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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - Il Foglio Rassegna Stampa
19.09.2007 Sanzioni all'Iran per fermare la corsa all'atomica
evitando, forse, la guerra

Testata:Libero - Il Foglio
Autore: Emanuele Ottolenghi - la redazione
Titolo: «Bush ha fretta con Teheran attacco entro la primavera - L’EUROPA E AHMADINEJAD»
Da pagina 27 di LIBERO del 19 settembre 2007:

Il Ministro degli esteri Massimo D'Alema non ha apprezzato i commenti della sua controparte francese, Bernard Kouchner, sulla minaccia nucleare iraniana. D'Alema non è il solo. Anche a Parigi ci sono stati mugugni. Essi non derivano dalla sostanza dei commenti di Kouchner. Il ministro in fondo non ha minacciato la guerra, solo sottolineato che bisogna prepararsi anche al peggio se la diplomazia, da lui caldeggiata, non funzionasse. La preoccupazione deriva invece dal timore che Kouchner, evocando la guerra, abbia distolto l'attenzione della comunità internazionale dalla vera svolta in corso nelle cancellerie europee: un nuovo regime di sanzioni al di fuori dell'Onu, se i negoziati per una terza risoluzione contro l'Iran dovessero trascinarsi ancora a lungo, come molti prevedono. Questa strategia nasce dalla mancanza di consenso tra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sul nuovo round di sanzioni, ma soprattutto dell'ostruzionismo del direttore dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA), Mohammed El-Baradei. È stato l'accordo negoziato da El Baradei con l'Iran a ritardare ad infinitum la terza risoluzione e a dare tempo all'Iran per risolvere i problemi tecnici che il suo programma avrebbe incontrato. DOPPIO GIOCO El Baradei ha rimosso la precondizione che l'Iran interrompa il processo di arricchimento in cambio di una maggior cooperazione con l'IAEA. In pratica, El Baradei ha fatto il gioco di Teheran e reso più difficile la strada della diplomazia multilaterale. La mancanza di risultati, con il tempo che scorre veloce verso il punto del non ritorno, ci costringe dunque a contemplare alternative. L'esternazione di Kouchner, anche se incauta nel tempismo, riflette il senso d'urgenza che anima la diplomazia transatlantica sul programma nucleare iraniano. Le sue parole potrebbero aver messo in imbarazzo l'Eliseo e complicheranno forse il gioco diplomatico nella ricerca di un pacchetto di sanzioni mirate europee, specie con quei Paesi che, come l'Italia e la Germania, godono di floride relazioni commerciali con l'Iran. Ma il dato resta. Chi vuole evitare la guerra deve smettere di fare affari con l'Iran, e non solo in quei settori chiaramente implicati con il programma nucleare. Questo messaggio non ci risulta sia uguale a quello proveniente dalla Farnesina. Come El Baradei, D'Alema ha duramente criticato Kouchner. D'Alema forse non ha lo stesso senso d'urgenza di Kouchner, o trova spiacevole perseguire una politica che, pur servendo gli interessi strategici dell'Europa, contraddice quelli commerciali italiani. Ma se D'Alema vuole veramente evitare una guerra, è bene che noti che la Francia e gli Stati Uniti non attenderanno il suo parere molto a lungo. Politicamente, un attacco militare ha tempi stretti - dopo l'estate 2008 difficilmente George W. Bush inizierà un attacco aereo prolungato e sostenuto contro l'Iran nel mezzo della campagna presidenziale per la sua successione. Quindi o si trova presto la soluzione non militare, o la parola passerà alle armi - probabilmente entro la tarda primavera. Già per bocca del suo presidente, la Francia ha sollevato un problema urgente: il programma nucleare iraniano mette la comunità internazionale di fronte a un impossibile dilemma: la guerra che Nicolas Sarkozy ha definito «una catastrofe» - o la bomba iraniana - altrettanto catastrofica per le sue conseguenze. Il problema di chi vuole evitare entrambe è di trovare in fretta altre soluzioni. L'unica possibile risposta può essere l'adozione di misure draconiane. Il ministro D'Alema si presti dunque a offrire alternative costruttive. L'Italia, dopotutto, resta uno dei principali partner commerciali dell'Iran. Tanto per citare alcuni esempi, L'ENI, la EDISON e la Technimont hanno importanti presenze nel settore energetico iraniano; ditte come l'Italkrane, l'OBL e la Rivit hanno presenziato a importanti fiere energetiche in Iran; ditte come la Ferroli e la Delta spa sono azioniste di filiali locali che vendono macchinari industriali. E ditte come la Cortem spa vendono equipaggiamento specializzato a prova di fuoco ed esplosivo. GRU E IMPICCAGIONI Solo alcuni prodotti possono essere impiegati nel programma nucleare. Ma anche quando si vende un innocente strumento come una gru per il sollevamento di pesi leggeri o un macchinario per scavare le gallerie per le autostrade, esso finisce per essere sfruttato dal regime per scopi sinistri - per esempio, le impiccagioni pubbliche in Iran avvengono mediante le gru per aumentare la sofferenza delle vittime e i macchinari per lo scavo sono impiegati dalle Guardie Rivoluzionarie per il programma nucleare clandestino. Se i venti di guerra spaventano la Farnesina, è ora che l'Europa scelga, con l'Italia in testa per il suo doppio ruolo di membro del Consiglio di Sicurezza e partner commerciale privilegiato dell'Iran. L'Europa ha diritto a promuovere i suoi interessi economici. Ma deve anche saper dare la precedenza ai suoi interessi geostrategici, anche a prezzo di rinunciare a redditizi contratti. Se la guerra è veramente una catastrofe, è ora di dare corpo a un pacchetto di vigorose sanzioni europee contro l'Iran e isolare Teheran.

