Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
I neocon tramano per la guerra all'Iran, sostiene Ennio Caretto e per Guido Rampoldi gli ayatollah temono soprattutto... gli investimenti occidentali
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica Autore: Ennio Caretto - Guido Rampoldi Titolo: «Contro l'Iran tornano i neocon «Ahmadinejad è come Hitler» -»
Un think tank liberal è un'espressione di democrazia, uno conservatore è un'oscura trama di miliardari"guerrafondai"legati alla Casa Bianca. Ennio Caretto legge il dibattito politico americano, in genere, con lenti decisamente di parte. Non fa eccezione l'articolo pubblicato dal CORRIERE della SERA il 1 ottobre 2007, sull'associazione Freedom Watch, che denuncia il dittatore iraniano Ahmadinejad come il nuovo Hitler.
Ecco il testo:
WASHINGTON — Nella sempre più tesa partita a scacchi con l'Iran, l'amministrazione Bush gioca una nuova pedina: Freedom Watch, un'associazione di miliardari conservatori, creata la scorsa estate, che include l'ex ambasciatore americano a Roma Mel Sembler. La Casa Bianca nega di coordinarne l'attività, ma secondo il New York Times, che ieri ha dato la notizia della sua esistenza, Freedom Watch ha tra i suoi obiettivi oltre che la vittoria in Iraq anche un attacco all'Iran. Il presidente dell'associazione, Bradley Blakeman, un ex consigliere di Bush, ha dichiarato al giornale che «se le minacce di Hitler fossero state ascoltate lo avremmo fermato», e ha paragonato a lui il leader iraniano Ahmadinejad «che vuole distruggere gli Stati Uniti e Israele». Il New York Times ha aggiunto che la settimana scorsa Freedom Watch definì Ahmadinejad «un terrorista », e che a giorni sponsorizzerà un convegno dell'American Enterprise Institute, il serbatoio di cervelli dell'amministrazione, «sull'Iran, pericolo diretto per la sicurezza americana». Formalmente, Freedom Watch è nata per controbilanciare l'influenza di MoveOn.org, un'associazione liberal con oltre 3 milioni di membri. In quanto gruppo non a fini di lucro non può finanziare i partiti. Ma con i suoi enormi fondi — ha speso 15 milioni di dollari in appoggio alla guerra in Iraq e conta di raccogliere 200 milioni in un anno — è in grado di condizionare la politica del Congresso sull'Iran. Tra i fondatori, tutti magnati che avrebbero versato 1 milione di dollari a testa, vi sono oltre a Sembler l'ex ambasciatore a Malta Anthony Gioia, il re di Las Vegas Sheldon Adelson, che figura sesto nella classifica dei Creso della rivista Forbes, e John Templeton di Filadelfia. Ha spiegato Sembler al New York Times: «L'idea dell'associazione scaturì lo scorso dicembre da una conferenza dell'American Enterprise Institute sull'Iraq dello scorso dicembre. Bisognava rispondere a MoveOn.org che si oppone al conflitto». L'accordo fu raggiunto a una conferenza successiva della Coalizione repubblicana ebraica a cui partecipò il vicepresidente Cheney, il falco dell'amministrazione, del quale, afferma il giornale «Sembler è amico ». Uno dei membri di Freedom Watch è Ari Fleischer, l'ex portavoce della Casa Bianca. Fleischer ha dichiarato al New York Times che «il ritiro dall'Iraq farebbe esplodere il Medio Oriente ed esporrebbe gli Stati Uniti a un attacco». Ha invece glissato sull'Iran, affermando soltanto che Freedom Watch rimarrà un pilastro della destra americana «anche dopo l'epoca di Bush». I liberal al Congresso riferiscono che l'associazione ha già ottenuto un grosso successo con il passaggio di una mozione che ha denunciato la Guardia rivoluzionaria iraniana come «terrorista », una svolta voluta da Cheney. Per i critici di Bush, è il primo passo verso il bombardamento dell'Iran. Il presidente accusa la Guardia rivoluzionaria di armare, di addestrare e di finanziare la milizia sciita in Iraq «che uccide i soldati americani », e a Bagdad il generale Max Fox lo ha spalleggiato svelando di avere scoperto di recente missili terra-aria iraniani. In senso opposto si è tuttavia pronunciato il comandante delle operazioni in Iraq il generale David Petraeus, asserendo in un'intervista al Los Angeles Times che l'Iran sta smettendo di interferire. Freedom Watch ha esordito ad agosto con uno spot televisivo di un sergente della Riserva ferito in Iraq che sullo sfondo delle stragi delle Torri gemelle del 2001 ammonisce il Congresso e il Paese: «Il nemico ci ha attaccato e ci attaccherà ancora », un riferimento non solo ad Al Qaeda ma anche all'Iran. I liberal temono che il Congresso e il Paese, su cui Ahmadinejad, in visita all'Onu nei giorni scorsi, ha fatto un'impressione estremamente negativa, finiscano per approvare la nuova giustificazione di Bush per l'uso della forza contro di lui: non il possesso dell'atomica, ma il terrorismo.
