Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Una proposta del vicepremier israeliano, una decisione del ministero dell'Interno di Ramallah, una sentenza dell'Alta corte israeliana tre fatti e tre cattive interpretazioni
Testata:L'Unità - Il Manifesto Autore: Umberto De Giovannageli - Michelangelo Cocco - Michele Giorgio Titolo: «Israele: basta razzi o puniremo Gaza - Guerra alla carità islamica, così Fatah spera di piegare Hamas - Stop al muro a Bilin, festa pacifista»
Aggredita dalla Striscia di Gaza controllata da Hamas Israele deve continuare a fornire acqua, luce e gas alla Striscia?
Sì secondo Umberto De Giovannangeli che sull'UNITA' del 5 settembre 2007 (pagina 11)qualifica come "estrema" la proposta di sospendere le forniture avanzata dal vice primo ministro israeliano Haim Ramon. Davvero si tratta di una proposta estrema ?
U.d.g. ricorda un altro caso nella storia nel quale uno Stato aggredito abbia garantito durante il conflitto il funzionamento delle infrastrutture dell'aggressore ? Non è questa la situazione "estrema" ?
Ecco l'articolo:
SE I RAZZI Qassam torneranno a colpire Sderot, Israele potrebbe lasciare senza luce, acqua e gas i palestinesi - oltre 1 milione e 400 mila persone - della Striscia di Gaza. «È impensabile continuare a rifornire Gaza di elettricità, acqua e carburante mentre i cittadini israeliani restano bersagli viventi di quei razzi», dichiara al quotidiano «Yedioth Aharonoth» il vice primo ministro Haim Ramon, stretto alleato del premier Ehud Olmert e membro di Kadima, il partito centrista guidato dal capo dell’esecutivo. «Noi dobbiamo solo stabilire il prezzo da far pagare per ciascun razzo Qassam sparato contro il territorio israeliano», sintetizza Ramon, La sua proposta è estrema, seppure non di tipo militare: sospendere le forniture di luce, acqua e carburante alla Striscia perchè, insiste il vicepremier israeliano « è paradossale che noi teniamo in piedi le loro infrastrutture mentre quelli le usano per tentare di uccidere i nostri figli». L’altro ieri da Gaza, almeno sette razzi si sono abbattuti sulla cittadina israeliana di Sderot, nel sud, e uno è esploso a poca distanza da un asilo infantile; nessun ferito, ma quindici bambini sono rimasti traumatizzati a causa delle esplosioni successive. Da Ramallah (Cisgiordania) il presidente palestinese Abu Mazen ha condannato ieri pubblicamente i ripetuti lanci di missili Qassam compiuti dalle milizie palestinesi presenti nella Striscia di Gaza. «Noi condanniamo questi attacchi - ha dichiarato - perchè minacciano il dialogo e il processo di pace». Oggi a Gerusalemme si riunirà il Consiglio di difesa israeliano per decidere la linea di azione per proteggere gli abitanti di Sderot: Nella logica di una rappresaglia che costituisca «il prezzo giusto», come ha alluso il vice premier Ramon, il primo passo potrebbe perciò essere una intensificazione degli attacchi nei confronti delle cellule di miliziani, e la ripresa delle esecuzioni mirate: contro i comandanti della Jihad islamica, ritenuti gli esecutori degli attacchi, e contro quelli di Hamas, indicati come i loro mandanti. In serata, Il ministro della Difesa, e leader laburista, Ehud Barak ha chiesto la proclamazione dello stato di emergenza per la città di Sderot e per le altre comunità israeliane a ridosso della Striscia minacciate dal lancio di razzi palestinesi Qassam, e si aspetta che la decisione venga approvata dal parlamento entro le prossime 48 ore. Lo stato di emergenza, che trasferisce all’esercito le competenze normalmente riservate all’amministrazione civile, potrebbe essere il primo passo per spianare la strada ad una vasta azione militare.
