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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Llibero - Il Foglio - La Repubblica - L'Opinione Rassegna Stampa
07.08.2007 Dossier Iran
la pena di morte, la repressione contro curdi e omosessuali , il sostegno al terrorismo e... i "buoni affari" con l'Europa

Testata:Llibero - Il Foglio - La Repubblica - L'Opinione
Autore: Emanuele Ottolenghi - Giulio Meotti - Paola Coppola - un giornalista
Titolo: «L'Italia denuncia ma poi finanzia i boia di Teheran - La stretta capitale di Ahmadinejad sull’Iran e sui “più grandi infedeli”- Chiuso il giornale che difende i gay - Come l’Iran esporta il terrore»
Da LIBERO del 7 agosto 2007, un articolo di Emanuele Ottolenghi, direttore del Transatlantic Institute a Bruxelles
Una denuncia del tradimento dei propri principi da parte dell'Europa, nei rapporti con l'Iran: 


La recente ondata di esecuzioni pubbliche in Iran ha sollevato immediate proteste in Europa, compresa una dura condanna espressa venerdì scorso dalla presidenza portoghese. Non solo: l'aumento di esecuzioni ha provocato un piccolo battibecco diplomatico tra Farnesina e la repubblica islamica: attenendosi alla linea comune adottata dall'Unione Europea, l'Italia ha comunicato le proprie riserve e l'ambasciata iraniana ha protestato l'inammissibile ingerenza in affari interni. Le proteste sono naturalmente benvenute, ma tardive e modeste. Se i diritti umani in Iran stanno veramente a cuore all'Europa, i mezzi non mancano per dar peso politico alle condanne. Ma forse l'interesse economico europeo farà sì che queste cadano nel nulla. Il pubblico italiano merita d'essere informato appieno di due dati a nostro modesto avviso contraddittori. Il regime iraniano non ha mostrato alcun rispetto per i diritti umani dei propri cittadini e li viola in maniera sistematica e brutale da anni, non da ieri. L'Iran è al secondo posto, dietro la Cina, per il numero di sentenze capitali eseguite nel mondo. Dall'inizio dell'anno ci sono state oltre 120 esecuzioni e quattro lapidazioni - di cui 11 la settimana scorsa e 16 quella prima. I A queste si devono aggiungere le sparizioni di dozzine di oppositori - i desaparecidos iraniani. Tra le vittime, donne e uomini "adulteri" per cui la pena è la lapidazione. Ci sono altri reati di offesa della moralità religiosa che prevedono la morte - l'omosessualità per esempio, per impiccagione. l'Iran ha il più alto numero di minori e di donne al mondo cui è comminata la pena di morte. La repressione non si ferma all'esecuzione capitale per reati d'opinione e di offesa alla morale. Gli oppositori politici, i giornalisti, i sindacalisti e gli intellettuali sono regolarmente presi di mira, imprigionati e torturati. L'Iran ha recentemente arrestato due sindacalisti curdi, uno dei quali a seguito di un viaggio a Londra e Bruxelles per incontri con controparti europee. Esistono fondati sospetti di una sistematica politica di pulizia etnica nelle zone a minoranza non persiana - in particolare nella provincia del Khuzistan, dove il regime impedisce l'accesso a giornalisti dopo che proteste popolari due anni fa furono soffocate nel sangue. Per inciso, il regime espulse il corrispondente di alJazeera per aver riportato l'accaduto. E le violazioni non si limitano agli abusi dei cittadini iraniani - l'Iran ha recentemente arrestato e detiene alcuni cittadini stranieri, accusati di spionaggio, tra cui un'accademica americana di origine iraniana che era in visita alla madre ultranovantenne. La lista è lunga. Come se non bastasse, l'Iran sta continuando il suo progetto di acquisizione di armi nucleari, che rappresentano una minaccia strategica per l'Europa. Nonostante ciò, l'Europa rimane a tutt'oggi il primo partner commerciale di Teheran, con una quota del 41% delle importazioni iraniane dal re- sto del mondo. Per contro, lo share di esportazioni iraniane per l'Europa è il 24% del totale, facendo dell'Europa il primo mercato per i prodotti iraniani. Con il 5,64%, l'Italia è il secon- do esportatore europeo, preceduto da Germania (13,11%), e seguito da Gran Bretagna (4,86%) e Francia (4,8%). Le tre potenze europee incaricate di negoziare il contenzioso nucleare con l'Iran insomma sono contemporaneamente i suoi principali partner commerciali. In Germania per esempio 10mila posti di lavoro dipendono da contratti con l'Iran. In questa contraddizione tra interessi economici, geostrategici e morali, l'Europa degli affari vende all'Iran non solo beni di consumo, ma soprattutto quella tecnologia che permette al regime di rafforzare il proprio potere migliorando l'infrastruttura.Per l'Iran l'Europa fornisce i crediti bancari per costruire nuove superpetroliere, oltre che parte della loro tecnologia avanzata - tra cui motori finlandesi. Nel 2005 soltanto l'Europa ha venduto quasi 1 miliardo e 200 milioni di euro all'Iran in macchinario pesante industriale di vario genere - comprese macchine per la produzione di energia - e quasi 150 milioni di euro in prodotti chimici. Nello stesso giorno delle esecuzioni pubbliche a Teheran, due tonnellate equipaggiamento meccanico destinate all'industria nucleare iraniana per il valore di mezzo milione di euro sono state bloccate dalla polizia svizzera. Il commercio è talmente propizio che se solo l'Europa interrompesse la fornitura di pezzi di ricambio all'industria iraniana potrebbe mettere in ginocchio il regime, tanta è la dipendenza iraniana dal commercio con l'Europa. Sarebbe dunque ora che l'Europa desse la precedenza ai principi e non al tornaconto, usando i nostri rapporti commerciali come arma di pressione su Teheran. E questo vale specialmente per l'Italia, visti i suoi fitti rapporti con un regime che rappresenta una minaccia per la regione, per l'Europa, e per i suoi stessi cittadini.

