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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-La Repubblica-Informazione Corretta Rassegna Stampa
23.09.2007 Ahmadinejad fa sfilare i missili, ma è un possibile attacco dell'America a preoccupare. Intanto il dittatore va a New York.
Cronaca e commenti

Testata:La Stampa-La Repubblica-Informazione Corretta
Autore: Francesco Semprini-Guido Rampoldi-Piera Prister
Titolo: «Iran-Ahmadinejad»

"L'Iran fa la faccia feroce, arriva il super missile", titola LA STAMPA, oggi, 23/09/2007, a pag.14, una corrispondenza di Francesco Semprini. Con le solite minacce, che non impediscono però a REPUBBLICA di scrivere (Guido Rampoldi, inviato a Teheran) " che accadrebbe nel caso di un attacco americano ?" La preoccupazione è quindi l'America, non Ahmadinejad che fa sfilare i suoi missili e minaccia di distruggere Israele. Pubblichiamo il pezzo della STAMPA, poi REPUBBLICA. Segue il commento di Piera Prister dal Texas sulla visita del dittatore iraniano a New York, invitato a parlare dalla Columbia University.

LA STAMPA

NEW YORK
Le minacce e le sanzioni non fermano i programmi di armamento dell’Iran, che nel corso di una parate per celebrare il 27esimo anniversario dell’invasione dell’Iraq ha fatto sfilare alcuni missili balistici di ultimissima generazione. Tra gli altri il Ghadr (potenza), una versione modificata dello Shahab-3, mostrato in pubblico per la prima volta ieri e dotato di una gittata di 1.800 chilometri contro i 1.300 del secondo. Non esiste tuttavia accordo sulle caratteristiche dello Shahab: a differenza delle schede tecniche in possesso degli esperti stranieri il regime di Teheran sostiene infatti che la sua gittata possa raggiungere i 2 mila chilometri di distanza tanto da poter colpire obiettivi posti nei territori israeliani.
L’imponente parata militare giunge in coincidenza dei negoziati da parte dei Paesi europei e degli Stati Uniti alla ricerca di un accordo per far adottare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sanzioni più severe nei confronti dell’Iran. L’anniversario cade inoltre alla vigilia della visita al Palazzo di Vetro di New York del presidente Mahmoud Ahmadinejad in occasione dei lavori dell’Assemblea generale.
«Chi pensa di fermare l’avanzata della nazione iraniana con sanzioni economiche e guerra psicologica commette un errore - dichiara Ahmadinejad nel corso della manifestazione - perché l’Iran è oggi in possesso delle più avanzate tecnologie». Il regime di Teheran lanciò un ampio programma di armamento e sviluppo di tecnologie militari durante la guerra con l’Iraq durata dal 1980 al 1988 per compensare l’embargo imposto dagli Usa. Dal 1992 inoltre l’Iran ha avviato una vasta produzione di aerei da combattimento, radar anti-missile, carri armati e altri mezzi bellici, gran parte dei quali mostrati durante la parata. «L’odierna esibizione dimostra che i nemici hanno già fallito molte volte», ha aggiunto il presidente: «Coloro che ci volevano privare anche del filo spinato oggi dovrebbero venire qui e vedere questi mezzi, prodotti dalle mani degli esperti delle nostre Forze armate», ha detto il presidente mentre aerei militari e mezzi blindati con le scritte «Abbasso l’America» e «Abbasso Israele» facevano da sfondo al suo intervento.
Ma è stata anche l’occasione per ribadire l’opposizione del regime iraniano alla guerra in Iraq: «Se vogliono risolvere i loro problemi gli Usa hanno una sola via, ritirare le truppe. La presenza delle forze straniere «è la fonte dell’insicurezza nella regione e accusare gli altri non risolverà alcun problema», spiega Ahmadinejad in riferimento alle accuse rivolte da Washington a Teheran di fomentare la violenza in Iraq. A infiammare la folla era stato anche il ministro della Difesa, Mostafa Mohmmad Najjar, salito sul palco davanti al mausoleo dell’ayatollah Khomeini: «Non abbiamo bisogno degli stranieri per difenderci e questa sfilata lo dimostra, quella esibita è solo una parte della nostra potenza militare».
Ed è proprio la potenza missilistica il deterrente ad attacchi stranieri, come spiega il comandante dei Pasdaran (Guardiani della rivoluzione), Mohammad Ali Jafari: «Ogni Paese che mettesse a disposizione il suo spazio o le sue basi per attaccare l’Iran sarà considerato alleato del nemico e riceverà un’adeguata risposta con i nostri missili». E’ ovvio, secondo il capo dei Pasdaran, che il nemico (l’America in particolare) ha dotazioni tecnologiche. Per questo l’Iran «non risponderebbe con la tecnologia ma ricorrendo alle sue speciali caratteristiche e metodi particolari», dopo avere «identificato i punti deboli del nemico». In passato i vertici iraniani avevano più volte minacciato di «colpire gli interessi americani in tutto il mondo» in caso di attacco contro la Repubblica islamica.
Nel frattempo dall’altra parte dell’Atlantico tutto sembra pronto per l’arrivo del presidente Ahmadinejad a New York dove parteciperà ai lavori della 62esima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il capo dell’Iran interverrà lunedì a una conferenza alla Columbia University, che ha deciso di ospitarlo nonostante le polemiche. Numerose manifestazioni di protesta accoglieranno il presidente.