Il presidente iraniano Ahmadinejad non è Hitler e Khamenei non è Saddam. Guido Rampoldi, che sulla REPUBBLICA firma un ritratto della Guida suprema iraniana ne è convinto. Khamenei potrebbe essere davvero politcamente più abile di Saddam, su questo non discutiamo. Ma che Ahmadinejad voglia compiere un genocidio e "completare" il lavoro di Hitler è noto a tutti. Non ci riuscirà, e dunque non sarà un "nuovo Hitler", se gli verrà impedito. Rampoldi è anche certo che Khamenei tema più di ogni altra cosa"l´apertura agli occidentali, ai loro investimenti, ai loro costumi, alla loro cultura politica". Gli affari dell'Italia con l'Iran, si deve arguire, minaccerebbero dunque il regime molto più delle sanzioni economiche... Facendo affari con gli ayatollah e "dialogando", si manda in fallimento la rivoluzione khomeinista. Nessun bisogno di sostenere i dissidenti, di formulare richieste chiare su tediose questioni come il programma nucleare, i diritti umani e il sostegno al terrorismo, basta la politica estera di D'Alema.
Ecco il testo:
I notabili della tv di Stato lo chiamano «correggere le relazioni». Per i sei canali iraniani che trasmettono serial occidentali, comporta l´obbligo di ricondurre le trame alla legalità coranica. Ad esempio: se nel serial italiano Carabinieri, in onda il sabato sera, compaiono un ragazzo e una ragazza legati da un rapporto sentimentale, il censore modifica il parlato affinché i due risultino uniti da regolare matrimonio. È già un progresso rispetto a quindici anni, quando Ofelia spariva dall´Amleto e Desdemona dall´Otello insieme a qualche dozzina di metri di pellicola. Ma quando nel film Troy Elena diventa la figlia di Menelao, e non più sua moglie, lo spettatore rurale non capisce perché il rapimento della signora ad opera di Paride si concluda con l´assedio di Troia e non con nozze riparatrici. Se poi il serial è di produzione iraniana, non solo le trame, ma anche gli eventi storici sono suscettibili di correzioni, affinché le relazioni tra i protagonisti siano quelle dettate dall´ideologia. Così può capitare che i sionisti risultino in qualche modo complici dei nazisti: in Meridiano zero favoriscono lo sterminio di altri ebrei per obbligare i sopravvissuti a trasferirsi in Palestina. Invece Quarantasoldati, ambientato al tempo dell´impero achemenide, inventa una continuità tra la religione mazdea e l´islam, che pure la scalzò. Sono gli effetti del nazionalismo atomico praticato da Ahmadinejad. Poiché ora il passato pre-islamico non è più un immondo caos, i sacerdoti di Zoroastro sono ammessi nei serial televisivi. Ma sembrano sempre sbirciare la clessidra e domandarsi con impazienza: che anno è, quanto manca all´arrivo del Profeta? Trasferito alla politica estera, questo «correggere le relazioni» tra la realtà e l´ideologia, tra la verità e le verità di fede, potrebbe accecare il regime proprio mentre rischia una guerra con gli StatiUniti. Dipenderà soprattutto, ma non solo, dalla Guida suprema, l´ayatollah Khamenei, uomo di dubbia lungimiranza. I pragmatici lo considerano un radicale e una jattura per l´Iran, e mai come adesso lo biasimano per quel che avvenne sette anni fa, nel Palazzo di Vetro, durante la riunione annuale dell´Assemblea generale. All´ultimo momento Khamenei corresse il copione concordato in segreto da diplomatici iraniani e americani. E cancellò il piccolo gesto che avrebbe cambiatola storia dell´Iran. In parte la vicenda non è inedita, ma il funzionario che ora la ripercorre, con un´intensità che testimonia il suo allarme, ne rivela dettagli e retroscena. Secondo quanto pattuito da iraniani e americani, quella mattina il presidente Clinton, letto il suo intervento ai rappresentanti delle Nazioni Unite, si sarebbe trattenuto nell´aula il tempo necessario per ascoltare il suo omologo iraniano, Khatami. Come richiede l´occasione, l´ayatollah avrebbe tenuto un discorso di profilo alto, con lo spessore dell´apprezzato studioso di Machiavelli e la profondità temporale cui allude il suo turbante nero, che dichiarandolo discendente del Profeta lo radica anche per via genetica in una vicenda cominciata quattordici