Un articolo di Giulio Meotti, dal FOGLIO. Incentrato sulla repressione anticurda:

Nei giorni in cui i curdi iracheni ricordano la strage degli ottomila membri della tribù Barzaniya, sepolta viva dai sicari di Saddam Hussein nel sud dell’Iraq, i curdi iraniani assistevano all’impiccagione di due due dei loro giornalisti, Adnan Hassanpour e Abdolvadeh Botimar. Erano accusati di “moharebeh”, la formula generica con cui si indicano i reati dei “nemici di Allah”. Il giorno dopo la stessa sorta è toccata ad altri tre nel Beluchistan. L’esule iraniano Amir Taheri sul Wall Street Journal scrive che stiamo assistendo al più grande salasso dal 1984, quando l’ayatollah Khomeini ordinò il massacro di migliaia di dissidenti, molti dei quali anche allora curdi. La stretta mortuaria del regime di Teheran ha raggiunto livelli eclatanti, quasi messianici. In un mese e mezzo sono state eseguite 118 esecuzioni. Altre 150 persone attendono il cappio. La maggior parte si trova in quelle prigioni, fra cui la tristemente nota Evin, da cui sono passati, e spesso mai usciti, accademici e dissidenti come Iraj Jamshid, Akbar Ganji, Hassan Eshkevari, Hossein Ghazian, Siamak Pourzand, Taghi Rahmani e Alireza Armadi. Il regime sta colpendo duro sulle organizzazioni sindacali e studentesche, nonché sugli ulema che si oppongono alla visione “usciuli”, la scuola che a Khomeini ha ispirato quella Costituzione in cui il potere di Allah è gestito da un giureconsulto. 430 mila persone sono state arrestate da aprile con l’accusa di possesso di droga. Altre 4.209 sono state incarcerate per “hooliganismo” solo a Teheran. Ben 20.363 sono in prigione accusate di aver violato il codice shariaco approvato dal Parlamento nel maggio 2006. Ben 6.204 fra uomini e donne languono in galera con l’accusa di “promiscuità sessuale”. Secondo i dati diffusi da Rajab Ali Shahsavari, a capo della Union for Contractual Workers, 25.795 persone hanno perso il lavoro da aprile per aver preso parte a manifestazioni in cui si chiedevano maggiori diritti. Il ministero per l’Orientamento islamico ha poi redatto una blacklist di libri da bandire lunga il doppio rispetto a un anno fa e voluta dal presidente Mahmoud Ahmadinejad per purgare il paese dal “trash infedele” e dagli “argomenti sionisti-crociati” sull’Olocausto. Secondo Carlo Panella, che sull’Iran ha scritto “Fascismo islamico” (Rizzoli), “la cosa più sconvolgente sono le 150 esecuzioni dall’inizio dell’anno, la maggior parte per reati di tipo etico-sociale. E’ assordante il silenzio delle organizzazioni omosessuali per i tanti gay impiccati in Iran. Gli iraniani da sempre scelgono la forma di morte più dolorosa, un’agonia che dura molti minuti. Dov’è quella stessa indignazione che vedemmo per Saddam Hussein?”. Un nuovo libro di Kerim Yildiz, “The Kurds in Iran: The Past, Present and Future”, racconta il jihad rivoluzionario scatenato dall’ayatollah Khomeini contro i curdi. Un popolo di nove milioni di musulmani perseguitati dai guardiani della rivoluzione islamica. Oppressi dal tallone khomeinista, i curdi sono oggi repressi da Ahmadinejad. I loro giornalisti vengono assassinati, come Hassanpour e Botimar, se va bene sono costretti al silenzio. La gioventù curda è progressivamente assimilata e il clero è privato delle moschee sunnite bandite da Teheran. I siti Internet curdi sono oscurati e i molti organi di informazione curda, come il quotidiano Achti e il settimanale Assou, sono stati chiusi per ordine delle corti di Sanandaj. Si è arrivati al bando del curdo come lingua di insegnamento in scuole e università. Khomeini, che nel 1979 bombardò i loro villaggi e ne sterminò a migliaia, era solito chiamare i curdi “i più grandi infedeli”, “coloro che credono in Omar e infliggono ingiustizie su Fatima”, la figlia del Profeta. Una di quelle stragi fu immortalata da Jahangir Razmi, il coraggioso premio Pulitzer che fotografò l’esecuzione di undici prigionieri curdi a Sanandaj. Paris Match la riprese pubblicandola sotto il titolo “Les Kurdes, sous les balles d’Allah”. Molto poco è cambiato da allora per i curdi in Iran. Giulio Meotti