LA REPUBBLICA, Guido Rampoldi, a pag.1-10, titolo " In Iran,tra i pasdaran del Coccodrillo":

La guerra? Quale guerra? «L´America non può fare un cavolo contro di noi», ghignano i ragazzi dell´associazione Combattenti per l´Islam, affiliazione dei pasdaranant . Grosso modo è quanto ripetono da giorni i generali iraniani: la patria dorma sonni tranquilli, gli americani temono una nostra rappresaglia in Iraq, gli israeliani sono nel raggio dei nostri razzi. Per confermare questo messaggio rassicurante, l´esercito ieri è sfilato davanti al presidente Mahmud Ahmadinejad, con il passo dell´oca e gli enormi missili. Era una parata prevista da tempo, ma Ahmadinejad ne ha approfittato per ribadire, sia pure con un tono sommesso, che Teheran se ne infischia delle nuove sanzioni minacciate da Bush e da Sarkozy, non rinuncia al nucleare e avverte gli statunitensi che «se vogliono risolvere i loro problemi devono ritirare le truppe dalla regione, in particolare dall´Iraq». Dunque in apparenza un regime che per ventotto anni ha preparato i suoi miliziani allo scontro con il Grande Satana, si è convinto che un attacco americano è impossibile proprio quando all´improvviso quella eventualità sta diventando reale.
Preoccuparsi è vietato: venerdì scorso il predicatore designato dal regime ha redarguito i giornali, colpevoli di aver inquietato i lettori enfatizzando le dichiarazioni del ciarliero ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, circa la possibilità di una guerra. Probabilmente è troppo presto per preparare gli iraniani al peggio. Ma decidendo di non aver motivo per temere, Teheran sembra rinunciare all´iniziativa e scegliere l´immobilità: insomma si rassegna a subire gli eventi. Il metodo più rapido per trovarsi in guerra senza volerlo.
Il dubbio che tanta confidenza nei muscoli della rivoluzione sia solo apparente e nasconda gli impacci e le divisioni nel regime, non sfiora i giovani Combattenti per l´Islam. La guerra non è il tema delle loro serate di preghiera, e il predicatore oggi in cartellone, l´acclamato Panahian, porrà tutto il suo ardimento nell´affrontare davanti a un pubblico di entrambi i sessi i versi del Corano in cui Giuseppe figlio di Giacobbe si sottrae alle brame della lasciva regina d´Egitto (la teologia sciita sconsiglia di trattare l´argomento in presenza di donne, si rischia di suscitarne le fantasie erotiche). Ma se la base sonnecchia, tra gli analisti iraniani si rafforza un sospetto che circola anche in Europa: Washington progetterebbe non un raid "chirurgico" contro installazioni connesse al nucleare, tecnicamente improduttivo, ma una vera guerra aerea contro l´Iran, per la primavera prossima. Settimane di bombardamenti. Quale ne fosse l´effetto in Iran e dintorni, questo colpo di maglio aiuterebbe l´amministrazione Bush a nascondere la disfatta irachena dentro la bolgia di un grande conflitto mediorientale; e darebbe slancio al candidato repubblicano nelle presidenziali del 2008. In ogni caso pare improbabile che Bush e Cheney accettino di abbandonare la scena nella parte degli imbecilli che hanno regalato a Teheran un´influenza enorme in Iraq e ad Ahmadinejad l´ammirazione di tutti i nazionalismi arabi. Dunque? «Mai come oggi avremmo bisogno di uno statista», dice un alto funzionario iraniano. Uno statista anteporrebbe il bene della patria al proprio interesse. «Accetterebbe un compromesso sul nucleare. Pur sapendo di commettere un suicidio politico».