secoli fa. Ma nella sostanza i due presidenti avrebbero detto la stessa cosa: pace, dialogo, progresso dell´umanità. Concluso il discorso e lasciato il palco, Khatami sarebbe stato preso in consegna dalla scorta, e con quella sarebbe uscito dalla porta di destra. Nello stesso momento la scorta di Clinton avrebbe condotto il presidente americano all´esterno attraverso la porta di sinistra. Sbucati in sincronia nel salone, i due cortei l´avrebbero attraversato in direzione opposta, in modo da incontrarsi al centro. A quel punto Clinton e Khatami, come se il caso li avesse messi di fronte e un elementare dovere di cortesia li obbligasse a salutarsi, si sarebbero stretti la mano. Visibilio di cineprese e fotografi in attesa. Poi le immagini dello storico incontro avrebbero fatto il giro del mondo, e dimostrato ad americani e iraniani che il nemico non ha necessariamente natura diabolica. Rotto il tabù, dopo vent´anni di fiera ostilità Washington e Teheran avrebbero finalmente cominciato a discutere i termini del Grand Bargain, il grande baratto. Gli uni avrebbero ottenuto la fine dell´isolamento politico ed economico, gli altri assicurazioni sul nucleare e la fetta più grande nello sfruttamento dei favolosi giacimenti di petrolio. Presto tutti avrebbero compreso quel che da tempo è chiaro ai realisti dei due campi: la pace è un gigantesco affari per entrambi. Quella mattina i due presidenti lessero discorsi che l´altra parte già conosceva e all´inizio tutto andò secondo i piani. Ma appena Khatami lasciò il palco e raggiunse la scorta, accadde quel che egli temeva. Un diplomatico iraniano lo avvertì che la Guida suprema, informato dal suo spionaggio, da Teheran gli intimava di rinunciare alla stretta di mano. Khatami avrebbe potuto ignorare quell´ordine. Invece obbedì, confermando anche in quella occasione il limite terribile dei riformisti iraniani: al dunque, piuttosto che mettere in dubbio il sistema si piegano sempre al volere della Guida. Così una data che poteva entrare nella storia divenne il giorno in cui Khatami non strinse la mano di Clinton. Un´occasione straordinaria rovinò in tragicommedia. Khatami si alzò: si alzò anche Clinton. Khatami uscì dall´aula: uscì anche Clinton. Ma giunti nel salone Khatami e la sua scorta virarono verso il bagno, e ne riemersero solo quando fu chiaro che gli americani, rimasti con un palmo di naso, avevano abbandonato il campo. «Non abbiamo mai fatto un compromesso con l´America, è questa la retta via». La frase della Guida appare in inglese sul muro esterno dell´ex ambasciata statunitense, oggi "Museo del covo di spionaggio". È scritta in grandi lettere rosse tre due analoghe citazioni di Khomeini: «Gli Usa sono alla guida di tutti i criminali (del pianeta)», e «Gli Stati Uniti d´America sono il Paese più odiato dal nostro popolo dopo l´occupante della Palestina», inteso come Israele. Che questa sia una falsità è confermato da quel che avviene proprio ai piedi del muro, dove un giovane ambulante vende liberamente dvd illegali, copie dei film più recenti prodotti dalla cinematografia americana (Come vanno gli affari? «Bene, è un mercato che non ha mai smesso di tirare»). Quanto ad Israele, non è certo il bersaglio preferito dell´iraniano medio, portato semmai a diffidare degli arabi, «i mangiatori di cavallette» in passato sudditi malmostosi dell´impero persiano. Dunque le tirate di Ahmadinejad e le sue profezie sulla scomparsa inevitabile di Israele sono dirette alla platea straniera, innanzitutto araba. Quando le serve alla platea iraniana la propaganda le correda con la distinzioni tra sionisti ed ebrei (il protagonista di Meridiano zero salva appunto ebrei francesi dal campo di sterminio). La stampa radicale fatica a mantenersi politically correct: ecco il giornale Jumurriah spiegare la svolta filo-americana di Sarkozy con il fatto che il padre del presidente francese sarebbe ebreo. Ma il regime oggi perseguita unicamente altri musulmani, la setta Bahai. In passato è stato equanime nelle discriminazioni (nel 1984 istituì nelle scuole bagni per "non musulmani", in seguito di fatto aboliti). E non asseconda la