Sul MANIFESTO (pagina 11)Michelangelo Cocco difende, contro Fatah, le organizzazion caritatevoli che raccolgono il consenso palestinese al terrorismo di Hamas Ecco il testo:
Strangolare Hamas chiudendo le sue associazioni caritatevoli, quelle organizzazioni non governative (ong) che hanno costituito la spina dorsale degli islamisti e permesso loro di trasformarsi da movimento religioso in partito e vincere le elezioni del 2006. Dare la spallata definitiva agli uomini del premier deposto Ismail Haniyeh colpendo il welfare musulmano. Dopo aver perso il confronto militare a Gaza, il Fatah del presidente Abu Mazen apre un altro fronte di scontro con i vincitori delle elezioni del 2006, ormai arroccati nella Striscia dopo lo scioglimento del governo da parte del capo del non-stato palestinese. Il ministero dell'interno di Ramallah nei giorni scorsi ha deciso di sciogliere 103 ong con sede in Cisgiordania ma che operano anche a Gaza, per presunte «violazioni amministrative, finanziarie o legali» della legge che regola la loro attività. I primi sigilli sono attesi per la prossima settimana. Dopo aver dichiarato (il 14 giugno scorso) lo stato d'emergenza, Abu Mazen aveva emesso un decreto che attribuisce al titolare degli interni il potere di «prendere tutte le misure necessarie riguardo alle associazioni e alle organizzazioni non governative, incluse la chiusura, la correzione di status, o qualsiasi altra misura». Hamas, fondata nel 1987 come branca palestinese della Fratellanza musulmana egiziana, si è guadagnata la fiducia, e la fede, di parte della società dei Territori occupati proprio grazie a queste associazioni, che forniscono un'assistenza di base per gli strati più poveri della popolazione, 1,6milioni di persone che vivono in una delle aree più densamente popolate della terra, da cui è impossibile uscire senza il consenso israeliano. «Una stima precisa dei palestinesi assistiti da queste ong è difficile, ma si tratta certamente di migliaia di persone», spiega al manifesto Raji Sourani, fondatore del Centro palestinese per i diritti umani di Gaza (Pchr). Sourani, una vita spesa per favorire lo sviluppo della società civile e combattere le violazioni dei diritti umani, è molto arrabbiato con il governo di Abu Mazen: «Con queste misure colpiranno tutto il popolo. Le ong coprono quegli spazi che il governo non riesce a riempire, per inefficienza o mancanza di fondi: assistenza agli orfani, alle famiglie bisognose e ai prigionieri, tra gli altri. Inoltre con un provvedimento del genere colpiranno lo sviluppo della società civile, essenziale per la democrazia», conclude al telefono da Gaza. Nella Striscia lavora anche Lino Zambrano, un cooperante della ong italiana Cric impegnata, tra le tante attività, in un progetto (finanziato dall'Unione europea) con 24 asili palestinesi, alcuni dei quali gestiti proprio da associazioni caritatevoli legate ad Hamnas. Zambrano, che ha anni d'esperienza nella Striscia, spiega che «queste associazioni caritatevoli forniscono assistenza nella forma di aiuto diretto, economico, alle famiglie: soldi o cibo per i bambini, i prigionieri e le loro famiglie, i più bisognosi. L'80% circa è legato ad Hamas». «Senza di loro la gente vivrebbe peggio - conclude il cooperante del Cric -, molti non avrebbero nemmeno da mangiare».
Michele Giorgio riferisce una notizia che in se è la confutazionedi tutta la sua propaganda: in risposta al ricorso degli abitanti del villaggio palestinese di Bilin l'Alta Corte israeliana ha imposto una modifica del tracciato della barriera di sicurezza, perché non persuasa che la sicurezza imponesse la precedente soluzione. Dunque, anzitutto, non è vero che il tracciato della barriera sia stabilito per motivi politici o per danneggiare i palestinesi. Quando i motivi di sicurezza non appaiono stringenti, l'Alta corte privilegia le necessità della popolazione palestinese. In secondo luogo, non è vero che i palestinesi siano privati di ogni diritto e non possano far altro che ricorrere alla violenza. Per combattere i presunti "sopprusi" dell'"occupazione" farebbero molto meglio a rivolgersi all'Alta corte di Israele che alle organizzazioni terroristiche (o ai loro sostenitori occidentali animati dall'odio contro Israele) Giorgio utilizza invece la notizia per proclamare la vittoria del "pacifismo", cioè della militanza antisraeliana internazionale e per condannare ancora il "muro". Ecco il testo:
Festeggiare è eccessivo mentre il progetto del muro prosegue senza sosta in Cisgiordania. E sarebbe un errore farsi troppe illusioni. Nonostante ciò la sentenza con la quale l'Alta corte di Giustizia israeliana ieri ha ordinato lo smantellamento e la ricostruzione, lungo un altro tracciato, di una sezione di 1,7 chilometri del muro in prossimità di Bilin (Ramallah), non poteva scatenare che scene di gioia tra gli abitanti di questo villaggio divenuto negli ultimi anni simbolo della lotta contro il muro e di un progetto di resistenza pacifica che ha messo insieme, per oltre 130 venerdì consecutivi, centinaia di attivisti israeliani, palestinesi e internazionali (tra cui molti italiani). «È stata una vittoria del movimento più che del villaggio - ci diceva ieri sera il giovane israeliano Jonatan Pollak, leader di Anarchici contro il muro e figura centrale della lotta di Bilin -, questa decisione dei giudici però non deve farci illudere sulla giustizia dello Stato di Israele. Allo stesso tempo, ci dice che la lotta paga, che l'impegno di coloro che si oppongono all'ingiustizia e che si battono contro il colonialismo e l'occupazione alla fine vince. Le armi non servono quando si è uniti e determinati». Pollak ha avuto parole di incoraggiamento per tutti i manifestanti che hanno pagato con ferite gravi la loro partecipazione alle dimostrazioni settimanali a Bilin. «La repressione delle forze armate israeliane è pesante e spesso qualcuno dei miei compagni, palestinesi e israeliani, ha finito la giornata in un letto d'ospedale», ha puntualizzato il pacifista. Le parole di Jonatan ben rappresentano lo stato d'animo di tutti quelli che alla resistenza di Bilin hanno dedicato la loro vita negli ultimi anni. Abdallah Abu Rahma, del comitato popolare del villaggio, non riesce a contenere la felicità. «Abbiamo vinto una battaglia importante, ma non dobbiamo dimenticare che questa è una guerra lunga e in palio ci sono il nostro futuro come palestinesi e non solo come abitanti di Bilin», ha commentato Abu Rahma esortando tutti i suoi connazionali che hanno perduto o stanno per perdere le loro terre e le loro case a causa del muro, a fare sentire alta la loro voce. «Per costruire la barriera, Israele ci ha sequestrato 250 ettari di terre e sradicato migliaia di alberi, ma soprattutto ha voluto chiudere noi e tutti gli altri palestinesi in bantustan. Per questo la lotta non può arrestarsi ma deve continuare, deve diventare la battaglia di tutto il popolo». Un incitamento che già da qualche tempo è stato raccolto ad Umm Salamuna, vicino Betlemme, divenuto l'altro polo delle manifestazioni contro il muro che ogni settimana si tengono in Cisgiordania. Passata l'euforia, gli attivisti locali e internazionali dovranno guardarsi dalle mosse dell'esercito e dei coloni di Modi'in Illit e Matitiyahu (insediamenti illegali nei Territori occupati, confinanti con il villaggio palestinese), troppo interessati a mantenere in quella zona il percorso attuale del muro per arrendersi senza combattere. A ciò si aggiungono gli interessi delle imprese di costruzioni israeliane verso il completamento della barriera. Pare che tra le società coinvolte ci sia persino la Heftsiba del «palazzinaro» Baoz Yona, arrestato la scorsa settimana in Italia, dove aveva cercato di far perdere le sue tracce, perché accusato dalla magistratura israeliana di truffa e appropriazione indebita. Il comitato popolare di Bilin, dopo la sentenza dell'Alta Corte di Giustizia, non esclude di poter presentare, anche in Italia, una denuncia contro Yona. Nel frattempo mentre a Bilin hanno finalmente un motivo per festeggiare, a Gaza la popolazione trema. Il numero due del governo israeliano, Haim Ramon, ha minacciato di tagliare la fornitura di elettricità, acqua e carburante nella Striscia di Gaza come rappresaglia dopo i lanci di razzi artigianali Qassam di cui sono responsabili alcuni gruppi armati palestinesi. «Dobbiamo fissare un limite per i palestinesi - avvertito Ramon - Dobbiamo far sapere loro che per ogni razzo lanciato taglieremo per due o tre ore la fornitura di acqua, di elettricità e di carburante». Due giorni fa alcuni Qassam si sono abbattuti nel sud di Israele, senza fare vittime. Uno dei razzi è però esploso vicino ad un asilo di Sderot, provocando nuove proteste degli abitanti contro il governo Olmert. Il vertice politico di Hamas intanto ha confermato la decisione di proibire la preghiera pubblica, allo scopo di impedire i raduni Al-Fatah che da parte sua, insieme alle altre fazioni dell'Olp, ha confermato l'appuntamento della preghiera di venerdì.
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