Quello statista non è certo Ahmadinejad. Poiché sono un ingegnere, ha detto di recente, ho calcolato che gli americani non attaccheranno. Ma il presidente iraniano non è sciocco come appare. In un certo senso il suo calcolo è esatto: si è aggrappato al nazionalismo nucleare perché è l´unica bandiera che ancora entusiasmi i suoi elettori, diciassette milioni due anni fa. Da allora ha combinato un disastro dopo l´altro. Ha regalato alla popolazione parte di quel che aveva promesso, nella forma di aumenti salariali e prebende, ma con il risultato di aizzare un´inflazione ora al 25% che ha impoverito i già poveri. È costretto a razionare la benzina, cento litri al mese per ogni auto, perché l´Iran è il terzo paese al mondo per giacimenti di idrocarburi ma non ha raffinerie a sufficienza per raffinare il petrolio e deve importarne i derivati. Non sa come fermare la fuga di capitali iraniani verso Dubai, città che ora la stampa non può citare. Si è inimicato gli apparati ministeriali, dove continua a paracadutare i suoi affiliati; e un pezzo del Parlamento, benché ideologicamente affine a lui. Persino la Guida suprema, Khamenei, che lo ha in simpatia, è stato costretto ad accogliere la richiesta degli ayatollah dell´opposizione e gli ha imposto di frenare la lingua quando parla del nucleare e di Israele. Ma quanto più è in difficoltà, tanto più Ahmadinejad si consegna all´ala radicale del regime. Ai circoli segreti che sono all´origine della sua fortuna. Al suo mentore, il Coccodrillo. Ogni nazione ha i suoi caimani, ma l´alligatore dell´Iran è nel genere una creatura davvero speciale. L´ayatollah Taqi Mesbah-Yazdi, chiamato dall´opposizione il Coccodrillo ("Temsah", per assonanza con Mesbah), è la figura più influente di una società teologica, l´Hodjatie, nota per il suo radicalismo.
In passato l´Hodjatie ha dato un contributo almeno teorico allo sterminio dei comunisti e dei bahai, una setta che gli sciiti considerano eretica. Oggi diffonde un puritanesimo bellicoso, fortemente ostile alla cultura occidentale, ai diritti delle donne e alla democrazia (secondo il Coccodrillo «il popolo è un gregge ignorante» e «l´Islam non è il governo del popolo, ma di Allah», cioè dei preti). Ma l´Hodjatie è soprattutto una «lobby potentissima», mi dice uno dei funzionari che cerca di arginarla. Avendo elaborato una dottrina teologica che gli prescrive di occupare il potere, l´Hodjatie l´ha applicata disseminando i propri adepti innanzitutto nei servizi segreti e nella magistratura. La sua influenza è cresciuta a dismisura dopo l´elezione di Ahmadinejad (sarebbe stato proprio il Coccodrillo a convincere la Guida suprema a scommettere sull´ex pasdar nelle presidenziali) da allora molti tra i protetti dell´Hodjatie sono entrati nelle stanze dei bottoni. Tra loro, un diplomatico a suo tempo cacciato dal ministero degli Esteri per radicalismo, Mojtaba Samareh Hashemi, che oggi è considerato una sorta di vicepresidente della Repubblica (il suo ruolo ufficiale è più basso).
Attraverso Hashemi il Coccodrillo riuscirebbe a controllare e a ispirare Ahmadinejad. Negli ultimi tempi questa invadenza ha attirato sulla consorteria il sospetto che stia mirando ad un colpo di Stato morbido, per militarizzare il regime e centralizzarlo. I timori del khomeinismo tradizionalista e i divertimenti degli apparati ministeriali hanno prodotto un contrattacco talvolta efficace. Ma la struttura del potere iraniano, disperso in una dozzina di centri nevralgici, impedisce la vittoria dell´uno o dell´altro e induce la coabitazione. In altre parole Ahmadinejad, benché in difficoltà, può resistere agevolmente. Ma deve guardarsi dalle idi di marzo: se dalle elezioni politiche del 2008 uscisse un Parlamento a lui fortemente ostile, rischierebbe l´impeachment. Così la partita iraniana si svilupperà su due piani temporali. I tempi della politica sono stretti. Come Ahmadinejad, anche i Repubblicani americani devono affrontare elezioni cruciali, le presidenziali del novembre 2008. Nei prossimi mesi questo doppio appuntamento elettorale incoraggerà gli uni e gli altri a mostrarsi intransigenti e li scoraggerà dal mostrarsi duttili.
