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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
13.09.2007 Israele ha fotografato siti atomici in Siria
mentre tra Iran e America cresce la tensione in Kurdistan

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Gian Micalessin - Maurizio Molinari
Titolo: ««Israele ha fotografato siti nucleari in Siria» - Guerre segrete di Bush in Iran, Siria e Kurdistan»

Dal GIORNALE del 13 settembre 2007 (a pagina 10), un articolo di Gian Micalessin

Israele tace, Washington no. E il livello delle indiscrezioni aumenta, s’infittisce, mette paura. Anche perché ora si parla di armi atomiche. O quantomeno di componenti nucleari. Martedì sera le gole profonde del Pentagono hanno rivelato alla Cnn che gli F15 penetrati nel nord della Siria una settimana fa erano arrivati fin lì per distruggere un carico d’armi iraniano destinato a Hezbollah. O forse un carico d’armi acquistate dalla Russia per conto di Teheran. A rilanciare ci pensavano poche ore dopo gli informatori del New York Times all’interno della Casa Bianca. Le fonti anonime del più autorevole quotidiano statunitense mettevano sul tavolo un’altra pesante e sconvolgente verità, raccontando di voli radenti su installazioni nucleari e di foto e documentazioni scottanti raccolte grazie all’abilità e all’audacia dei piloti israeliani. «Un funzionario dell’amministrazione Bush ha detto che Israele ha di recente compiuto voli di ricognizione sulla Siria, fotografando alcune possibili installazioni nucleari che potrebbero, secondo gli israeliani, essere state rifornite di materiale dalla Corea del Nord».
Dunque, se la missione e i suoi risultati venissero confermati, il Medio Oriente dovrebbe fare i conti con un’altra corsa al nucleare. Una corsa allarmante, anche perché la Siria è il miglior alleato della potenza iraniana, impegnata in una marcia a ritmo serrato sulla via dell’energia atomica. Il grande mentore dell’atomica siriana, il mercante di tutta la componentistica indispensabile per muovere i primi passi nel settore, sarebbe la Corea del Nord. Dopo aver raggiunto un accordo per lo smantellamento delle proprie infrastrutture nucleari, Pyongyang ne avrebbe messo sul mercato alcune parti, e la Siria si sarebbe affrettata ad acquistarle. «Israele ritiene che la Corea del Nord - scrive il New York Times citando i suoi informatori - stia liquidando alcuni suoi materiali nucleari e cerchi di vendere all’Iran e alla Siria tutto quel che le rimane».
L’indiscrezione «nucleare» è stata parzialmente ridimensionata ieri pomeriggio dalle dichiarazioni di altri funzionari statunitensi, tornati ad avvalorare l’ipotesi di un raid militare contro alcune postazioni siriane o un carico d’armi. Le stesse fonti definiscono però «confusi» gli obbiettivi della missione. «Posso confermare l’attacco ma non l’obbiettivo», dichiarano laconici gli ufficiali americani.
Il persistente e insolito silenzio di Israele fa comunque pensare a un obbiettivo e a un’azione di una certa rilevanza. L’eventuale attacco a un convoglio d’armi, che avrebbe scavato, stando alle gole profonde della Cnn, un profondo cratere nel deserto e l’individuazione di infrastrutture nucleari, sono entrambi elementi capaci di elevare a dismisura il rischio di un conflitto. La conferma di un vero e proprio bombardamento, fin qui smentito da Damasco, potrebbe costringere il regime di Bashar Assad a reagire con molta più determinazione e immediatezza. L’individuazione di infrastrutture nucleari spingerebbe invece il governo di Ehud Olmert ad assumere posizioni drastiche per rassicurare la propria opinione pubblica, rendendo quasi inevitabile il rinvio di quella conferenza sul Medio Oriente che Washington vuole organizzare entro il prossimo novembre. «Non tutte le operazioni possono essere rivelate al pubblico», aveva detto qualche giorno fa il primo ministro Ehud Olmert tessendo le lodi dei suoi militari. Ma ora le voci dilagano, l’allarme aumenta e tacere diventa sempre più difficile.

