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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Il Riformista Rassegna Stampa
02.08.2007 Fanno il tifo contro gli americani in Iraq
non informazione

Testata:La Repubblica - Il Riformista
Autore: Pietro del Re - Mario Calabresi - Paolo Soldini
Titolo: «Iraq, una strage senza fine - Ma Cheney è ottimista:»
Campagna delle REPUBBLICA per neutralizzare l'effetto dei dati positivi provenienti dall'Iraq,  ignorati sulle pagine del quotidiano.
L'articolo di Pietro del Re, a pagina  10,
presenta i dati delle vittime civili a luglio, confrontandoli con quelli di giugno e febbraio e constatando un aumento.
Il dato della dimunizione del numero complessivo dei morti da maggio ad oggi, invece,  non viene preso in considerazione.
Ecco l'articolo:


Agosto è cominciato con una strage, l´ennesima, per le strade di Bagdad. Un´autocisterna carica di carburante è esplosa contro una pompa di benzina: cinquanta morti. Poco dopo, un kamikaze ha ucciso ancora, di fronte a una celebre gelateria: venti morti. Nel pomeriggio, un terzo terrorista si è fatto saltare in aria in un centro commerciale: tre morti. Passano i mesi, ma nulla cambia per gli iracheni. Se possibile, la loro situazione continua a peggiorare. Secondo i dati forniti dal ministero della Salute e della Difesa, soltanto a luglio le bombe hanno trucidato 1.652 civili. Un record mai raggiunto prima d´ora, con un aumento del 33 per cento rispetto al pur sanguinosissimo mese di giugno, quando si contarono 1.241 morti. Il macabro bilancio raggiunto a luglio ha battuto persino quello di febbraio: 1.626 morti, una cifra che spinse la Casa Bianca a rafforzare il proprio contingente, nella speranza di arginare le violenze inter-religiose. Tra questi dati raccapriccianti c´è un unico dato positivo: il numero dei poliziotti iracheni uccisi è diminuito del 24,6 per cento nel mese di luglio (144 morti), dopo una forte progressione nel mese precedente (191).
Ieri, intanto, con la decisione da parte della prima coalizione sunnita, il Fronte per la concordia nazionale, di ritirare il suo vicepremier e cinque ministri dal governo, si è aperta una grave crisi politica. Uno schiaffo al premier Al Maliki e ai suoi tentativi di riconciliazione nazionale, che i sunniti hanno sferrato a freddo, accusando il governo degli arresti e delle detenzioni arbitrarie di cittadini appartenenti alla loro fazione e, soprattutto, di non aver saputo disarmare le milizie sciite. Esponenti del Fronte per la concordia nazionale hanno tuttavia lasciato intendere di essere disposti a riconsiderare il ritiro, a condizione che le loro richieste siano finalmente prese in considerazione.
L´ultimo viaggio in Medio Oriente del segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, potrebbe invece risolvere un´annosa crisi diplomatica tra Bagdad e Riad. Ieri, il ministro degli Esteri saudita, Saud al Faisal, ha annunciato che invierà una missione di esperti per valutare la possibilità di riaprire la propria ambasciata nella capitale irachena. Le relazioni tra i due paesi, interrotte nel dicembre 1990, all´indomani della prima Guerra del Golfo, sono riprese tre anni fa, ma l´ambasciata irachena in Arabia saudita è stata riaperta solo nel febbraio scorso, mentre quella del regno wahabita è rimasta chiusa per ragioni di sicurezza.
Sempre ieri, Benedetto XVI si è detto commosso dalla gioia degli iracheni che domenica scorsa si sono riversati nelle strade per festeggiare la loro nazionale di calcio, vincitrice della Coppa d´Asia. «Come tante volte ho pianto con gli Iracheni, in questa circostanza con loro gioisco», ha detto il Papa. «Sono rimasto felicemente impressionato dall´entusiasmo che ha contagiato tutti gli abitanti, sciiti, sunniti e curdi, spingendoli a festeggiare l´evento». Il pontefice ha poi espresso "preoccupazione" per i cristiani in Iraq e "solidarietà" a quanti di loro decidono di non abbandonare il Paese, nonostante i pericoli che devono affrontare.

