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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Avvenire - L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
26.07.2007 La generosa Lega araba e l'intransigente Israele
è la favola raccontata da tre quotidiani

Testata:Avvenire - L'Unità - Il Manifesto
Autore: Luca Geronico - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio
Titolo: «LA LEGA ARABA «TENDE LA MANO» A ISRAELE - Olmert rilancia: pronto a un accordo su due Stati - Olmert offre le briciole della Palestina»

Secondo AVVENIRE è la Lega araba che, ribadendo rigide condizioni ("ritiro nei confini del 1967, la costituzione di uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme est e un accordo sui profughi." )
per "riconoscere" Israele, tende ad essa la mano.
Non è Israele che tende la mano ad Abu Mazen offrendoli uno Stato.
L'articolo contiene anche un errore di fatto. Luca Geronico scrive che Israele offre il "90% dei Territori occupati nella Striscia di Gaza (da cui gli israeliani si sono ritirati completamente nell'estate del 2005) e in Cisgiordania
".
In realtà Olmert ha fatto riferimento al 90% della Cisgiordania.
Ecco il testo:


Mano tesa della Lega araba a Israele. Forse una vera avanzata diplomatica dopo la guerra dell'anno scorso in Libano e gli scontri all'Interno dell'Anp, se il neo presidente Shimon Peres parla espressamente di una volontà di pace araba.
L'aggettivo «storico» è stato usato invece dal ministro degli Esteri Tzipi Livni che, dopo Shimon Peres, ha ieri ricevuto i suoi pari grado di Egitto e Giordania. Gli unici due ministri dell'area ad avere relazioni diplomatiche con Gerusalemme, ma ieri in Israele come rappresentanti della Lega araba. La "prima volta" fra la Lega del Cairo e Gerusalemme che potrebbe dipanare almeno in parte l'intricatissima matassa mediorientale e potrebbe aprire nuove prospettive.
«Ci è stato chiesto dalla Lega araba di venire e offrire a Israele l'iniziativa di pace araba», ha spiegato il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abdoud Gheit. Un'offerta a nome dell'«intera regione» nella speranza di poter «riesumare negoziati produttivi e fruttiferi tra voi e i palestinesi, tra voi e i partner arabi», ha proseguito Abdel Ilah Khatib, ministro degli Esteri giordano.
La piattaforma araba propone il riconoscimento di Israele in cambio del ritiro nei confini del 1967, la costituzione di uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme est e un accordo sui profughi.
La risposta del premier israeliano Ehud Olmert per ora giunge dalla stampa. Secondo Haaretz il primo ministro sarebbe pronto a riprendere i negoziati di pace interrotti alla fine del 2000, allo scoppio della seconda Intifada. Una trattativa per un «accordo di principio» per poi giungere con altri negoziati alla costituzione di uno Stato palestinese sul 90% dei Territori occupati nella Striscia di Gaza (da cui gli israeliani si sono ritirati completamente nell'estate del 2005) e in Cisgiordania. Secondo il quotidiano Israele propone di realizzare un tunnel sotterraneo che collegherà le due porzioni della futura entità di cui Gerusalemme Est sarà capitale anche se la città vecchia e il Monte degli Ulivi resteranno in mano agli israeliani. In cambio lo Stato ebraico conserverà parte dei territori occupati in Cisgiordania su cui sorgono i principali insediamenti dei coloni.
Segnali su cui lavorerà certo la prossima settimana il segretario di Stato Condoleezza Rice attesa a Gerusalemme e a Ramallah per preparare le conferenza internazionale annunciata da Bush per l'autunno. L'obiettivo comune sembra lo stesso: isolare Hamas, ieri definita da Peres «uguale ad al-Qaeda». E non a caso da Gaza un portavoce di Hamas ha bollato la visita della Lega araba come «contraria agli interessi del popolo palestinese».

Diversamente da quanto sostiene Umberto De Giovannangeli sull'UNITA' la Lega araba non ha offerto a Israele una "pace totale", ma un riconoscimento. In cambio di un assenso a tutte le richieste arabe, senza negoziato.
Ma l'esaltazione della proposta araba serve a far apparire meschina, miope e frustrante la proposta israeliana:"ricominciare da Camp David. Sette anni dopo. Nel giorno in cui gli inviati della Lega Araba, i ministri degli Esteri di Egitto e Giordania Ahmed Abdoul Gheit e Ab-
del Ilah Khatib, sono giunti in Israele per offrire una pace totale".

