Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La storia di Maria Aman bambina palestinese ferita in un'operazione antiterroristica, è stata curata in Israele. Per il ministero della Difesa dovrebbe ora tornare a Ramallah, ma i medici si oppongono
Testata: Corriere della Sera Data: 31 agosto 2007 Pagina: 13 Autore: Davide Frattini Titolo: «La bimba palestinese ferita in un raid I medici sfidano il governo: va curata qui»
Dal CORRIERE della SERA del 31 agosto 2007:
GERUSALEMME — Ogni mattina Maria si sveglia e smette di respirare. Cinquanta secondi. Il padre le stacca il tubo che entra nella gola, la prende in braccio, l'appoggia sulla sedia a rotelle, riattacca il tubo. Comincia un'altra giornata. Maria ha compiuto ieri sei anni, ha passato gli ultimi sedici mesi in un ospedale. E' paralizzata dal collo in giù, da quando un missile israeliano ha colpito l'auto su cui stava viaggiando con la famiglia a Gaza. La madre Naima, il fratellino di 7 anni e la nonna sono rimaste uccise. E' morto anche l'obiettivo dell'omicidio mirato, un leader della Jihad islamica. Gli Aman stavano passando vicino, era la prima gita sulla macchina nuova, comprata solo due ore prima. Hamdi, il padre, e un altro fratello (2 anni) sono rimasti illesi. E' il papà che ha seguito Maria da un ospedale all'altro. Dorme in una branda, non lascia mai la figlia, non esce dal cortile per paura di venire arrestato e rispedito nella Striscia. Il ministero della Difesa israeliano ha prima concesso il trasferimento di Maria in una struttura nel centro del Paese, poi ha sostenuto — «ragioni umanitarie » — le spese per la riabilitazione in un centro specialistico a Gerusalemme. Adesso il governo vuole mandarla via, perché considera finito il periodo di cure, e offre di pagare un appartamento in Cisgiordania. «E' meglio che venga seguita in una clinica palestinese, un ambiente più naturale per lei», hanno spiegato i portavoce militari. Il padre sta combattendo per impedire che venga spostata, ha presentato un appello alla Corte Suprema e ha trovato alleati nei medici del centro Alyn. «Da qui non si muove, fino a quando non saremo certi delle condizioni», commenta il direttore Shirley Meyer, alla Reuters. «Abbiamo parlato con l'ospedale a Ramallah e abbiamo capito che là non può ricevere le terapie di cui ha bisogno. La politica non mi interessa, il benessere dei miei pazienti sì». Gli specialisti israeliani ammettono che Maria ha concluso il periodo di riabilitazione. «Ma la questione fondamentale è: dove andrà a stare perché possa sopravvivere?». I giudici prenderanno una decisione alla fine di settembre. Il ministero della Difesa teme che si crei un precedente. Le leggi israeliane negano il risarcimento a quelle che vengono definite vittime delle «azioni di guerra». Gli omicidi mirati rientrano in questa categoria e Daniel Friedmann, ministro della Giustizia, ha sempre sostenuto che non ci sono basi legali per compensare i cittadini di un'entità con cui lo Stato ebraico è in conflitto. «La situazione di Maria è unica — dice l'avvocato Adi Lustigman —. Le ferite e i danni sono così gravi, oltre a quello che è successo alla famiglia. Il caso non può essere utilizzato da altri palestinesi per fare causa al governo e ottenere cure mediche in Israele per lunghi periodi». Il costo della riabilitazione fornita dall'Alyn è di 20 mila dollari al mese. Maria adesso sa usare un computer (muove il mouse con piccoli spostamenti del mento), una volta alla settimana i terapisti la portano in piscina per provare a migliorare i problemi respiratori. Con loro chiacchiera nell'ebraico che ha imparato in sedici mesi di ospedale. «Non le ho mai rivelato — ha raccontato il padre al settimanale Newsweek — chi sia stato a colpire la nostra auto. Come posso spiegarle che le persone che ci hanno distrutto sono le stesse che ci stanno aiutando ora?». Il ministero della Difesa ha offerto di sponsorizzare un periodo di tirocinio per il personale dell'ospedale a Ramallah. Gli avvocati obiettano che in Cisgiordania la famiglia non ha parenti e nessuno li potrebbe aiutare, se la struttura si dimostrasse insufficiente. Maria spera ancora di poter avere una vita normale. «Voglio cucinare per mio padre e mio fratello. Voglio vestirmi da sola, uscire e andare a scuola». Il papà è sempre vicino a lei. La imbocca, pulisce il tubo che la tiene in vita, le pettina i capelli. Le tinge le unghie di rosso, anche se sa che non potrà mai muovere le mani.
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