Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
D'Alema ha sempre ragione articoli che nascondono le contraddizioni del nostro ministro degli Esteri
Testata:La Repubblica - L'Unità Autore: Vincenzo Nigro - Umberto De Giovannageli Titolo: «D´Alema: "Noi con Abu Mazen a Gaza l´ora della riconciliazione" - D’Alema: su Hamas l’Italia in linea con la Ue»
"Il ministro degli Esteri ha confermato anche a Mubarak che l´Italia in Palestina punta, come tutta la Ue, su Abu Mazen" scrive Vincenzo Nigro su La REPUBBLICA del 5 settembre 2007 (pagina 17). "Ha confermato", dunque non vi sarebbe contraddizione con le precedenti aperture ad Hamas. Nello stesso tempo, però, "ha ribadito che «è necessaria una riconciliazione» tra i palestinesi, sostenendo che questa però sarà possibile solo quando Hamas avrà fatto marcia indietro sul golpe a Gaza.". Le condizioni del quartetto (che include l'Unione europea) riconoscimento di Israele e degli accordi stipulati da Olp e Autorità palestinese, rinuncia al terrorismo) non sono menzionate da D'Alema. Dunque la posizione di D'Alema è davvero un passo nella direzione di Hamas, che ha tutte le ragioni per complimentarsi con il nostro ministro degli Esteri. Nigro questo non lo nota
Ecco il testo completo:
GERUSALEMME - Le vacanze sono finite, Tony Blair si è messo al lavoro: domenica è arrivato in Medio Oriente, ha già visto il re saudita, l´egiziano Mubarak e oggi incontra gli israeliani. L´inviato del Quartetto deve lavorare alla conferenza di pace che Bush vuole organizzare a novembre. Ma è ancora tutto da inventare, da organizzare, per evitare che il meeting americano si trasformi in un boomerang pauroso: convocato per trovare una soluzione di pace, se non porterà a nulla creerà soltanto nuovo caos. E in Medio Oriente la confusione si chiama terrorismo. Prima di vedere Olmert e la Livni, stamane anche il ministro degli Esteri italiano Massimo D´Alema incontrerà Blair: per capire quali sono le sue idee, per chiedergli di accelerare l´organizzazione della conferenza. Ieri D´Alema ha trascorso l´intera giornata in Egitto: Roma e il Cairo sono d´accordo, se la conferenza di pace fallisce «c´è il rischio serio che i guai in tutta la regione possano aumentare». D´Alema dice che «dopo aver sollevato tante speranze, se non segue un messaggio concreto c´è il rischio di creare il caos». Tanto da invitare anche i ministri della Lega araba a fare un passo verso Israele, per favorire il negoziato: l´Italia pensa all´apertura di un ufficio di rappresentanza della Lega araba a Tel Aviv, un segnale per far capire che questo processo di pace ha come obiettivo anche la sicurezza complessiva di Israele, non solo l´accordo con i palestinesi. Il ministro degli Esteri ha confermato anche a Mubarak che l´Italia in Palestina punta, come tutta la Ue, su Abu Mazen; ma ha ribadito che «è necessaria una riconciliazione» tra i palestinesi, sostenendo che questa però sarà possibile solo quando Hamas avrà fatto marcia indietro sul golpe a Gaza. L´Egitto, per bocca di Amr Moussa e dei consiglieri di Mubarak, lancia un messaggio a Bush: «I preparativi per la riunione di novembre hanno bisogno di maggiore energia, c´è bisogno di un´agenda, metodi, basi chiare per ottenere risultati concreti che sbocchino in una svolta sulle questioni principali e finali». Le cose da decidere sono molte: innanzitutto chi parteciperà. D´Alema cerca spazio al tavolo di Washington: l´Italia chiede che partecipi il G8, assieme al Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu). In questo modo sarebbero incluse Roma, Londra, Parigi e Berlino, che altrimenti sarebbero rappresentate solo da Solana. Qualcuno suggerisce di non lasciare fuori la Cina, e allora si potrebbe pensare al «G8+P5», in cui la seconda sigla sta per i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Gli