I tempi della tecnologia sono relativamente più larghi. Secondo le stime dei più, l´Iran potrebbe dotarsi del nucleare civile non prima del 2009. Ammesso che sia possibile inventare un compromesso tecnico che rassicuri gli occidentali ma non calpesti i diritti dell´Iran, occorre comunque una disponibilità a fare concessioni. E allo stato non si vede come Ahmadinejad possa arretrare senza attirarsi il disprezzo dei suoi sostenitori in Iran e in Medio Oriente, tanto enorme è stato l´investimento simbolico nel nucleare, sia sul piano interno sia sul piano internazionale. Inoltre i vecchi ayatollah seduti nel vertice supremo, a cominciare dalla Guida hanno difficoltà a concepire perfino la possibilità di fare concessioni agli Usa. Sono cresciuti nella convinzione di essere i paladini dell´Islam e del Terzo mondo, chiamati da Dio ad assolvere la missione di sconfiggere l´«imperialismo americano».
Allevati con questa dottrina, i Combattenti per l´Islam oggi perdonerebbero un ripiegamento di fronte alle richieste di Washington? È perlomeno dubbio. Sono ragazzi dall´apparenza tranquilla, destinati a diventare chi meccanico, chi elettricista; i più hanno perso almeno un parente nella guerra contro Saddam. Ma la loro visione del mondo grosso modo è la stessa del Coccodrillo. La settimana scorsa il Coccodrillo ha sporto il faccino e la gran barba candida in un programma televisivo, dove ha sentenziato che romanzi e film sono i cavalli di Troia dell´Occidente.
«Suscitano emozioni da cui i giovani non sanno difendersi» e «corrompono la cultura islamica». L´unica difesa: «Opporre (all´invasore) la scienza». Per "scienza" il Coccodrillo intende la teologia islamica, cioè il proprio sapere. «Chi ascolta un teologo - ha detto con la sua voce sottile come uno stiletto - nell´aldilà sarà ricompensato dodicimila volte di più di chi ha letto il Corano dalla prima all´ultima pagina».
Benché appena ventenni, i Combattenti non rifiutano il pensiero del 73enne ayatollah. Non leggono romanzi, non comprano film in dvd, e intuiscono una dilagante strategia occidentale per «diffondere corruzione morale e sessuale nella nostra società». In fondo esprimono in versione islamica la sindrome dell´assedio tipica di tanti movimenti totalitari. Si sentono circondati. Vedono un pullulare di "traditori", giustificano i confratelli che assassinarono quattro studenti durante la rivolta universitaria del 2003 («fu una buona cosa»), e lamentano che l´Occidente sia riuscito a radicare nella gioventù iraniana «il disprezzo per la rivoluzione e per la Guerra santa». Purché approvata dagli ayatollah, ai Combattenti la guerra piace. «Che giornate indimenticabili, e che nostalgia!» è scritto sul manifesto stampato dall´associazione, sotto l´immagine di due pasdaran quasi ilari al tempo della guerra con l´Iraq.
A Teheran un ottimista, Rahman Gharemanpour, vicedirettore del Centro ricerche strategiche, mi fa notare che nei momenti di maggior pericolo il vertice iraniano è sempre riuscito a concordare la soluzione più saggia, in genere la più pragmatica. C´è da sperare che abbia ragione. Cosa accadrebbe nel caso di un attacco americano? Brucerebbe l´intero Medio Oriente, concordano Gharemanpour e l´"hodjatolislam" iracheno Abdul Hassan al-Forati, un collaboratore del Grand´Ayatollah Sistani, per incarico del quale è responsabile della sicurezza nella città santa di Kerbala. Se poi Washington si illudesse di trovare una sponda interna nell´opposizione iraniana, tenga presente quel che mi dice l´avvocatessa Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace: «Per quanto gli iraniani siano critici verso chi li governa, in caso di attacco dimenticheranno tutto e si opporranno agli americani»