Un articolo di Paola Coppola sulla chiusura di un giornale riformista, per l'intervista a una poetessa omosessuale:

Un´intervista a una poetessa omosessuale scatena la censura del regime iraniano. E diventa l´occasione per un nuovo attacco alla stampa riformista. Per la seconda volta è stata sospesa la pubblicazione del quotidiano Sharq (Est) accusato di aver pubblicato «un´intervista a una figura controrivoluzionaria conosciuta per la sua promozione di argomenti immorali contro la pubblica decenza».
Questo rappresenta la poetessa Saqi Qahreman per il viceministro della Cultura e dell´orientamento islamico responsabile per gli affari della stampa, Ali Reza Melkian. La colpa di questa iraniana esule in Canada è di aver rilasciato sabato scorso un´intervista dal titolo "Linguaggio femminista" alla pagina culturale del quotidiano. «È nota per promuovere la depravazione sul suo sito», ha aggiunto all´agenzia Irna Melkian spiegando che le autorità di Teheran stanno esaminando l´articolo e si riservano di decidere se il giornale è solo sospeso o se verrà chiuso.
Nell´intervista la Qahreman si guarda bene dall´affrontare il tema dell´omosessualità, anche se su Internet anima il sito "Ceraq", che significa "Lampada", dedicato a gay e lesbiche. Tanto basta, ieri il quotidiano Keyhan, vicino ai conservatori, alimentava la caccia alla strega accusando la signora di essere «a capo dell´organizzazione degli omosessuali iraniani» e di essere un agente al soldo della Cia insieme al fratello Sasan. Accusava poi Sharq di aver dato voce a una dissidente. L´omosessualità è vietata nel regime degli ayatollah e in base alla legge islamica è punita con la pena capitale. Per la stampa è uno dei tanti temi-tabù.
Le prime reazioni contro l´intervista sono arrivate dai lettori, e Sharq ha cercato di fare marcia indietro con una lettera di scuse in prima pagina. Poi il direttore del giornale, Mehdi Rahmanian, si è difeso dicendo «abbiamo pubblicato l´intervista a una scrittrice espatriata. Non sapevamo della sua omosessualità. L´abbiamo intervistata perché è una poetessa». Troppo tardi. La macchina della censura si era già messa in moto ed è scattato l´ordine di chiusura notificato al giornale dal Consiglio per la supervisione della stampa. È solo un pretesto per far tacere una voce scomoda, secondo l´avvocato di Sharq: la linea di Mohammad Alizadeh Tabatabai è che «un´intervista di questo genere non può essere una ragione sufficiente per chiudere un giornale».
Il quotidiano, uno dei più critici nei confronti di Ahmadinejad, era tornato in edicola a maggio scorso, dopo una sospensione di nove mesi a causa di una vignetta sul presidente considerata offensiva. La nuova chiusura è la prova che quest´estate basta davvero poco per scatenare la repressione del regime: a luglio la censura ha colpito altri due organi vicini ai riformisti, il quotidiano Ham Mihan e l´agenzia Ilna, mentre è stata definitivamente annullata la licenza di pubblicazione del riformista Mosharekat, l´organo ufficiale del Fronte di partecipazione.