convinzione del tradizionalismo rurale, che assegna agli israeliti il girone più basso dell´inferno. Come Ahmadinejad non è Hitler, così Khamenei non è un altro Saddam. Anche chi lo detesta gli riconosce acume politico, la qualità che indusse Khomeini a nominarlo suo successore (nel 1989). Inoltre dispone di strumenti affilati, innanzitutto un ufficio imponente che gli mette a disposizione informazioni e consigli, esperti d´ogni genere e dossier di tutti i tipi. Ha un buon rapporto con internet, e un sito a suo nome. Ma non guarda le tv satellitari, non parla lingue straniere, non è mai stato all´estero, non ha un´idea esatta di quel oggi è il mondo. Il suo discorso pubblico non ha subito variazioni significative dal lontano 1989, quando divenne Guida suprema. Grossomodo, Khamenei immagina l´Iran come la nazione scelta dal Vero Dio per guidare i diseredati del mondo contro l´avanzata del diabolico imperialismo statunitense. È soprattutto questa visione internazionalista che impedisce al regime un compromesso sul nucleare: se cedesse, Teheran minerebbe la propria credibilità di fronte ai movimenti islamici che guardano all´Iran come al faro della riscossa anti-americana. Poiché Washington ha ragioni altrettanto simboliche per non cedere, il contenzioso sul nucleare può precipitare rapidamente in una sfida all´Ok corral, o più esattamente in un´ordalia che decida una volta per tutte qual è la prima potenza del Medio Oriente, insomma chi comanda nella regione dell´islam e del petrolio, la più strategica del pianeta. La seconda ragione che sconsiglia Teheran dall´arretrare è un sospetto largamente diffuso nel regime, forse già certezza in Khamenei: se l´amministrazione Bush ha deciso di attaccare, nessun cedimento iraniano potrà distoglierla. Per usare le parole di un alto funzionario, «siamo sullo stomaco agli americani non per quello che facciamo, ma per quello che siamo». La percezione iraniana poggia sulle delusioni del passato (l´ultima: malgrado l´Iran avesse aiutato gli americani a cacciare i Taliban da Kabul, Washington la inserì nell´Asse del Male) ed è rispecchiata fedelmente da un apologo citato durante un incontro italo-iraniano ad alto livello: la storia del leone e del lupo. Ogni volta che lo incontra il leone dà una zampata al lupo. Perché?, protesta il lupo. Perché non mi piacciono quelli coni capelli corti, risponde il leone. Esasperato, il lupo si rivolge all´Onu delle fiere. Quel consesso prende da parte il leone e gli dice: d´accordo, sei il re della foresta, ma che ti costa ricorrere ad un pretesto? Ordina al lupo di comprarti le sigarette e quando torna, picchialo perché non ha preso le senza-filtro. Il leone segue il consiglio. Di nuovo malmenato, il lupo domanda: ho portato le sigarette, perché mi picchi? Perché hai i capelli corti, risponde il leone. Si può ancora scherzare, ma per quanto tempo ancora? «Se non riusciremo a fermare l´escalation in corso - prevede Rahman Gharemanpour, vicedirettore del Centro ricerche strategiche di Teheran - presto arriveremo ad un confronto militare incontrollabile. I prossimi sei mesi saranno decisivi». La Guida tornerà a imbrigliare la diplomazia iraniana, come sette anni fa? Per quanto si muova con circospezione, Khamenei sembra diffidente verso i pragmatici e benevolente verso l´estremismo che con il suo aiuto si è arroccato in importanti centrali di potere - la presidenza della Repubblica, settori della magistratura, dei Pasdaran e della polizia segreta, il potente Consiglio dei Guardiani, parte di quelle Fondazioni parastatali che sono i pesi massimi dell´economia iraniana. L´elemento naturale in cui la Guida ha vissuto buona parte della sua vita è il conflitto con l´Occidente, dunque non lo spaventano l´embargo né la prospettiva d´un attacco degli Stati Uniti. Semmai a impaurirlo è il compromesso con l´America, l´apertura agli occidentali, ai loro investimenti, ai loro costumi, alla loro cultura politica. Perché in questo caso egli diventerebbe, definitivamente, quel che in parte è già: il curatore fallimentare della rivoluzione khomeinista.
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