A pagina 11 l'articolo di Mario Calabresi "Ma Cheney è ottimista: "Va molto meglio" ". Affiancato all'altro suscita l'impressione di un completo divorzio dalla realtà da parte dell'amministrazione Bush.
Il fatto che un articolo che esprimeva valutazioni analoghe a quelle di Cheney, scritto da due analisti liberal, sia stato pubblicato dal New York Times, ostile a Bush e alla guerra in Iraq, non viene menzionato.
Ecco il testo:

Washington - La situazione in Iraq sta migliorando, la strategia del generale Petraeus sta funzionando e a breve sarà chiaro che l´esercito americano sta ottenendo progressi significativi. Parola di Dick Cheney. Negli ultimi giorni il vicepresidente americano è partito all´offensiva: un attacco totale contro i critici della Casa Bianca, i democratici, i giornali e l´ex vice di Carter, Walter Mondale, che in un articolo sul Washington Post (pubblicato qui sotto) ha sottolineato l´irrituale ruolo che Cheney si è ritagliato. Con due interviste, una radiofonica alla Cbs e l´altra televisiva con Larry King su Cnn, il vice di Bush ha sostenuto la strategia in Iraq e ribadito che la guerra è stata una decisione «giusta e sensata»; ha confermato il suo no alla chiusura di Guantanamo, definendo il carcere ospitato nella base cubana «una necessità»; ha spiegato che non ci sono mai state torture, ma solo l´autorizzazione ad usare «tecniche d´interrogatorio rinforzate» con i presunti terroristi arrestati; ha dato la sua benedizione alla fornitura di nuove armi ai sauditi che sono «grandi amici e alleati degli Stati Uniti»; ha difeso a spada tratta il ministro della Giustizia Gonzales dalle richieste di dimissioni dei democratici, e ha sostenuto che il consigliere di Bush Karl Rove non deve andare a testimoniare davanti al Congresso nel caso dei procuratori licenziati perché sgraditi alla Casa Bianca.
Mentre George Bush da giorni non commenta gli avvenimenti iracheni, chiedendo di aspettare con pazienza il rapporto del generale Petraeus e dell´ambasciatore a Bagdad Crocker, previsto per metà settembre, rinviando qualunque valutazione alla fine dell´estate, Dick Cheney ha rotto gli indugi e ha dettato la linea: «Abbiamo fatto la cosa giusta ad andare in guerra e credo fermamente che le decisioni che abbiamo preso in Iraq e Afghanistan siano state assolutamente sensate rispetto alla strategia complessiva». Dopo aver ammesso di essersi sbagliato, quando nel maggio del 2005 affermò che «la guerriglia in Iraq era agli ultimi spasimi», ora si mostra sicuro che «l´aumento delle truppe voluto da Bush a gennaio sta portando a significativi progressi proprio in questo momento: i rapporti che ho avuto modo di ascoltare da persone di cui mi fido indicano che il piano di Petraeus sta producendo i risultati sperati». Non nasconde il suo fastidio per il fatto che il Parlamento iracheno sia andato in vacanza per tutto agosto senza aver approvato la fondamentale legge che divide tra le etnie i proventi del petrolio, ma racconta che è dovuto intervenire per evitare «che i mesi di vacanza fossero due, come era stato programmato».
Cheney non pensa assolutamente che il carcere di Guantanamo vada chiuso «perché c´è bisogno di un luogo dove tenere la gente come Khalid Sheikh Mohammed, la mente degli attentati dell´11 settembre, e le centinaia di persone come lui». E nega il ricorso alla tortura, più volte denunciato, tanto da spingere Bush a varare un nuovo codice di comportamento per la Cia: «Sosteniamo però la possibilità che certe agenzie del governo possano usare tecniche di interrogatorio "rinforzate" e abbiamo l´autorizzazione del Congresso per farlo». A questo punto l´intervistatore gli ha chiesto cosa significasse «rinforzate», e lui ha risposto: «Non possiamo discutere le tecniche nello specifico, perché l´ultima cosa che vorremmo è dare ai nostri avversari la possibilità di addestrarsi e prepararsi a resistere ai nostri metodi».
Infine ha risposto ruvidamente alle critiche di Mondale: «Beh, penso che Walter non sappia o non capisca o abbia scelto di non capire come io mi muovo. Non è come dice lui: il mio lavoro è stare al servizio del Presidente. Ho uno staff che lavora per me e sono attivamente coinvolto nel portare avanti l´agenda, ma non sono un freelance. Devo rendere conto a Bush, che è il mio capo. Non sono particolarmente sorpreso per questo attacco: siamo sempre stati politicamente in disaccordo e lui ha fatto parte dell´amministrazione Carter, che francamente è stata una delle meno efficaci della storia recente».

