Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La delegittimazione di Israele arriva al festival del cinema di Venezia applausi comunisti e postcomunisti
Testata:Il Manifesto - L'Unità Autore: Roberto Silvestri - Dario Zonta Titolo: «Demme-Carter binomio doc - Jimmy Carter palestinese visto da Demme»
Dopo il libro, arriva il film. Il regista americano JonathanDemme ha girato un documentario che esalta il libro di Jimmy Carter Palestine: "Peace not Apartheid". Un'opera calunniosa che descrive come uno Stato razzista. Roberto Silvestri, critico cinematografico del MANIFESTO ne è ovviamente entusiasta, certo non per motivi estetici. Ecco il testo (pagina 14):
Venezia Oggi è il giorno del premio Nobel Jimmy Carter (assente) e del premio Oscar Jonathan Demme che presenta, in quasi contemporanea con Toronto, un emozionante documentario, di struttura semiclassica (ma la colonna sonora è devastante e deviante) e accoglienza da Leone d'oro (ma non è in gara), su un libro controverso scritto dal 39mo Presidente degli Stati uniti, capace di scatenare fuochi d'artificio, già solo per il suo titolo provocatorio, Palestine: Peace not Apartheid. E che invece è un «doppio misto» dalla parte del negoziato, della trattativa, della politica come tutela, sempre, delle minoranze, e dei colloqui di pace «tra uguali». Ovvio, anche con Hamas. Come ricordava Begin a Camp David, Carter sa sfacchinare come uno schiavo dell'antichità pur di edificare una piramide. E questa piramide ci racconta di un popolo senza ancora stato, anzi tenuto in prigione da un muro e circondato da una magnifica autostrada dove però è severamente vietato circolare se non si ha passaporto israeliano. «Perché violento», «mai democratico» e «terrorista in maniera crescente», si risponde. A cui però è stato tolto tutto: il territorio stabilito dalle decine di risoluzioni internazionali dell'Onu; le case; centinaia di villaggi rasi al suolo dalle ruspe; l'acqua; le armi di difesa; i leader e la loro dignità; gli alberi millenari d'olivo; oltre 700 strade; molti abitanti costretti all'esilio e che rendono dubbia quasi ogni convocazione elettorale; bambini, donne, artisti e vecchi, puniti sadicamente per la «doppia intifada», tre missili intelligenti per ogni pietra teppisticamente scagliata; la possibilità di comunicare con l'esterno via mare, via aria, e, spesso anche via terra e coi checkpoint, prepotentemente, imprevedibilmente chiusi. «Un trattamento qualche volta perfino peggiore di quello riservato ai sudafricani neri da Pretoria»... Apartheid cos'è secondo l'Onu? Quando in un territorio vivono due popoli di cui uno sottomesso dall'altro in violazione di ogni diritto umano. Carter inizia il film, dopo il saluto tv della mamma che lo allevò, gironzolando in auto per la sua tenuta, quella dove la sua famiglia coltiva noccioline e cotone fin dal 1830. Ci indica gli alberi, neanche secolari e commenta. Come mi sentirei se, improvvisamente, tutto questo mi venisse portato via, strappato con le armi? Si dirà, certo gli Usa hanno non poche responsabilità storiche su questa faccenda. Perché Carter non spiffera? Mah. Le armi, gli aerei sofisticati, le tecnologie in grado di dissolvere le armate di Nasser nel 1967 furono vendute dalla Francia, e Mitterrand, quello del governo rivoluzionario e della guerra di classe contro i padroni se n'è sempre vantato... Però, replicano i distratti, i kamikaze sono diminuiti, statistiche alla mano. Certo, nel breve periodo. Ma già con Hamas, l'Afghanistan e l'Iraq sembrerebbe ampliato lo spazio delle paure, delle inquietudini, e fuochi di guerriglia sorgono ovunque.... Un documentario italiano, visto qui a Venezia, forse troppo cuore in mano (anche in senso splatter) Madri, ci ricorda che aumentano, tra i giovani soldati israeliani, i fenomeni di insubordinazione, di renitenza alla leva o di suicidio durante la leva. «Ma la democrazia dovrebbe fermare Hitler se elezioni lo portano al potere, e prima che sia troppo tardi»... Vale per Hitler, così come per Bush, Netanyau/Sharon, Sarkozy, Haider, Erdogan, Hamas... Strabiliante questo film, da mandare in giro per scuole, chiese, moschee e sinagoghe, perché alla pace punta. E illustra, con il gusto del dettaglio, ogni nodo del libro; ci racconta qualcosa anche di intimo del suo celebre, complesso, religiosissimo autore; e segue la contrastata promozione dello scottante volume, by Schuster&Schuster, in giro per l'America. Alla radio, nei talk show alla Larry King, nelle librerie, di Manhattan o di provincia, tra i rabbini incavolati di Phoenix City e tra gli esuli semiti-palestinesi di Haifa che ringraziano commossi, e sanno di non essere stati abbandonati proprio da tutti, di non essere nemmeno espressione geografica, «nullità pura». Quando poi, nelle pause «esistenziali» Carter rivela la ricetta, incopiabile, del matrimonio perfetto, letture incrociate, in spagnolo e a distanza della