dal nucleare iraniano».

Ottimismo fuori luogo anche nell'articolo di Flavia Amabile pubblicato da La STAMPA

C’era molto timore intorno all’incontro di ieri tra l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Javier Solana, e il nuovo negoziatore iraniano sul dossier del nucleare, Said Jalili, accompagnato dal suo predecessore Ali Larijani. Si trattava di un passaggio di consegne dopo la sostituzione voluta da Teheran, che ha affidato il negoziato a un uomo più vicino al presidente Ahmadinejad.
L’incontro è durato oltre due ore ed è proseguito con una cena a Villa Doria Pamphili. Al termine i partecipanti hanno cercato di lanciare segnali rassicuranti. «Un incontro costruttivo che ci ha permesso di continuare il dialogo: ci incontreremo ancora entro la fine di novembre», ha annunciato Javier Solana e ha sottolineato la continuità del dialogo anche dopo il cambio di interlocutore.
«Manterremo la stessa linea portata avanti in questi mesi da Ali Larijani. Vogliamo andare avanti con il negoziato esattamente come ha fatto lui finora», ha assicurato il nuovo responsabile delle trattative Said Jalili. E ha spiegato che «negoziato e cooperazione sono l’approccio di base dell’Iran», così come «il dialogo».
Dal canto suo Larijani - in qualità di rappresentante della guida suprema l’ayatollah Khamenei - ha ringraziato il governo italiano «per aver creato un’atmosfera adatta ai colloqui», ha definito gli incontri «costruttivi e trasparenti» nel solco «degli accordi raggiunti a Lisbona» alla fine di giugno. E ha gettato acqua sulle polemiche legate alla sua sostituzione.
«Non siamo avventurieri e non cerchiamo problemi», e per quel che riguarda le sue dimissioni l’Iran «è un Paese democratico con rotazione delle cariche». Quanto al suo successore, Larijani lo ha definito «un amico che ha l’energia per continuare a lavorare». sulla stessa linea. Smentendo l’esistenza di divisioni ai vertici che avrebbero giustificato le sue dimissioni Larijani ha ribadito il pieno sostegno alla linea del presidente Ahmadinejad. Jalili ha ricambiato gli elogi del suo predecessore affermando che «le sue capacità saranno usate al più alto livello».
«Stiamo facendo buoni progressi - ha concluso Larijani - per cui abbiamo deciso di fare altri incontri e di continuare i negoziati» con l’obbiettivo di fare passi in avanti prima della fine di novembre, quando ci sarà un altro colloquio.

EUROPA pubblica un articolo interesante sulle ipotesi di sanzioni all'Iran.
Ma disinforma presentandole come contrapposte alla strategia dell'amministrazione Bush.
In realtà, anche quest'ultima per ora punta sulle sanzioni, ostacolata da Russia,  Cina e anche Italia.
Inoltre, è certo che  non si potrà ottenere nulla dall'Iran presentandosi ai negoziati con l'esclusione assoluta dell'opzione nucleare.
E' sempre preferibile evitare la guerra, ma la disponibilità ad utilizzare lo strumento bellico è indispensabile nelle trattative con gli Satti canaglia.

Ecco il testo:

