Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Ebrei, eterno capro espiatorio rassegna di commenti alle dichiarazioni di don Gelmini
Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Autore: Pierlugi Battista - Mario Porqueddu - un giornalista - Paolo Griseri Titolo: «L'etrno capo espiatorio - Gattegna: frasi offensive, dimostra scarsa lucidità -»
Dalla prima pagina del CORRIERE della SERA del 6 agosto 2007, un commento di Pierlugi Battista sulle dichiarazioni di Don Gelmini e sulla successiva , insoddisfacente, smentita. Ecco il testo:
Il deposito dei pregiudizi atavici e delle stupidaggini tramandate deve essere davvero stipato se ogni volta che affiora una qualche sindrome paranoica, si va sempre a finire, ineluttabilmente, nell'ossessione del complotto «ebraico». Don Gelmini dice di essersi sbagliato, che voleva denunciare l'orchestrazione ai propri danni per opera dei massoni e non certo degli ebrei. Ecco, appunto: l'inconscio aveva detto «ebrei». E la rettifica non può rettificare l'inconscio. Al massimo può mettere in luce l'amnesia storica di don Gelmini, che sorvola sulla circostanza che molte, troppe volte, i presunti «complotti massonici» sono stati fantasticati come complementari a quelli «ebraici» (e «plutocratici», e così via). Don Gelmini è un uomo sotto stress, comprensibilmente sconvolto da un'accusa di cui si stenta ad accreditare la fondatezza. Ma è proprio sotto pressione, quando il mondo intero appare come nemico e infido, che le parole vengono espulse senza filtri critici, senza la sorveglianza della coscienza vigilante. In questi momenti viene alla luce il fondo oscuro delle ovvietà che hanno il sapore delle superstizioni. E nessuna superstizione sembra avere storicamente e nella psicologia collettiva la forza, la suggestione coriacea, l'inscalfibile pesantezza della chiacchiera antisemita, lo stereotipo dell'ebreo che cospira, trama nell'ombra, si presta ai più diabolici disegni mirati alla distruzione del bene e del giusto. Attraverso l'ira (poi rettificata) di don Gelmini parla la storia di un bersaglio sociale, gli ebrei, che ha assunto, sulla base di quella superstizione, il volto del capro espiatorio, la causa di ogni nefandezza e in particolare di ogni nefandezza cospiratoria. Un transfert inconsapevole che assume le forme più diverse e le ideologie più disparate ma che resta identico nei suoi meccanismi fondamentali. Parlava così l'antigiudaismo che portò ai pogrom e all'elaborazione di quel fantastico concentrato di paranoica antiebraica racchiuso nei «Protocolli dei Savi anziani di Sion». Parlava così la furia antiebraica nazista e il suo scimmiottamento fascista (che unificava in un unico paradigma cospirazionista ebrei e massoni, malgrado ogni rettifica). Parla così l'odio antiebraico che ha preso dimora nel fondamentalismo islamista ma che contagia anche le manie di chi ricostruisce l'11 settembre in un delirio complottista in cui gli ebrei (stavolta i «sionisti») avrebbero avuto parte decisiva e nefasta. Paragonare la clamorosa gaffe di don Gelmini a questi precedenti storici sarebbe grottesco e ingeneroso, ovviamente. Ma è l'automatismo verbale che spaventa. È quel minestrone di luoghi comuni, tic mentali, reazioni psichiche elementari, conformismi lessicali che è riemerso da quel magazzino di frasi fatte da cui ha attinto un uomo schiacciato da una pressione giudiziaria e mediatica terribile. Una sedimentazione malmostosa e limacciosa che ancora sopravvive nei modi di dire e nelle espressioni inconsapevoli. Un campionario di banalità. Che però sono sempre le stesse banalità. Un fantasma che riprende sempre le stesse fattezze, lo stesso nome, le stesse parole. Perciò gli amici di don Gelmini, che vogliono bene e sono solidali con lui in questo momento così orribile, non lo difendano anche quando il loro amico è indifendibile. Perché di «complotto ebraico» non si parli mai più. Neanche negli scherzi dell'inconscio.
A pagina 10, un intervista a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane:
MILANO — «La prima dichiarazione di don Gelmini ha qualcosa di paradossale. Oltre a essere offensiva è molto grave, in quanto sintomo di un pregiudizio anti- ebraico». Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, commenta da Israele l'uscita di don Gelmini. E anche dopo che il prete indagato a Terni si è prodotto in scuse e rettifiche continua a non capire bene che cosa volesse dire. Così prima diffonde un comunicato dove spiega di aver «appreso con stupore» delle sue dichiarazioni, le definisce «grossolane falsità» e si dice «preoccupato» per il «ricorso a un argomento inesistente e sconvolgente, usato in passato da persone affette da pregiudizi e in mala fede». Poi l'avvocato Gattegna precisa: «Io credo che sia la sua prima frase, sia la seconda (su una loggia massonica radical-chic ndr), dimostrino scarsa lucidità». In che senso? «Non è un modo per difendersi dalle accuse mettersi a parlare di complotti senza spiegare che cosa si intende. In più, facendo riferimento a una presunta lobby ebraica. Che in realtà non c'è». Ma in Italia resiste davvero il pregiudizio del complotto ordito dagli ebrei? «Io spero che quel pregiudizio non ci sia più, che questo episodio sia stato soltanto un infortunio. Per questo mi auguro che don Gelmini possa fare chiarezza e spiegare meglio le sue idee e che cosa in realtà è accaduto». Forse adesso ha altro a cui pensare... «Certo. Ma dovrebbe comunque fare ammenda e porgere le sue scuse in modo ben chiaro e motivato nei confronti degli ebrei». Lei crede che quelle parole possano essere lette come un segnale di luoghi comuni ancora attivi nell'immaginario italiano? «Io per prima cosa vorrei chiarire che in Italia gli ebrei fanno tutti gli sforzi possibili per difendere la loro dignità e che quindi il solo parlare di lobby ebraica non ha senso. Quella lobby non esiste: esiste solo il popolo ebraico, esistono i cittadini ebrei che pretendono rispetto da parte di tutti come d'altra parte lo offrono a tutti quelli che sono disposti a dialogare in modo aperto». La chiesa di Roma il dialogo l'ha avviato tempo fa... «Il clima dei rapporti fra gli ebrei e la chiesa è molto cambiato. C'è dialogo, ed è un dialogo costruttivo. Dal Concilio Vaticano II in avanti la chiesa ha cercato di eliminare questi luoghi comuni, che fanno danni. Perciò è spiacevole quando tornano fuori: soprattutto da parte di un prete che ha dedicato la vita al recupero dei tossicodipendenti, e che quindi dovrebbe avere sensibilità e cultura».