Ecco il testo: 

RICOMINCIARE da Camp David. Sette anni dopo. Nel giorno in cui gli inviati della Lega Araba, i ministri degli Esteri di Egitto e Giordania Ahmed Abdoul Gheit e Ab-
del Ilah Khatib, sono giunti in Israele per offrire una pace totale in cambio del ritiro dello Stato ebraico alle linee del giugno del 1967, il premier israeliano Ehud Olmert conferma quanto riferito dal quotidiano Haaretz, ovvero la sua volontà di negoziare subito con il presidente Abu Mazen un «accordo di principio» sulle caratteristiche del futuro Stato palestinese e sui suoi legami con Israele. «Intendo creare un percorso che mi consenta di tenere negoziati seri con Abu Mazen», spiega il primo ministro durante una conferenza stampa tenuta con il Capo dello stato Shimon Peres. A conferma che la sua proposta di fatto è una risposta all'iniziativa di pace saudita sponsorizzata dalla Lega Araba, Olmert afferma con tono perentorio che «se altri Stati, come l'Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti, vogliono dare il loro aiuto allora sono i benvenuti. In ogni caso non resteremo ad attenderli senza agire in attesa che parta il processo (di pace). Noi (israeliani) siamo quelli che guidano, quelli che prendono l'iniziativa perchè crediamo che il processo di pace faccia gli interessi di Israele.
Olmert vuole un approccio graduale allo Stato palestinese: in una prima fase, quella denominata di un «Accordo sui principi» dovrebbero essere affrontate le questioni più semplici - ad esempio, i rapporti economici tra Israele e il futuro Stato di Palestina o il rilascio graduale di buona parte dei prigionieri politici - mentre quelle più complesse - Gerusalemme, il diritto al ritorno dei profughi palestinesi e i confini permanenti dello Stato palestinese - dovrebbero attendere la fase finale del negoziato di pace. Questo modello, una volta raggiunta l'intesa sui principi, verrebbe sottoposto da Abu Mazen al vaglio dei palestinesi mediante elezioni politiche. Olmert da parte sua andrebbe alla Knesset per chiedere il voto favorevole dei rappresentanti del popolo israeliano.
Secondo Haaretz, Olmert potrebbe accettare la costituzione dello Stato di Palestina sul 90 per cento della Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza che verrebbero collegate da un lungo tunnel, in modo da garantire al futuro Stato palestinese una continuità territoriale. Il giornale ha aggiunto che la richiesta palestinese di proclamare la loro capitale a Gerusalemme Est potrebbe essere risolta passando alle autorità governative palestinesi alcuni quartieri arabi periferici lasciando a Israele il controllo delle aree più importanti, da un punto di vista storico e politico, come la Città Vecchia e i suoi luoghi santi, compresa la Spianata delle Moschee (terzo luogo santo dell'Islam. Lo schema, nelle grandi linee, è quello che caratterizzò i (falliti) negoziati di pace di Camp David, nell’estate del 2000, che videro protagonisti l’allora presidente Usa Bill Clinton, Yasser Arafat e Ehud Barak (premier israeliano, e oggi ministro della Difesa nel governo Olmert). Fonti vicine ad Abu Mazen hanno detto di essere rimaste sorprese dalle rivelazioni di Haaretz, che ritiene di poter anticipare alcuni elementi del pensiero di Olmert, pur ribadendo la determinazione ad avviare da subito un «serio negoziato che porti ad un accordo globale». Intervistata dalla televisione commerciale Canale 10, la ministra degli Esteri israeliana Tzipi Livni ha preferito non entrare nei dettagli delle informazioni del giornale. In termini generali ha precisato che anche in futuro i negoziati dovranno avere carattere bilaterale israelo-palestinese mentre la Lega Araba potrà fare opera di sostegno. La Livni ha osservato che la situazione attuale racchiude elementi promettenti perchè il nuovo governo palestinese (di Salam Fayyad) punta alla costituzione di uno Stato indipendente che viva in pace con Israele. Ha aggiunto che la visita dei ministri degli Esteri arabi e l'impegno del Quartetto (la prossima settimana inizia la nuova missione di Condoleezza Rice) possono contribuire alla ripresa del dialogo. Ma il tempo stringe, ha anche avvertito. E il tempo, si sa, in Medio Oriente non ha mai lavorato per la pace. u.d.g.

Michele Giorgio sul MANIFESTO sostiene che Israele ha sì offerto il 90% della Cisgiordania, ma non lo darà.
Accamperà "motivi di sicurezza" per non farlo.

Giorgio dimentica ovviamente che la contropartita all'offerta di Olmert dovrebbe esere la pace.