Ecco il commento di Piera Prister dal Texas sull'arrivo di Ahamdinejad alla Columbia University di New York.

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“Freedom of Speech” : Ahmadinejad invitato alla Columbia University di New York:

Nessuna giustificazione per il Rettore della Columbia University, Lee Bollinger, che ha invitato Mahmoud Ahmadinejad, presidente dell’Iran, lunedi’, 24 settembre 2007 a parlare nel suo Ateneo,  uno dei piu’ prestigiosi negli Stati Unitii, sulla base del sacrosanto diritto alla liberta’ di parola, quel diritto che il negazionista nega al suo popolo, pena la morte, quella morte che il tiranno vuole  piu’ lenta e dolorosa per i dissidenti che aumentano di numero, giorno dopo giorno e che si battono per un Iran libero e democratico.

 

 E cosi’ Ahmadinejad forse salira’ in cattedra,( proprio in base al “ The first Amendment to the American Constitution”)  e, stupefatto per cotanto invito, forse parlera’agli studenti, cosi’ come  si legge nelle colonne delle opinioni del “The Wall Street Journal” di ieri, 21 settembre.

 

 Mr. Bollingher ha promesso che sara’ molto duro con Ahmadinejad, ricorrendo ad una serie di  abili mosse che lo metteranno a tappeto, quando lo inchiodera’a dire la verita’sul ruolo svolto dall’Iran a sostegno del terrorismo internazionale, e sulla sua diretta responsabilita’ nel rifornire i terroristi Sciti di armi sofisticate, usate dagli stessi in Iraq per uccidere i soldati americani, con la strategia di gettare la pietra e subdolamente ritirare la mano..

 

 Anche in mezzo ad un vespaio di critiche, Mr. Bollinger e’ risoluto nella sua determinazione a ricevere, come suo ospite, Ahmadinejad, nel campus della Columbia, a dispetto di quanti gli hanno chiesto di riconsiderare quell’invito fatto ad una persona nient’affatto gradita, ad un uomo che e’ nemico degli Stati Uniti e dell’Occidente; che ha piu’ volte detto che vuole cancellare Israele dalla carta geografica; che governa il suo paese con la paura, negando al suo popolo” gli inalienabili diritti dell’uomo”, diritti civili, sindacali ed  umani; e  che riserva alla popolazione e ai dissidenti la pena  dei pestaggi e della tortura, il carcere e le esecuzioni capitali della lapidazione e dell’impiccagione..

 

 C’e’ un’altra buona ragione perche’ Mr. Bollinger cancelli quell’invito, poiche’ la  presenza di Ahmadinejad alla Columbia, costituirebbe inoltre una stridente contraddizione e uno smacco eloquente per gli studenti americani che, in una libera universita’, si accingono ad ascoltare un despota che nel suo paese soffoca le proteste studentesche nel sangue.

 

  In extremis, se proprio questo forum dovesse aver luogo cosi’ com’e’stato stabilito nell’agenda,  ma noi ne dubitiamo, perche’ sicuramente ci sara’ fuori dell’Universita’ una marea di gente pronta ad impedirlo, almeno ci auguriamo che ci siano tanti e poi tanti studenti e studentesse iraniani, seduti ingrugniti nelle prime file,  per manifestare in coro e al grido di “ Viva l’Iran libero!” la loro avversione ad Ahmaninejad, in solidarieta’ con gli studenti dissidenti iraniani!

 

 Perche’ quel tiranno sappia che dove avanzano la democrazia e la liberta’, arretrano quei regimi basati sulla paura e sul terrore! 

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