Dalla prima pagina del FOGLIO:

Bruxelles. “Il sistema per evitare la guerra sono le sanzioni”. E le sanzioni che “sono efficaci sono quelle degli americani: economiche, sui grandi patrimoni, contro le banche”. Arrivando a Mosca ieri per discutere della crisi del nucleare iraniano, il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ha confermato la volontà di Parigi di andare a vedere il bluff di chi ancora si nasconde dietro a ogni alibi possibile pur di evitare di assumersi responsabilità difficili e scelte dolorose. La Russia ha già annunciato un veto su nuove misure punitive del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro l’Iran, a motivo di un accordo sottoscritto dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica con Teheran, che non dice nulla sulla principale ingiunzione dell’Onu, la sospensione dell’arricchimento dell’uranio. L’Unione europea, con le sue esitazioni nella conduzione del negoziato con la Repubblica islamica, in quattro anni ha aggravato la crisi e avvicinato la prospettiva di una bomba dei mullah. In Germania il ministro degli Esteri socialdemocratico, Franck-Walter Steinmeier gioca con l’anti-americanismo per preparare la sua candidatura alla cancelleria nel 2009. L’Italia e la Spagna si sono fatte scudo con il vecchio asse franco-tedesco della “diplomazia a tutti i costi” per far prosperare gli affari di Eni e Repsol in Iran. Kouchner nega di essere un guerrafondaio, ma se si vuole evitare la “alternativa catastrofica” evocata da Nicolas Sarkozy il 27 agosto tra “la bomba iraniana o il bombardamento dell’Iran”, occorre fermezza e non c’è più tempo da perdere. “Se ci sarà una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza, ne saremo felici”, ha spiegato Kouchner. Se non ci sarà, “costruiremo sanzioni” fuori dal quadro Onu. “Prepararsi al peggio”, che è “la guerra”, significa inviare “un messaggio di pace, di serietà e di determinazione”.
L’Ue ha reagito con freddezza alle parole di Kouchner. “Non abbiamo intenzione di commentare”, ha detto la commissaria alle relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner, che “sostiene a pieno gli sforzi tesi a trovare una soluzione negoziata”. L’alto rappresentante per la politica estera, Javier Solana, che conduce i colloqui con Teheran, si cela dietro un “dossier nucleare molto delicato” e rifiuta di pronunciarsi sulla richiesta di Parigi di sanzioni europee unilaterali analoghe a quelle americane: “Non è stata presentata in modo formale. Non posso rispondere a questa possibilità che non è sul tavolo”. Visto il probabile fallimento venerdì a Washington della riunione dei Sei grandi (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia, Cina e Germania), la prossima settimana Parigi dovrebbe già chiedere ufficialmente ai suoi partner Ue di colpire economicamente l’Iran e gli esponenti del regime. Il Regno Unito e l’Olanda hanno confermato il loro accordo. La Germania esita, per ragioni di politica interna, e i quotidiani tedeschi interpretano la “guerra” di Kouchner come “un messaggio” diretto a Berlino. Secondo i diplomatici francesi, la cancelliera Angela Merkel avrebbe dato il suo assenso, ma il ministro degli Esteri Steinmeier è prudente: il governo è “fermamente impegnato sulla strada della diplomazia. Ogni altra opzione non è oggetto di discussione”.