Nemmeno Paolo Soldini sul RIFORMISTA cita il New York Times, nella sua polemica con Il FOGLIO per gli articoli sulla possibilità di una vittoria in Iraq.
Disinformando i suoi lettori, Il RIFORMISTA , deforma le argomentazioni del FOGLIO , la politica dei  baathisti  prima della caduta di Saddam con quella attuata nell'Iraq attuale, gli sciiti iracheni con il regime sciita in Iran, al Sistani con Moqtada Sadr.
Ecco il testo:

Il Foglio ci comunica che gli Stati Uniti stanno vincendo la guerra in Iraq. E sapete perché stanno vincendo? 1) Perché i «feroci estremisti del partito Baath, braccio armato del Movimento per la resistenza islamica» si sarebbero riconciliati «con il governo legittimo di Baghdad» e con la «Coalizione» che condivide il loro obiettivo di «eliminare al-Qaida». 2) Perché gli sciiti, «sotto la saggia guida dell'ayatollah al-Sistani» (Il Foglio usa proprio l'espressione «saggia guida», come faceva il Neues Deutschland ai tempi di Ulbricht), hanno cambiato fronte e sono passati, esattamente come i baathisti ex ferocissimi, dalla parte della «tribù degli Al-Ameriki, gli americani», i quali «hanno provato di essere lo schieramento più affidabile».
Così apprendiamo dal Foglio due notizie: la prima è che i baathisti sono nemici dei terroristi di al-Qaida. Noi, in realtà, lo sapevamo già che il dittatore iracheno aveva molte e gravissime colpe ma non quella di appoggiare i jihadisti del fondamentalismo islamico, che anzi vedeva come un pericolo per il proprio regime. E però non furono proprio George W. Bush e, nel suo piccolo (absit iniuria verbis), Giuliano Ferrara a spiegarci invece che bisognava andare in Iraq a fare la guerra ai baathisti di Saddam perché loro erano i terroristi e gli amici dei terroristi?

I legami tra Al Qaeda e il regime di Saddam esistevano. e per un lungo periodo i baathisti hanno continuato ad essere alleati di Al Qaeda. E' per questo che l'attuale cambiamento di fronte è importante.

La seconda notizia è che gli sciiti sono diventati buoni. Non sono più, evidentemente, il braccio armato dell'Iran, ma - garantisce la nuova stella polare mediorientale del Foglio, il comandante della Forza Multinazionale in Iraq David Petraeus - teneri agnellini amanti della pace e della convivenza. Ottima cosa, ma allora perché, come leggiamo sugli altri giornali (e anche sul Foglio, ma non ieri), l'amministrazione Bush sta riempiendo di dollari e armi americane tutti gli stati della regione potenzialmente nemici di Teheran con l'obiettivo, dichiarato apertis verbis in un vertice appositamente convocato in Egitto dal ministro della Difesa Robert Gates e dal Segretario di Stato Condoleezza Rice, di «isolare» e mettere con le spalle al muro l'Iran, accusato, oltre che di proseguire nei suoi piani nucleari, di «appoggiare il terrorismo» in tutta l'area, a cominciare, va da sé, dall'Iraq?

Cosa c'entra l'Iran con Al Sistani, che sostiene che il governo degli ayatollah è illegittimo?
Di quali sciiti parla Soldini ? Di quelli che seguono al Sistani o di quelli che seguono Moqtada Sadr ?

Sbaglia Petraeus, e gli sciiti non sono diventati poi così buoni, o sbagliano Gates e Condi Rice? Oppure è al giornale di Ferrara che hanno le idee tanto confuse da non essersi neppure accorti che mentre loro attribuivano ai sunniti il buon proposito di riavvicinarsi al «governo legittimo di Baghdad», il partito dei sunniti (quelli veri che stanno in Iraq, non quelli che popolano le fantasiose pagine del Foglio) annunciava di ritirarsi dallo stesso governo? Scegliete voi la risposta.


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