bibbia, esclusa la parte femminista, è davvero esilarante. Impareremo così a avere stima perfino di un ex presidente liberal (parolaccia ormai) degli Usa, per il suo umorismo, per la sua competenza, per il suo modo di essere postideologico davvero, maneggiando non falsa coscienza, ma dati di fatto, appresi sul campo, emozionalmente intesi. Andate anche voi laggiù, anche solo per tre giorni, a Gaza e nel West Bank, «e poi ditemi - chiede Carter ai dubbiosi - se è tollerabile il trattamento cui è sottoposto oggi il popolo palestinese». La requisitoria è appassionata, disinvolta, disinibita, spavalda e aggressiva. Ostinata la difesa delle tesi del libro, da parte dell'autore, contro le offese di professori di Harvard, autorità di Tel Aviv e suoi ex collaboratori che lo accusano di antisemitismo (e i palestinesi che sono?) e l'attenta e circostanziata risposta a ogni critica legittima. Il tutto anche se il documentario è non solo classico, ma anche di genere. Il doc appartiene infatti al filone «book tour», lanciato, proprio 10 anni fa, da Michael Moore che in The Big One approfittava del giro promozionale (e non nelle grandi città, ma nei Barnes & Noble delle piccole città degli States) di un suo libro satirico, per trattare - con il suo solito metodo dell'intervista, dello sberleffo e della provocazione - problemi gravi e seri, come il salario minimo dei commessi delle librerie, la flessibilità, il precariato, l'assistenza sanitaria zero e lo strapotere delle corporation. Mettendo in piazza le più intollerabili ingiustizie sociali dell'America e facendone discutere apertamente tutti, Moore realizzava così un antico sogno collettivo, la controinformazione al potere (mediatico). A rischio, come direbbe Amato, di risvegliare il mostro assopito del fascismo circostante (non come quello, solo teppistico, risvegliato da Galan contro l'anima bella Fanny Ardant). Ma questa, sottile bellezza, è la democrazia. Dire le cose come stanno, non aver paura della verità, e discuterne con tutti. Dieci anni dopo Moore, Demme riprende lo schema. E in Jimmy Carter, Man from Plains dedica al 39mo presidente degli Stati uniti un ritratto politico a tutto tondo che è quasi una nuova investitura alle prossime primarie democratiche. La ripresa di un filo rosso che Ronald Reagan spezzò nel 1980.
L'UNITA' non è da meno del MANIFESTO nel lodare il film di Demme e nello sposare le tesi demonizzanti di Carter. Ecco l''articolo di Dario Zonta, da pagina 19:
Tra i tanti documentari di una selezione veneziana finalmente all’altezza, ne segnaliamo due: Jimmy Carter Man From Plains di Jonathan Demme e Il passaggio della linea di Pietro Marcello. Esempi eccellenti di generi alternativi, il primo è il documentario «di prosa» di un regista acclamato e americano, il secondo è un documentario «di poesia» di un regista sconosciuto e casertano. L’autore di The Agronomist segue l’ex presidente Carter durante la campagna promozionale del suo discusso libro, Palestine: Peace Not Apartheid, sulla questione israelo-palestinese. La posizione radicale di Carter, anticipata dal titolo del libro, ha fatto infuriare la comunità ebraica americana e il sistema informativo, che ha reagito di conseguenza. Jimmy Carter Man From Plains è allo stesso tempo un film politico, perché entra nel merito della situazione palestinese, un film storico, perché ricostruisce «dal di dentro» gli accordi di Camp David, e un’inchiesta suggestiva sulla miseria del giornalismo americano. Non è un’opera agiografica su Carter ma ci spiega cosa succede in America se un ex presidente critica Israele e la sua politica oltranzista. Con Il passaggio della linea siamo su un espresso notturno a lunga percorrenza, categoria in dismissione, uno dei tanti che sfreccia da sud a nord nella notte italiana, trasportando un popolo sommerso che viaggia precaria per un ingaggio di pochi giorni o poche ore. Pietro Marcello, dopo aver viaggiato con loro e tra loro per più di un anno, li racconta immergendoli nella geografia spezzettata di un «bel paese» inedito e vero. Senza mai scendere dal treno, alterna le immagini fisse di un’Italia «in corsa», che fuori dal finestrino trascolora muta dalla luce notturna a quella albeggiante, con le immagini di viaggiatori in movimento, facce vere cariche di storie e timori, filosofie e passioni. Il passaggio della linea (prodotto dalla Indigo, di cui parliamo in pagina) è la rivelazione del festival e Pietro Marcello la sua più bella scoperta. Film ipnotico e denso di segnali, fonde, senza didascalismi, le esigenze del racconto e dell’inchiesta con quelle della poesia e del cinema, con un occhio al maestro armeno Pelejan. Mentre la fiction italiana del Concorso traballa, il documentario di Orizzonti eccelle, dimostrando la vitalità di questo genere e ricordandoci con Pietro Marcello quanto possa essere compiutamente cinematografico.
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