A pagina 8 della STAMPA , un'intervista a Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma:
Rabbino Riccardo Di Segni, lei è il capo della Comunità Ebraica di Roma. Qual è la sua posizione rispetto alle accuse di Don Gelmini agli ebrei? «Le sue dichiarazioni le ho trovate allucinanti. Ho pensato che se non le avesse ritrattate immediatamente ci sarebbe stato un buon motivo per chiedere una denuncia per istigazione all'odio razziale, e per chiedere una multa salata da devolvere totalmente a favore dei centri di recupero. Ma questa volta non al suo». Don Gelmini si è corretto, in un secondo momento, sostenendo che in realtà voleva intendere una loggia “massonica-radical chic"». «Prendo atto della sua goffa rettifica. E mi auguro solo che in futuro ci stia più attento. La frase che ha detto non tornava né ad onor suo, né a quello della veste che porta. Considero con molta stima le persone che fanno il tipo di lavoro di Don Gelmini. Alcuni di loro li conosco personalmente, con alcuni collaboro, e conosco le difficoltà che si incontrano facendo questo genere di attività. Sono ovviamente contento che abbia precisato, ma tutto questo mi suona un po’ goffo se non patetico e decisamente allarmante, perchè nasconde un pensiero che evoca fantasmi di congiure ebraiche che è ben lontano dall’essere cancellato e che riaffiora alla prima occasione». E sulla vicenda dei presunti abusi? «Sono portato a dire che sia una montatura. Credo che questo pasticcio giudiziario faccia parte di una delle difficoltà che si incontrano in questo lavoro. Questi sono argomenti che devono essere trattati dagli inquirenti e con la massima discrezione, per non gettare fango sulle persone».
A pagina 14 della REPUBBLICA, un'intervista ad Alain Elkann:
TORINO - «Con le parole bisogna fare molta attenzione. Mi indigna leggere sui giornali del 2007 espressioni che speravamo superate dalla coscienza civile. Per questo sarebbe molto opportuno che tutti, a cominciare dalla parte politica che difende questo signore, prendessero le distanze da quelle espressioni». Alain Elkann non si capacita delle dichiarazioni di don Gelmini sul «complotto della lobby ebraica e radical chic contro la chiesa cattolica». Signor Elkann, che cosa l´ha ferita in quelle espressioni? «Il pregiudizio che le anima e che, evidentemente, vive ancora nella nostra società». Don Gelmini, successivamente, ha ritrattato... «E ha spiegato che non voleva riferirsi agli ebrei ma alla massoneria. Vede che le parole sono pietre? Il pregiudizio contro "i circoli pluto-giudaico-massonici" arriva diritto dalla propaganda del fascismo e del nazismo». Quel pregiudizio lavora anche nella chiesa cattolica? «Ho dedicato larga parte della mia attività di scrittore a gettare ponti tra le religioni. Ho scritto libri con cattolici e con musulmani moderati, ho molti amici tra chi professa quelle fedi. Il gesto di papa Giovanni Paolo II che incontra il rabbino Elio Toaff nella sinagoga di Roma è un segno indelebile nella storia. E anche le posizioni dell´attuale papa sono in quella direzione che è l´esatto contrario del pregiudizio anti-ebraico». Come fare allora a sradicare il pregiudizio? «Isolando l´ignoranza e la paura che ne costituiscono la radice. Per questo mi colpisce che certe espressioni arrivino da una persona che ha studiato e che conosce il peso delle parole». Don Gelmini è una figura che ha ricevuto molta solidarietà in queste ore, a partire da Berlusconi e dai politici di centrodestra... «Non voglio entrare nel merito della vicenda giudiziaria: per me è una persona innocente fino a prova del contrario. Ma l´atteggiamento un po´ superficiale che certe volte caratterizza il nostro dibattito pubblico non può lasciar passare sotto silenzio la gravità di quelle parole. Per questo è opportuno che tutti, a partire dalla parte politica che lo difende, denuncino quella gravità, prendano pubblicamente le distanze, rompano legami di amicizia con chi si lascia andare a frasi di quel genere. A destra e a sinistra ci sono persone perbene che non credo possano accettarle». Questa presa di distanza potrebbe servire a sradicare il pregiudizio? «Il peso delle parole e dei simboli è grande. Due anni fa qualcuno tracciò una svastica sul muro della mia casa romana. La svastica è stata cancellata ma è rimasto un alone che si vede anche oggi. Il danno dei pregiudizi resiste nel tempo».