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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Irčne Némirovsky Come le mosche d’autunno 22/10/2007

Come le mosche d’autunno                      Irčne Némirovsky

 

 

Traduzione di Graziella Cillario

 

 

Adelphi                                                         Euro 9

 

 

Lanciata in Italia da Adelphi, che ne sta traducendo tutti i racconti e i romanzi, Irčne Némirovsky non smentisce il suo stile raggelato (mai un cedimento, mai un sospetto di sentimenti trepidi o nostalgici, bandita l’emozione del rimpianto) e la sua capacitŕ di dipingere il declino, la decadenza, l’eclissarsi di ogni senso del futuro. Irčne č una leggiadra pessimista, una messaggera della Grande Crisi sorridente e ombrosa, una seduttrice che ci illude di non farsi carpire dall’angoscia per il tramonto della vecchia Europa. Ogni sua storia, lunga o breve, da Il ballo a Suite francese e a Jezabel, apologo magistrale sulle imprese delittuose di una “femme fatale”, č un affacciarsi sull’orlo dell’abisso tra giochi di luce, profumi, gioielli, amori svaporati e fiumi di champagne. E le atrocitŕ che si abbattono sui suoi personaggi ci sono offerte col distacco e la precisione clinica con cui si affronta un teorema matematico.

 

 

L’ultimo libro, Come le mosche d’autunno, uscito in Francia nel 1931, č una vicenda che si consuma rovinosamente, e col consueto tono freddo e vagamente artificiale, lungo un centinaio di pagine. Stavolta l’autrice si applica alla descrizione di una famiglia di aristocratici russi, i Karin, spinti alla fuga dalla loro terra dal ciclone bolscevico (destino condiviso dall’ebrea ucraina Némirovsky, nata a Kiev nel 1903, morta ad Auschwitz nel 1942 e rifugiatasi a Parigi per la rivoluzione). Il centro dello sguardo narrativo č quello della “njanja”, ovvero la nutrice e governante, di nome Tat’jana Ivanovna. E’ stata lei la balia del padrone di casa, č stata lei a crescerne i figli. Salda come una roccia per fedeltŕ, solerzia, impermeabilitŕ ai cambiamenti, sembra uscita come una particella minuta e viva dagli affreschi di Guerra e Pace: uno di quei domestici incrollabili, ed estranei a logiche politiche e belliche, che sbalzano dagli sfondi delle tolstoiane famiglie di campagna (vedi quella del principe Andrei Bolkonskij).

 

 

Tat’jana č vecchia e al tempo stesso č una bambina, sente nei Karin tutte le proprie radici, ignora i passaggi di Storia. Ama la neve che sa di ghiaccio e fuoco, si segna spesso col gesto della croce, rammenda calze presso la finestra, si figura gli orrori della guerra con grazia e spettacolaritŕ, come in un’illustrazione per ragazzi: un campo di cavalli al galoppo tra fulgide esplosioni di granate. E’ lei ad accompagnare e a benedire i due maschi dei Karin, Jurij e Kirill, che partono per andare a combattere nella notte russa, densa di fumi lontani e sentore di abeti. E quando il fuggiasco Jurij ripara nella tenuta di famiglia, coi contadini che ormai dettano norme e impongono condanne, č lei a farsi trovare ad accudirlo (siamo nel ’18, i Karin sono giŕ scappati). Jurij sarŕ ucciso da un cocchiere, vendicatore proletario alla riscossa, e Tat’jana assiste all’esecuzione impotente e stupefatta. E’ ancora lei a salvare i suoi padroni coi diamanti di famiglia che tiene cuciti nell’orlo della gonna, raggiungendo a piedi, con un cammino di tre mesi, il loro rifugio di Odessa. Da lě, negli anni venti, i Karin arrivano in Francia, prima a Marsiglia e poi a Parigi, accolti in quattro stanzette buie dove vivacchiano nella memoria dei fasti trascorsi. E mentre il giovane Kirill e sua sorella Loulou si stordiscono tra fumo e vodka scadente in un faticato susseguirsi di giri a vuoto, “come mosche d’autunno”, Tat’jana sogna invano gli imponenti inverni russi e scorge polvere ovunque nella casa. Polvere in forma di cenere, patina uniforme che si poggia persistente e lieve sugli oggetti. La visione ci suggerisce quanto sia prossima la fine. Sarŕ facile e soave precipitare nella morte, una di quelle morti ironiche, eleganti e senza gridi di dolore che piacciono alla Némirovsky.

 

 

 

 

Leonetta Bentivoglio

 

 

Almanacco libri - La Repubblica


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