Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Shaul Friedlander premiato in Germania da Praga a Israele, lo storico della Shoah
Testata: Corriere della Sera Data: 14 ottobre 2007 Pagina: 39 Autore: Ranieri Polese Titolo: «Friedlander: così sono guarito dalla paura della Germania»
Shaul Friedlander, uno degli storici più importanti della Shoah, ha ricevuto il < Premio della pace >, che viene attribuito ogni anno dai librai tedeschi durante la Fiera del Libro di Francoforte. I suoi libri sono tradotti anche in italiano. Ecco la cronaca dal CORRIERE DELLA SERA di oggi, 14/10/2007, a pag.39, a firma di Ranieri Polese, dal titolo " Fiedlander: così sono guarito dalla paura della Germania":
FRANCOFORTE — Che sensazioni prova a essere in Germania? «Non ho più le ossessioni di una volta. Mia figlia si è sposata qui, ho un nipote. La Germania è un Paese liberale, forse anche più liberale degli Stati Uniti dove ho vissuto per vent'anni. Certo, quando venni le prime volte a fare ricerche negli archivi di Bonn ero preso da attacchi di panico». Oggi Saul Friedländer riceve il Friedenspreis, assegnato dall'Associazione librai tedeschi. Settantacinque anni compiuti da pochi giorni, ha insegnato a Ginevra, Tel Aviv, Los Angeles; della sua bibliografia fa parte il monumentale studio La Germania nazista e gli ebrei in due volumi, 1998-2006 (in Italia lo pubblica Garzanti, che sta preparando la traduzione del secondo volume). Vive fra Los Angeles e Tel Aviv. Si dice «politicamente critico, ma emotivamente coinvolto con Israele», ma poi invita a considerare che oggi, con il nuovo terrorismo, la situazione è cambiata. Degli incubi che si è portato dietro — figlio di due ebrei di Praga rifugiatisi in Francia nel '39, Saul viene lasciato in un collegio cattolico e battezzato come Paul mentre i genitori tentano la fuga in Svizzera; respinti, saranno deportati ad Auschwitz dove muoiono nel 1942 — Friedländer ha parlato nel suo libro uscito in Francia, «Quand vient le souvenir...». «L'attacco di panico a Bonn — ricorda ora — mi costrinse ad andare da un medico. Mi chiese dei miei genitori. Sono morti, risposi. Di che cosa? A quel punto mi sono alzato e senza una spiegazione sono scappato». A chi gli domanda come mai ha scelto di occuparsi della storia della persecuzione e dello sterminio degli ebrei, Friedländer dice: «È stato quel tema a scegliere me. Seguivo altri indirizzi di studi, a Parigi mi ero laureato in Scienze politiche. Poi, a Bonn, mi capitò in mano un documento sconvolgente: la segreteria di Pio XII invitava la Philarmonie di Berlino a tenere un concerto in Vaticano, in programma pagine del "Parsifal" di Wagner. Era il dicembre 1941. Un momento strano per un concerto (che poi, comunque, non ci fu): a giugno i tedeschi avevano invaso l'Unione Sovietica sterminando centinaia di migliaia di ebrei, Hitler preparava la Soluzione finale». Nacque così lo studio sui rapporti tra Vaticano e III Reich, uscito negli anni Sessanta. Una scrupolosa ricerca scientifica, che partiva anche da un'esperienza personale: dopo la guerra, obbedendo a una circolare vaticana, il collegio cattolico francese non voleva lasciarlo tornare all'ebraismo. «Liberato» da un comitato ebraico, il ragazzo decide di chiamarsi Saul e va in Israele. Dagli anni Sessanta tutta la sua attività di studioso è dedicata all'Olocausto. «Via via che la documentazione cresceva, cresceva in me però un'altra esigenza: quella di far sentire anche la voce delle vittime. Già nel 1961, Raul Hilberg aveva pubblicato La distruzione degli ebrei d'Europa, un lavoro eccezionale che ricostruiva il funzionamento della macchina burocratica incaricata della eliminazione degli ebrei. Ma loro, le vittime, non comparivano. Erano rimasti passivi, si diceva, e in parte lo erano stati, anche se non sempre; spesso non riuscivano nemmeno a immaginare il loro destino. Ho lavorato 16 anni a ricercare testimonianze, diari, lettere, ricordi per inserire le loro voci nella storia». Frequentemente, in Germania, storici e intellettuali esortano a chiudere con il passato. «E periodicamente invece se ne ritorna a parlare. Nel dopoguerra si doveva pensare solo a ricostruire il Paese. Ma già negli anni Sessanta partono importanti ricerche sul nazismo. Alla metà degli anni Ottanta, ecco di nuovo la richiesta di "storicizzare" il passato, ovvero di addomesticarlo considerando il nazismo un fenomeno storico come tanti altri. Comincia con un articolo di Ernst Nolte la Historikerstreit e coinvolge un po' tutti. Habermas si schiera contro, anch'io faccio lo stesso». L'onda degli «storicizzatori » tocca il culmine nel '98, a Francoforte, quando Martin Walser dice che i tedeschi non possono più subire il ricatto del passato. «Nel frattempo — dice ancora Friedländer — si riaprono pagine di storia dimenticate, si parla dei morti nel bombardamento di Dresda (qualcuno lascia quasi intendere: quanto a vittime, siamo pari). Ma di nuovo si torna ad affrontare il nazismo e lo sterminio degli ebrei. Golo Mann, negli anni Ottanta, fece un paragone poco felice: i francesi non hanno certo durato 40 anni a parlare di Napoleone, perché allora noi tedeschi continuiamo a parlare di Hitler? Già, perché? Ma come può sfuggire la differenza tra Hitler e Napoleone? Come si fa a "storicizzare" l'orrore? Di fronte ai milioni di vittime, non è giusto cancellare lo smarrimento, lo choc che l'essere umano, anche lo storico, prova di fronte a questo crimine».
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