Gli interessi economici di Roma e Madrid
Aldilà dello scontro interno, la Germania “è aperta” a sanzioni fuori dal quadro Onu, spiega al Foglio un diplomatico tedesco, ma nella fermezza intende evitare l’escalation e la parola “guerra” . Come Parigi, Berlino ha discretamente chiesto alle sue imprese di rallentare il ritmo degli investimenti e alle sue banche di disimpegnarsi dall’Iran. Per contro, l’Italia e la Spagna vogliono preservare i loro interessi economici iraniani – oltre a Eni, a Teheran operano Snam, Ansaldo e Banca Intesa – e potrebbero ostacolare l’adozione di misure unilaterali Ue contro Teheran. Ieri da Vienna, il sottosegretario agli Esteri, Bobo Craxi ha detto che il governo italiano non ritiene che “un eventuale inasprimento dell’impianto sanzionatorio favorirebbe il successo del dialogo”. Anzi, l’Italia “continua a sostenere il piano di lavoro concordato fra l’Aiea e l’Iran”, che invece ha provocato le ire di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania, perché – dicono a Parigi – è solo una scusa “per guadagnare tempo” nella corsa verso la bomba e non prevede nulla sull’arricchimento dell’uranio. Di fronte alle pressioni dei partner europei, membro del Consiglio di sicurezza, il governo italiano dovrà presto uscire allo scoperto. Perché “Kouchner ha posto un problema serio”, dice al Foglio il vicepresidente della Commissione europea, Franco Frattini, fuori dal coro della prudenza Ue: “Le sanzioni devono essere inasprite. Non possiamo rimanere inerti, specie quando scopriamo da un sito Internet credibile che l’Iran avrebbe qualche centinaio di missili già puntati verso Israele”.

Roma. E l’Italia cosa fa? Come si predispone il nostro governo, mentre la Francia sarkozista e la Germania di Angela Merkel – con Londra in pieno accordo – trasformano le pressioni diplomatiche sulla teocrazia nucleare iraniana in una previsione di guerra (ma non a breve); e adombrano l’ipotesi di comminare ulteriori sanzioni a Teheran anche in presenza d’un veto da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu? La domanda pesa almeno quanto lo spirito asseverativo della nuova Europa a trazione franco-tedesca, cioè più occidentale, più vicina a Washington. E risuona nelle stanze della Farnesina come un presentimento impossibile da evadere con il solito inerte richiamo all’iniziativa diplomatica (ripescato dallo stesso Bernard Kouchner, ieri, senza del resto smentire il rumore della guerra che verrà). Interpellato dal Foglio, il ministro Massimo D’Alema dice che “l’Italia non sta a guardare e occupa il proprio posto nel lavorio diplomatico su Teheran”. Più concretamente, la Farnesina non rinuncia alla velleità di pacificare il medioriente attraverso il dialogo con l’Iran. Ma una novità c’è: a domanda esplicita, D’Alema non smentisce che l’Italia possa votare un’eventuale terza risoluzione in arrivo al Consiglio di sicurezza. Un testo che irrobustisce il complesso delle sanzioni, ma che con ogni probabilità verrebbe paralizzato dal veto della Russia. Dall’entourage dalemiano aggiungono: “Sull’Iran non abbiamo le granitiche certezze degli amici francesi”. Filtra pure l’ammissione che “le sanzioni sono necessarie anche se fanno più male alle casse dei paesi europei, e dell’Italia in particolare, che non a quelle degli iraniani”. I presidenti delle commissioni Esteri di Camera e Senato non sembra abbiano concertato le rispettive dichiarazioni. Ha detto Lamberto Dini: “Le parole di Kouchner sono fuori luogo. Le sanzioni non hanno mai portato a grandi risultati. La minaccia della guerra può provocare conseguenze senza uscita. Sono strade sbagliate, dobbiamo spingere l’iniziativa diplomatica”. Corregge Ranieri al Foglio: “Non credo che la Germania sia disponibile a inaugurare un unilateralismo europeo. Oltretutto le sanzioni hanno già causato un indebolimento di Ahmadinejad nel rapporto con l’opinione pubblica iraniana. Possiamo sperare che alle politiche dell’anno prossimo vincano forze leali verso la comunità internazionale. Detto questo, l’Italia non si sottrarrà alla linea della fermezza incardinata nella strategia del contenimento e ispirata alla necessità di un’azione comune tra Europa e America”. Attacco non imminente Il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, ricorda che sul dossier iraniano “l’Italia ha da sempre una posizione cauta, legata agli interessi economici del nostro paese”. Quanto a Francia e Germania, “Credo che Berlino si esporrà meno di Parigi: la Francia ha una posizione tradizionalmente filoaraba ma non filopersiana. Kouchner, poi, non essendo un politico di professione a volte le spara grosse, pur esprimendo un pensiero diffuso nell’Amministrazione francese”. Caracciolo non nega che in Europa si stia producendo un fatto politico rilevante, motivato dalla “volontà francese di riallinearsi con le posizioni statunitensi. Sebbene l’Europa sia ancora incapace di assumere una posizione unitaria e non di retrovia, sulla scena continentale la novità c’è”. Insistiamo, e l’Italia? “Ci siamo accodati alla via delle sanzioni obtorto collo e defilati ma, se l’Onu deciderà di inasprire i provvedimenti, non ci smarcheremo. Per la stessa ragione un’eventuale strike che non passi per il Consiglio di sicurezza provocherà la dissociazione dell’Italia”. Previsione: “La guerra non è imminente ma è assolutamente possibile che si verifichi entro la fine del mandato di Bush alla Casa Bianca”

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