Ecco il testo:


Il gioco a due ha funzionato alla perfezione. Il quotidiano Ha'aretz ha «rivelato» e il premier israeliano Olmert poco dopo ha «confermato» la sua volontà di negoziare subito con il presidente Abu Mazen un «accordo di principio» sulle caratteristiche del futuro Stato palestinese. Tutto nel giorno in cui gli inviati della Lega araba, i ministri degli esteri di Egitto e Giordania, Ahmed Abdul Gheit e Abdel Ilah Khatib, erano a Gerusalemme per ribadire l'offerta di una pace totale in cambio del ritiro dello Stato ebraico alle linee del 4 giugno del 1967.
«Intendo creare un percorso che mi consenta di tenere negoziati seri con Abu Mazen», ha spiegato Olmert. E a conferma che la sua proposta vuole prendere in contropiede l'iniziativa sponsorizzata dalla Lega Araba, il primo ministro ha detto con tono perentorio che «se altri Stati, come l'Arabia saudita e gli Emirati, vogliono dare il loro aiuto, allora sono i benvenuti. Ma non resteremo senza agire. Siamo noi quelli che guidano, quelli che prendono l'iniziativa, perché crediamo che il processo di pace faccia gli interessi d'Israele».
Siamo di fronte, in una forma leggermente modificata, all'ormai nota idea israelo-americana di uno Stato palestinese senza sovranità reale e dai confini «provvisori» che dovrebbe vedere la luce nei principali distretti amministrativi della Cisgiordania - già trasformati dall'occupazione in bantustan - in attesa che trattative future definiscano lo «status permanente» dei Territori occupati. Olmert vuole un approccio «graduale»: in una prima fase, quella dell'«Accordo sui princìpi» (che ricorda la Dichiarazione di princìpi del 1993), dovrebbero essere affrontate le questioni più semplici - ad esempio i rapporti economici tra Israele e il futuro Stato di Palestina o il rilascio di un certo numero di prigionieri politici - mentre quelle più complesse - Gerusalemme, il diritto al ritorno dei profughi palestinesi nella loro terra e i confini permanenti dello Stato palestinese - dovrebbero attendere la fase finale del negoziato. Questo modello, una volta raggiunta l'intesa sui princìpi, verrebbe sottoposto da Abu Mazen al vaglio dei palestinesi mediante elezioni politiche. Olmert da parte sua andrebbe alla Knesset per chiedere il voto favorevole.
Il disegno di Olmert non manca di contenere il mito del «90%» già evocato nel 2000 a Camp David dall'ex premier Ehud Barak. Olmert, secondo Ha'aretz, potrebbe accettare la costituzione dello Stato di Palestina sul 90% della Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza che verrebbero collegate da un lungo tunnel, in modo da garantire una continuità territoriale. È ovvio che quel 90% se era un sogno nel 2000, lo è ancora di più oggi . Il «muro di separazione» ha annesso di fatto a Israele circa il 10% della Cisgiordania, a ciò bisogna aggiungere che Olmert non rinuncerà alla «Grande Gerusalemme (che si estenderà su 4-5% della Cisgiordania), ad assorbire la maggior parte degli insediamenti ebraici, al controllo di una parte della Valle del Giordano e di alcune arterie stradali, e alla «supervisione» dei valichi di frontiera. Alla fine di questa dieta, il 90% delle «dichiarazioni di principio» diventa il 50-60% delle «ragioni di sicurezza», con i palestinesi costretti a vivere in una condizione di apartheid parziale o totale su cui il Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu) isserà, tra applausi e cori di giubilo, la bandiera dello Stato di Palestina. Ha'aretz ha aggiunto che la richiesta dei palestinesi di proclamare la loro capitale a Gerusalemme Est potrebbe essere «risolta» passando all'Anp alcuni quartieri arabi periferici e lasciando a Israele il controllo delle aree più importanti, come la Città Vecchia e i suoi luoghi santi, compresa la Spianata delle Moschee. «Non è altro che la solita proposta di uno Stato palestinese senza sovranità, in attesa di trattative future - ha detto al manifesto l'ex ministro dell'informazione Mustafa Barghouti -. Israele cerca di guadagnare tempo per realizzare i suoi progetti volti ad impedire la nascita di uno Stato sovrano». Non la pensa così il consigliere di Abu Mazen, Nabil Amr: «L'Anp è pronta a prendere in considerazione l'idea di Olmert, se parallelamente verranno avviate trattative, anche segrete, sullo status finale dei territori occupati».

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