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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
11.10.2007 Le condizioni di Abu Mazen
irrealistiche, potrebbero portare al fallimento del vertice di Annapolis

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Davide Frattini - Ariel Feltri
Titolo: «Abu Mazen: «Per la pace pronti a scambi di terre» - Abu Mazen ora vuole la Grande Palestina»
Dal CORRIERE della SERA dell'11 ottobre 2007, una cronaca di Davide Frattini:

GERUSALEMME — Chilometri quadrati: 6.205. Così il presidente Abu Mazen vuol vedere indicato il futuro Stato palestinese nei libri di geografia. «Questo è quello che abbiamo tra Gaza e la Cisgiordania. E questo è quello che vogliamo avere», ha spiegato in un'intervista alla televisione di Ramallah.
Il raìs ha reso pubbliche le sue richieste, mentre le due squadre di negoziatori stanno discutendo i dettagli per il vertice di Annapolis, che dovrebbe svolgersi alla fine di novembre negli Stati Uniti. I palestinesi chiedono — secondo documenti ottenuti dall'Associated
Press — anche piccole aree lungo il confine della Cisgiordania che quarant'anni fa, prima della guerra dei Sei giorni, erano considerate terre di nessuno. Abu Mazen ha parlato di un ritiro totale di Israele alle frontiere del 1967. Allo stesso tempo, lascia aperta la possibilità di scambi territoriali. «È possibile un aggiustamento dei confini, sulla base della stessa qualità e della stessa quantità». Il governo di Ehud Olmert punta a conservare, dopo un accordo finale, i blocchi di grandi insediamenti e parti di Gerusalemme Est. Negli incontri dei mesi scorsi, il presidente palestinese avrebbe offerto il 2 per cento della Cisgiordania, il premier israeliano vuole arrivare al 6-8 per cento. In cambio, i palestinesi otterrebbero una zona tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania — distano una quarantina di chilometri — che permetterebbe di creare un collegamento tra le due zone.
«La conferenza internazionale deve discutere le sei questioni più importanti — ha continuato Abu Mazen —: Gerusalemme, i rifugiati, i confini, le colonie, l'acqua e la sicurezza ». I negoziatori palestinesi sono guidati da Abu Ala, che a 71 anni ha affrontato nei colloqui quattro diversi primi ministri israeliani. «Dal summit — dice in un'intervista all'Associated Press —è sufficiente una dichiarazione che dichiari Gerusalemme Est come capitale palestinese e la parte Ovest come capitale israeliana. I dettagli più controversi (dal controllo dei luoghi sacri a dove esattamente debba passare la linea di separazione) verranno discussi dopo». I palestinesi temono che prima del vertice il governo israeliano continui a confiscare altre terre per imporre ai negoziati una soluzione già definita. «Tutto quello che verrà fatto prima della fine di novembre resterà inciso nella pietra», commenta Jeff Halper, un geografo israeliano, al quotidiano britannico Guardian.
Il ministero degli Esteri francese ha protestato per i 145 ettari requisiti tra Gerusalemme Est e l'insediamento di Maale Adumim. «Le attività di colonizzazione vanno congelate, come indica la road map. Le autorità israeliane devono astenersi da qualunque azione unilaterale che pregiudichi lo stato finale dei territori palestinesi». Le organizzazioni per i diritti umani israeliane accusano il governo Olmert di tagliare in due la Cisgiordania per collegare Maale Adumim a Gerusalemme.

Da LIBERO , la cronaca di Ariel Feltri:

