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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Unità - Il Riformista Rassegna Stampa
25.09.2007 Yehoshua, Oz e Grossman pensano che Israele debba trattare con Hamas
perché non si candidano alle elezioni ?

Testata:L'Unità - Il Riformista
Autore: Abraham B. Yehoshua, Amos Oz, David Grossman - Paola Caridi
Titolo: «Appello - Da un lato la cultura, dall’altro Bibi In mezzo Olmert, senza più Haaretz»

L'UNITA' del 25 settembre 2007 pubblica in prima pagina, nella fascetta rossa sotto la testata, questo brano dell'appello di Abraham Yehoshua, Amos Oz, David Grossman  e altri nove scrittori e intellettuali israeliani a favore della trattativa con Hamas.

«Crediamo che si sia venuta  a creare un’opportunità unica
per l’avanzamento del processo  di pace. Chiediamo al primo ministro Olmert di compiere uno sforzo supremo perché giunga ad accordi con il presidente dell’Olp Abu Mazen e perché tratti con Hamas un cessate il fuoco senza condizioni da ambo le parti» Abraham Yehoshua, Amos Oz, David Grossman  e altri nove scrittori e intellettuali israeliani,  lettera pubblicata come inserzione pubblicitaria
sul quotidiano Haaretz lunedì 24 settembre

L'intento propagandistico del quotidiano è evidente.
Il lodevole intento di Yehoshua, Oz,  Grossman e degli altri scrittori di proporre  soluzioni ai problemi di Israele sarebbe invece probabilmente meglio perseguito se entrassero in politica, cercassero per le loro proposte il consenso degli israeliani ed eventualmente, se eletti,  si misurassero direttamente con le responsabilità di governo (in fondo i governanti  israeliani non hanno mai detto nulla sul loro stile di scrittura).
Altrimenti i loro appelli rischiano di restare soltanto una riserva di argomenti per chi vuole sempre e comunque condannare le scelte politiche di Israele.

Grandi elogi all'appello, senza nessuna domanda sul suo realismo, da parte di Paola Caridi sul RIFORMISTA:


Gerusalemme. Stavolta la pressione non è arrivata da fuori. Da circoli possibilisti o da politici europei. È arrivata direttamente dalla coscienza critica del paese, dai buoni grilli parlanti che in Israele intervengono nei passaggi più delicati della politica nazionale. E della storia. L’argomento è tabù. Parlare con Hamas, negoziare col movimento islamista palestinese che non vuole riconoscere Israele. Ma i grandi scrittori dell’Israele di oggi - Amos Oz, David Grossman, Ab Yehoshua, Meir Shalev - sono lì apposta, spesso, per rompere i tabù della politica. E non solo per descrivere le anime diverse della società.Con Hamas, invece, bisogna negoziare, «e senza precondizioni», hanno scritto assieme ad altri sette artisti e intellettuali in un annuncio a pagamento pubblicato ieri sul quotidiano Haaretz, che riproduce la lettera aperta inviata il giorno prima al premier Ehud Olmert. Con Hamas è necessario parlare, precisano, non solo per liberare Gilad Shalit, ma per raggiungere «un cessate il fuoco totale per prevenire ulteriori sofferenze da entrambe le parti». In fondo, ha commentato Ab Yehoshua alla radio militare israeliana, «abbiamo trattato con nemici ben più pericolosi», come fu l’Egitto prima di firmare la pace di Camp David. E la tregua, ha continuato l’autore de Un divorzio tardivo, «precede il riconoscimento». Ancora una volta, un appello politico e critico di questa portata ha avuto bisogno, in Israele, di poche righe e dritte al cuore della questione. Parlare con Hamas, negoziare con Hamas sarebbe una svolta di 180 gradi per il governo israeliano, che del boicottaggio di Hamas e del silenzio con Hamas, prima del riconoscimento di Israele, ha fatto il cardine della sua politica sin dalle elezioni palestinesi che nel gennaio del 2006 decretarono la vittoria del movimento islamista. La tempistica dell’appello, nato nel seno dell’Iniziativa di Ginevra di cui alcuni dei firmatari sono stati protagonisti,non è poi casuale. È nel mezzo di due eventi che segnano questo inizio d’autunno in Medio Oriente. Arriva, anzitutto, dopo la decisione di pochi giorni fa, da parte del governo israeliano, di considerare Gaza, controllata da Hamas, come una «entità ostile», e di rispondere al continuo lancio di razzi Qassam che partono da Gaza verso le cittadine del Negev, Sderot in testa, non con la sola opzione militare. Che, ha detto ieri lo stesso premier Olmert di fronte alla commissione esteri e difesa della Knesset, non garantirebbe comunque la fine del lancio di Qassam. Bensì con strumenti inusuali come l’interruzione dell’erogazione di elettricità e di gas, contestata anche dall’Onu perché colpirebbe anzitutto la popolazione civile della Striscia. L’appello, dunque, arriva quattro giorni dopo l’ultima decisione del governo su Gaza, e prima della conferenza di Washington tra gli israeliani e i palestinesi dell’Autorità Nazionale che ora controlla solo la Cisgiordania. I grandi scrittori chiedono a Olmert di trattare con Abu Mazen, di cogliere al volo l’occasione del canale aperto con Mahmoud Abbas e il premier del governo d’emergenza Salam Fayyad, ma di dare a questo canale una sostanza maggiore. Perché, dicono, il cessate il fuoco con Hamas darebbe «al processo politico maggiori possibilità di avere successo». Mentre Abbas è negli Stati Uniti per l’apertura dell’assemblea generale dell’Onu, insomma, in Israele (e tra i palestinesi) ci si chiede quanto l’Anp che siede a Ramallah possa negoziare una pace che poi diventi realtà. I dubbi sulla reale consistenza di un processo di pace con una sola delle fazioni palestinesi coinvolgono, ovviamente su posizioni diametralmente opposte, uomini sia della destra sia della sinistra israeliana. Da una parte Benyamin Netanyahu, che dagli scranni dell’opposizione ha accusato ieri Olmert di essere l’unico nel paese che ancora crede che Abbas sia un partner in un processo negoziale. Dall’altra, uno degli editorialisti più importanti della stampa israeliana, Gideon Levy, autore di un commento durissimo sull’edizione domenicale di Haaretz, in cui chiede ad Abbas di non andare a Washington, accusandolo di non essere un «genuino leader nazionale », bensì di essere un «gretto commerciante», una «marionetta i cui fili sono tirati da Israele e Stati Uniti», un «sopravvissuto politico». Parole dure, che suonano inusuali per l’opinione pubblica europea, ma che qui sono più diffuse di quanto si pensi.

Per inviare una e-mail alla redazione dell'Unità e del Riformista cliccare sul link sottostante


lettere@unita.it
cipiace@ilriformista.it

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