arabi invece sono interessati a far partecipare anche un paese come la Siria, che se rimanesse fuori avrebbe le mani libere per sabotare il processo. Ma il vero scontro è su cosa debba essere questa conferenza. Che tipo di accordo dovrà preparare? Il presidente palestinese Abu Mazen sa che non potrà avere un piano di pace dettagliato (è troppo presto), ma allora chiede che si lavori a un «framework agreement on final status», un accordo-quadro che poi dovrà essere negoziato nei dettagli dalle parti, ma dal quale si capisca come nascerà il futuro Stato di Palestina. Gli israeliani temono come pericolosissima un´idea del genere. Olmert preferisce una dichiarazione di principi che lasci il tempo di negoziare più tardi dettagli decisivi come lo status di Gerusalemme, il ritorno dei profughi, le garanzie di sicurezza per Israele stessa. La paura di Israele è assai concreta: come facciamo a negoziare nei dettagli la creazione di uno Stato se non siamo sicuri che quello Stato non finirà nelle mani di Hamas, come è successo a Gaza?
Altro articolo assolutamente acritico nei confronti di D'Alema è quello di Umberto De Giovannangeli su l'UNITA' :
L’ITALIA è «pienamente d’accordo» con l’Unione Europea sul fatto che non ci debbano essere negoziati con Hamas. Ma questo «non è in contraddizione» con la sottolineatura della necessità «di un processo di riconciliazione nazionale» tra i palestinesi. Da Alessandria d’Egitto, seconda tappa della sua missione in Medio Oriente. Massimo D’Alema ritorna sull’incandescente dossier. E lo fa in un’occasione politicamente significativa e diplomaticamente prestigiosa: al termine dell’incontro con il presidente egiziano Hosni Mubarak. Il problema non è quello di un negoziato tra Ue e Hamas, rileva il titolare della Farnesina, ma la questione è che la Comunità internazionale deve incoraggiare la leadership palestinese ad andare verso una riconciliazione. E su questo punto, insiste D’Alema, il presidente palestinese Abu Mazen ha spiegato, nell’incontro dell’altro ieri a Ramallah con il vice premier italiano, di essere d’accordo e pronto, anche se ritiene che sia importante prima stabilire la legalità. La linea esposta dal capo della diplomazia italiana è in totale sintonia con quella che caratterizza l’azione dell’Egitto, Paese chiave nello scacchiere mediorientale. Un processo di riconciliazione nazionale palestinese è necessario perché «l’unica alternativa all’unità è una lunga guerra civile» che sarebbe «un disastro» non solo per i palestinesi, ma per tutta la regione, e alla fine anche per Israele: la convinzione di D’Alema è in piena assonanza con quanto, nell’incontro di ieri ad Alessandria d’Egitto, hanno ribadito il presidente Mubarak e il capo della diplomazia egiziana Ahmed Abu Gheid. L’assonanza tra Roma e Il Cairo si proietta anche su altri, decisivi dossieri: come quello che riguarda la Conferenza internazionale sul Medio Oriente annunciata dagli Stati Uniti per metà novembre. «Egitto e Italia apprezzano l’iniziativa lanciata dal presidente Bush di convocare un incontro internazionale - afferma D’Alema - allo stesso tempo abbiamo sottolineato che l’incontro deve essere preparato in modo da rappresentare una effettiva svolta per la pace». Nel precisare come «spetti agli americani spiegare in modo preciso come pensano questa riunione possa svolgersi» il titolare della Farnesina indica quelli che dovrebbero essere i punti fermi in preparazione della Conferenza: «In primo luogo sarebbe importante che fossero invitati tutti i Paesi interessati della regione e quei Paesi della Comunità internazionale che più sono impegnati per la pace in Medio Oriente e quindi i principali Paesi europei oltre l’Unione Europea. Il secondo aspetto riguarda i contenuti dell’incontro e la necessità che emerga non