Annapolis, capitale dello stato del Maryland e città simbolo degli Stati Uniti perché fu la prima capitale federale in tempo di pace, si appresta a ospitare il prossimo novembre (la data indicata per l'inizio dei lavori è il 26), nella sua famosa Accademia navale, il vertice internazionale sulla pace. Con gli israeliani e i palestinesi nel ruolo di protagonisti, sederanno al tavolo anche dignitari sauditi, gli emiri del Golfo, i giordani e gli egiziani. Il mondo spera di vedere segnali positivi, ma c'è il fondato rischio che, come accadde altre volte in passato, per esempio ad Oslo, la conferenza finisca col produrre una nuova ondata di violenza. Le parole di Abu Mazen, colui che molti anche in Israele ritengono un moderato, non lasciano aperti spazi di ottimismo. Il leader palestinese, infatti, pone come condizione che Israele torni ai confini del 1967, che Gerusalemme est debba essere la capitale della Palestina e che lo stato ebraico dica sì al ritorno indiscriminato di profughi (erano mezzo milione nel 1947, ora sono milioni). Senza queste condizioni inderogabili, il "moderato" Abu Mazen avverte che scoppierà la terza intifada. Praticamente non fa che ripetere le parole di Yasser Arafat. GARANTIRE SICUREZZA Nessun interlocutore israeliano potrà mai accettare queste condizioni, anche perché Abu Mazen non dà alcuna garanzia in tema di controllo del terrorismo. E la sicurezza, per Israele, è l'obiettivo principale. Ma se davvero la Knesset accettasse di riscrivere la carta geografica riportandola al 1967, come si presenterebbe l'area di tutta la zona? Intanto il West Bank tornerebbe alla Giordania, che lo aveva annesso nel 1948, mentre Gaza sarebbe di nuovo egiziana. Di Palestina, dunque, non c'era traccia, anche se nel 1964 l'egiziano Arafat, tornato da Mosca, cominciò a chiamare "pale stinesi" gli arabi della zona e diede inizio all'azione che aveva come fine, scritto nero su bianco sulla carta dell'Olp, la distruzione di Israele. Proprio come all'Onu nel 1947, quando nessuna nazione araba aveva preso in considerazione la creazione di uno Stato palestinese, almeno fino a quando non sarebbero stati annientati gli odiati sionisti. Sempre nel 1967, gli arabi originari della Palestina vivevano, da quasi 20 anni, rinchiusi in campi profughi a Gaza, in Giordania ed in Libano. Giova ricordare che all'epoca molti arabi avevano rifiutato di obbedire ai capi della Lega Araba preferendo restare e diventare cittadini israeliani. In quell'anno Israele si difendeva dalle azioni di terrorismo ai confini con il Libano, con la Siria (dalle alture del Golan) e con l'Egitto, il cui leader Nasser mirava a costituire un blocco sempre più ampio di Paesi arabi "progressisti" nell'azione anti-israeliana, includendo l'Iraq e, in prospettiva, perfino l'Arabia Saudita. Il 5 giugno 1967 scoppiò la guerra. L'aviazione israeliana lanciò un attacco contro le forze aeree dell'Egitto e della Siria, sbaragliandole. Dopo aver occupato Gaza ed il Sinai, Israele arrivò fino al Canale di Suez costringendo l'Egitto a capitolare. A questo punto le forze israeliane si rivolsero verso la Siria e occuparono il Golan. Il 10 giugno la guerra, durata sei giorni, era già finita. Ma la pace non è mai cominciata. PROBLEMA DI DIMENSIONI «Noi abbiamo 6.205 chilometri quadrati nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, ed è questo il territorio che vogliamo». Ecco la dichiarazione rilasciata alla televisione di Ramallah dal presidente Abu Mazen che ha indicato per la prima volta l'estensione del territorio sul quale intende «ottenere la piena sovranità» per il suo futuro Stato, e che sarà oggetto di negoziato con Israele. Il leader palestinese si è detto disposto «ad alcune piccole concessioni sui confini da discutere caso per caso». Ma il messaggio è chiaro: Israele «si deve perciò ritirare da tutti i territori occupati durante la guerra del 1967», rientrando entro le sue frontiere naturali che ricadono su una superficie di quasi 21.000 chilometri quadrati, Le parole di Abu Mazen sono state accolte gelidamente a Gerusalemme: Miri Eisin, portavoce del governo Olmert, si è rifiutata di commentarle, affermando di non voler pregiudicare l'esito dei negoziati. Ma queste richieste, si leggeva ieri sul Jerusalem Post, eccedono ogni offerta che Gerusalemme plausibilmente vorrà fare ad Annapolis.

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