Non è certo quella evocata da Bush la nuova guerra che gli americani potrebbero dichiarare all’Iran. Piuttosto, costituisce una concreta alternativa all’ipotesi di un attacco militare che i falchi della Casa Bianca sono tornati a ventilare, visto che invece di missili e bombe richiede soltanto uno specifico impegno: verificare che i propri risparmi non finiscano in società collegate ad aziende che fanno business con Teheran, o con gli altri paesi accusati dagli Stati Uniti di sostenere il terrorismo. Insomma, si tratta di attuare un singolarissimo embargo economico che, oltre a trovare già rispondenza nelle leggi di alcuni stati americani, è stato rilanciato dalla campagna “Divest Terror” del Center for Security Policy di Washington.
L’organizzazione, in pratica, chiede di «disinvestire» i propri depositi, i fondipensione e tutte le altre forme di investimento dalle società finanziarie americane che, se per legge non possono avere rapporti diretti con lo stato di Ahmadinejad, hanno però partecipazioni azionarie in molte compagnie straniere che operano in Iran. Ne vengono elencate quattrocento, la maggior parte delle quali sono europee e operano nel settore petrolifero e delle infrastrutture: tra queste ci sono le francesi Total, Alcatel e Bnp Paribas, la russa Statoil, ma anche l’Eni.
«Quello che finora non è stato chiaro è che ognuno di noi può giocare un ruolo chiave nella lotta al terrorismo: con i miei soldi, non voglio finanziarlo» recita il manifesto della campagna. Il suo ideatore è il presidente del Center for Security Policy, Frank Gaffney, che non ha certo la fama di essere un pacifista. Fedelissimo funzionario dell’amministrazione Reagan, si è occupato anche di armamenti atomici, e adesso si oppone a un attacco all’Iran non tanto per motivi ideologici, ma strategici: «Bombardare i siti nucleari iraniani, che sono nascosti e dispersi sul territorio, non solo sarebbe impraticabile, ma molto probabilmente spingerebbe la popolazione ad armarsi e a combattere in nome dei mullah radicali. Invece, sappiamo che il nostro approccio, basato sull’impegno dei singoli, sta suscitando un interesse sempre maggiore».
Considerando che le sanzioni in sede Onu saranno difficilmente applicabili per l’opposizione di Russia e Cina e che finora l’amministrazione Bush (nonostante sostenga da tempo la necessità di esercitare pressioni economiche) non ha attuato alcun piano di disinvestimento, probabilmente per non irritare gli alleati, visto che innanzi tutto sarebbero colpite le compagnie dei paesi amici, la proposta di un sistema di sanzioni “private” rappresenta il primo passo di una campagna che mira ad un obiettivo più ampio: se il ritiro dei fondi inducesse le grandi compagnie straniere a tagliare i propri rapporti con l’Iran, di sicuro si indebolirebbe anche la loro attività di lobby che finora ha frenato l’imposizione di sanzioni internazionali da parte dei governi.
Il precedente a cui si fa riferimento è celebre e riguarda il Sudafrica dell’apartheid: vent’anni fa, il boicottaggio attuato contro alcune aziende americane le costrinse a lasciare il paese e anche questo contribuì a mettere fine al regime di segregazione razziale.
Inoltre, ci sono già state diverse iniziative legislative adottate dai singoli stati americani: il 10 ottobre Arnold Schwarzenegger ha firmato una legge che rescinde gli investimenti dei fondipensione statali nelle compagnie che commerciano con l’Iran. La firma dell’ex terminator ha portato nuovo risalto alla campagna. Ma il governatore della California non è stato il primo: già il Missouri aveva collocato i depositi statali in un fondo che non avesse alcuna connessione con i paesi accusati di sostenere il terrorismo, mentre in Louisiana è stato approvato un elenco delle compagnie “pulite” e altre misure simili sono state prese – o sono in discussione – in Pe n n s y l v a n i a , M i c h i g a n , Massachusetts e G e o r g i a , n o n o s t a n t e l’opposizione delle grandi società finanziarie.
E non è soltanto il diverso colore politico dei governatori a dimostrare come il tema del disinvestimento stia trovando un sempre maggiore consenso bipartisan: sia il candidato alla nomination democratica Barack Obama, sia il repubblicano Sam Brownback hanno presentato al senato una proposta per mettere allo scoperto i nomi delle compagnie che fanno affari con l’Iran; perfino l’altro candidato alla nomination repubblicana John Mc Cain, che va sostenendo che «un intervento militare in Iraq è più vicino di quanto si pensi», ha appoggiato l’iniziativa dei due colleghi, esprimendosi a favore di un sistema basato sulle sanzioni private.
Nessuno crede che questo possa direttamente cambiare l’atteggiamento di Teheran, ma una reale stretta economica potrebbe avere ripercussioni su un sistema economico già precario, rafforzando di conseguenza l’opposizione interna, anche se Russia e Cina potrebbero colmare gli eventuali vuoti lasciati dalle compagnie occidentali.

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