solo un generico incoraggiamento per rilanciare il processo di pace, ma per lo meno i principi fondamentali sulla base dei quali definire un accordo di pace». In questa direzione, puntualizza D’Alema, risulterà «fondamentale l’esito che potranno avere i colloqui che si sono positivamente avviati fra il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen. La Comunità internazionale deve perciò incoraggiare le due parti a fare i passi in avanti che sono necessari». Il tema della Conferenza, dei sui partecipanti, dei suoi contenuti, domina anche il colloquio al Cairo tra D’Alema e il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa. All’incontro internazionale di metà novembre dovrebbero essere invitati «tutti i Paesi della regione che sono coinvolti, compresa la Siria», sottolinea il titolare della Farnesina. L’Italia, insieme all’Europa, intende continuare ad aiutare le prospettive della pace tra israeliani e palestinesi, ma bisogna fare scelte concrete e coraggiose perché la Conferenza di novembre «avrà un senso se verranno novità importanti sul cammino della pace». In questo senso, secondo il capo della diplomazia italiana, è ormai giunto definitivamente il momento di «porsi il problema di un accordo di pace e non soltanto del processo di pace». Per questo sarà opportuno definire nelle prossime settimane una piattaforma di base e i modi e i tempi per arrivare a questo tipo d’accordo. È importante non perdere l’occasione della Conferenza ed è importante essere consapevoli che «dopo aver sollevato tante speranze, se non segue un messaggio concreto, c’è il rischio di creare delusioni». «E noi sappiamo quali guai la delusione possa determinare in una regione tormentata come il Medio Oriente», avverte il vicepremier. Il capo della diplomazia italiana ha anche ricordato che l’idea della Conferenza è «venuta da arabi ed europei. Ora è stata rilanciata da Bush e noi ne siamo contenti». L’incontro con la stampa al Cairo è servito al vice premier anche per chiarire quale è la sua idea di amicizia nei confronti di Israele e dei palestinesi. A fornirne l’occasione è un giornalista arabo che rileva come D’Alema abbia parlato della sicurezza di Israele nella conferenza stampa con Amr Moussa. «Quando parlo con gli arabi - è la risposta del titolare della Farnesina - parlo loro della sicurezza degli israeliani, quando parlo con Israele parlo dei diritti dei palestinesi. Perché quando si parla con gli amici non si cerca di compiacerli, ma si chiede loro qualcosa». D’altra parte, oggi D’Alema sarà in Israele per incontrare i leader dello Stato ebraico. «E state tranquillo - assicura - che parlerò loro con chiarezza dei diritti dei palestinesi. Chi mi conosce sa che sono una persona che da molti anni si batte per i diritti dei palestinesi». E la questione-Hamas vivrà anche a Roma. A sollevarla sarà il presidente israeliano Shimon Peres, per tre giorni in visita ufficiale in Italia. Oggi l’ottuagenario premio Nobel per la pace incontrerà a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio Romano Prodi. «Prodi ha precisato di essere stato frainteso. Comunque, parlare con Hamas è come parlare da soli. Un monologo, perché Hamas non risponde. Hamas è contro la pace e per il terrorismo», ha affermato ieri sera Peres in un’intervista al Tg1. «Da Gaza - aggiunge - ogni giorno vengono lanciati razzi su Israele. Eppure Da Gaza ci siamo ritirati. Allora perché sparano? Perché Hamas non vuole costruire uno Stato palestinese, vuole distruggere quello ebraico». Il presidente israeliano ringrazia l’Italia per la missione nel Sud del Libano, che definisce efficace: «Senza i caschi blu ci sarebbe un’altra guerra». E incoraggia Olmert e Abu Mazen che conducono trattative riservate sui nodi veri del conflitto. «Due leader - dice - che è ingiusto definire deboli».