Da La STAMPA (pagina 139 un articolo di Maurizio Molinari:

Elicotteri iraniani abbattuti, bombardamenti sui villaggi curdi in Iraq, raid di commandos peshmerga nell’Azerbaijan occidentale, centinaia di profughi in fuga dalle rappresaglie di Teheran e un blitz terra-aria israeliano contro una base siriana ai confini turchi dove l’Iran stava accumulando materiale top secret arrivato dalla Corea del Nord.
Non si tratta di una simulazione della «war room» del Pentagono né di un romanzo di Le Carré bensì di quanto avvenuto nelle ultime settimane in un Medio Oriente attraversato da un crescendo di combattimenti segreti che nessuna delle parti ha interesse a rivelare perché descrivono un aumento di tensione capace di degenerare in un ampio conflitto regionale fra alleati di Washington e di Teheran.
L’area dove gli scontri sono più duri è il confine fra Kurdistan iracheno e Iran occidentale, dove a combattersi sono i guerriglieri curdi del Pjak (Partito per la vita libera del Kurdistan) e le Guardie della rivoluzione iraniana. Il Pjak nasce da una costola del Pkk curdo, è composto da volontari curdi iraniani e tedeschi, ha le basi sulle montagne irachene del Qandil e si batte per l’autonomia del Kurdistan iraniano, sconfinando con i suoi attacchi nella provincia di Kermanshah abitata in prevalenza da azeri. La guerriglia del Pjak è vecchia di 10 anni, ma dalla metà del 2006 è diventata più aggressiva grazie all’addestramento ricevuto da consiglieri americani e britannici così come al sostegno logistico del Pdk (Partito democratico del Kurdistan) di Massud Barzani, co-gestore del Kurdistan iracheno dopo la caduta di Saddam. Da febbraio gli scontri si sono intensificati: i pasdaran iraniani hanno perso uomini, mezzi, elicotteri e anche il comandante regionale Saeed Qahhari. Teheran ha risposto creando la base «Hamza» a ridosso del confine, da dove i Guardiani della Rivoluzione sconfinano in Iraq e bombardano i villaggi civili. Non esistono stime ufficiali delle vittime ma secondo Amir Taheri, direttore di Politique Internationale, la «guerra iraniana contro i curdi» avrebbe già causato centinaia di morti su entrambi i fronti. Fra i caduti anche il «dottor Meraat», come veniva chiamato il comandante curdo di origine tedesca di alcune unità del Pjak. A inizio settembre i bombardamenti iraniani in territorio iracheno sono stati a tal punto pesanti da spingere il ministro degli Esteri di Baghdad, Hoshyar Zebari, a recapitare a Teheran una protesta formale in ragione delle «centinaia di profughi in fuga». Fra le notizie filtrate anche un blitz curdo fin dentro Kermanshah, capitale provinciale dell’Azerbaigian occidentale, e la presenza a fianco del Pjak di uomini del Pkk turco e del gruppo ex comunista anti-ayatollah dei Komalah.
La guerriglia irredentista curda serve a Washington e Baghdad per tenere sotto pressione l’Iran, accusato dal generale David Petraeus di sostenere attivamente i gruppi terroristici sciiti e sunniti che destabilizzano l’Iraq, ma Teheran combatte con basso profilo per evitare di trasformare i propri 4,5 milioni di curdi in un caso internazionale.
Sull’altro lato del Kurdistan iracheno, in territorio siriano, si è svolto la scorsa settimana un inedito blitz di terra e aria da parte delle truppe israeliane sul quale è stato il «New York Times» a sollevare il velo, grazie alle informazioni raccolte in ambienti del Pentagono. Si è trattato, secondo queste fonti, di un attacco notturno contro una base segreta siriana dove l’Iran stava accumulando materiale militare top secret acquistato dalla Nord Corea. Secondo le fonti Usa «gli israeliani pensano che Pyongyang stia vendendo a Siria e Iran quanto rimasto» dei programmi missilistici e nucleari e dunque il blitz - concluso con successo e avvenuto con la conoscenza di Washington - avrebbe distrutto sul nascere un centro di smistamento e uso di pericolose armi destinate agli Hezbollah libanesi oppure a rimanere nascoste nel deserto. Il perdurante silenzio di Gerusalemme sul raid, le dure proteste di Damasco e Pyongyang, l’avallo di Washington e il basso profilo di Ankara confermano che la notte di guerra in Siria - con impiego anche di truppe di terra, secondo la Cnn - ha lasciato il segno, accrescendo ulteriormente la pressione militare nei confronti dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad alleato di Hamas ed Hezbollah. Ma non è tutto: la III divisione di fanteria dell’Us Army si appresta a costruire in Iraq una base militare ai confini con l’Iran al fine di intercettare e bloccare il flusso di armi ai miliziani di Baghdad. «Sarà una minaccia contro di noi, non permetteremo che venga costruita» ha avvertito l’inviato di Teheran, Alì Larijani.

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