Da L'OPINIONE una denuncia sulle attività terroristiche del regime iraniano all'estero:

L’Iran non vuole ingerenze nella sua politica interna e quindi lancia anatemi, anzi fatwe, contro chi come l’Italia osa timidamente criticare la dittatura degli ayatollah per la disinvoltura con cui applica la pena di morte e altre crudeli punizioni come il taglio delle mani e la lapidazione. Però ha messo su delle vere e proprie squadre di assassini incaricate di eseguire anche all’estero gli omicidi propositi di Mahmoud Ahmadinejad e della sua cricca criminale. Provocando ormai reazioni disperate persino da parte di uomini di regime un po’ meno beceri, come Yousef Sanei, uno dei Grandi Ayatollah iraniani noto per le sue posizioni non integraliste, che proprio ieri invitava i legislatori ad approvare una legge che indichi nei diciotto anni l'età minima di un condannato a morte. L'Ayatollah Sanei ha persino affermato che in assenza del Mahdi (il dodicesimo Imam sciita atteso dai fedeli) non è consigliabile emettere sentenze di lapidazione, di taglio delle mani e nemmeno dichiarare qualcuno mohareb, o nemico di Allah.

C’è chi ha visto in questa vera e propria “contro fatwa” un tentativo disperato di mediare per la sorte dei due giornalisti curdi Hiwa Boutimar e Adnan Hasanpour, che sono stati condannati lo scorso 17 luglio. Per fortuna invece che qualche passo per fare conoscere quali siano le ingerenze iraniane nella politica degli altri paesi lo ha fatto la resistenza in esilio, nella persona di Mahmoud Hakamian che ha compilato un dossier poi spedito a Human Rights Watch e riportato online dal blogger secondoprotocollo.org. In esso sono contenute le attività dei terroristi iraniani all’estero addestrati dal ministero delle informazioni. Hanno anche un nome, si chiamano “forza Qods”, nome iraniano di Gerusalemme. Secondo Hakamian “il regime iraniano ha realizzato diversi organi per esportare l'integralismo: l'organizzazione della cultura e della comunicazione islamica, Assemblea internazionale di Ahl Al-Beit, Assemblea delle sette islamiche associate, i consulenti culturali, diverse fondazioni, ecc... Una delle missioni principali di questi organi è di reclutare e scegliere uomini e presentarli alla forza Qods o al ministero delle informazioni dopo aver fatto loro passare un addestramento preliminare e delle verifiche di sicurezza”.

Inoltre “Il servizio di formazione della forza Qods è responsabile della istruzione ideologica, politica e militare, nonché della ripartizione degli elementi nei gruppi terroristici. Così, il servizio di formazione della Qods è una delle sezioni più attive e più pericolose della forza”. Molto inquietante il capitolo sui siti ove tali addestramenti avvengono: “oltre ad alcuni centri in Iran, il servizio di formazione ha creato centri d'addestramento supplementari in altri paesi, come in Sudan, in Libano ed in Bosnia”. Tutto però è centralizzato a livello governativo: “al ministero delle informazioni, la sezione di formazione è incaricata dell'addestramento e dell'assunzione di forze non iraniane: questa sezione è chiamata Tadjik; il ministero delle informazioni e la forza Qods operano in cooperazione con il ministero degli esteri per trasferire clandestinamente le reclute dentro e fuori dall'Iran”. “Molti – spiega il dissidente autore del dossier - entrano in Iran passando per altri paesi con passaporti consegnati dal regime, lasciano anche il paese con gli stessi passaporti a destinazione di paesi terzi, cambiano i loro passaporti e partono per i paesi in cui sono localizzati i loro obiettivi”.

Dell’Iran i più recenti rapporti dell’intelligence israeliana dicono che possa essere persino diventato il vero rifugio dei capi di Al Qaeda: Bin Laden, se ancora è vivo, e certamente Ayman al Zawayri. E il fatto che si tratti di odiati sunniti non sarebbe più un ostacolo nel quadro del comune odio contro l’Occidente e Israele. Il servizio di formazione della forza Qods sarebbe situato nella caserma Imam Ali, a Teheran e dal 1997 il suo capo sarebbe il temibile Ali Nozari. Secondo Hakamian, “una norma strettamente osservata nel campo è la conservazione dei segreti ed il controllo dell'informazione”. Secondo gli esperti il fatto che nelle scorse settimane, sempre grazie agli uomini della resistenza anti ayatollah, siano uscite queste informazioni, sarebbe segno inequivocabile che il regime di Ahmadinejad potrebbe avere i mesi contati, se non i giorni, e che una sapiente opera diplomatica fatta di bastone e carota (ossia inasprimento effettivo delle sanzioni e aperture al dialogo sotto condizione) potrebbe metterlo definitivamente al tappeto.

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