Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Che cosa succede in Iraq i sunniti si schierano contro Al Qaeda, i terroristi uccidono i bambini
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Autore: Daniele Raineri - Ennio Caretto Titolo: «IL FRONTE ROVESCIATO - «È una tragedia causata dai terroristi Senza stragi, la vita sarebbe normale»»
Dal FOGLIO del 17 luglio 2007(pagina 2 dell'inserto):
C’era soltanto una notizia eccellente capace di prevalere sulle cattive cronache dall’Iraq. E finalmente è arrivata. Gli iracheni si gettano nella mischia dalla parte degli americani e combattono al loro fianco la battaglia per eliminare ed espellere la guerriglia binladenista. Non si tratta di una rivoluzione promessa ma non scoppiata, o di un rovesciamento di fronte che forse avviene, forse no, ma non si sa ancora quando: sono cose già cominciate. In massa. Da almeno sei mesi. Lo racconta persino il liberal New York Times: i militari americani sono “sbigottiti” dal livello di collaborazione che incontrano. Nella zona a sud di Baghdad, sulle rive del fiume Eufrate, donne e bambini hanno cominciato a battere con canne di plastica contro i lampioni e contro altri oggetti di metallo per segnalare che i guerriglieri stanno piantando trappole esplosive o preparando altri tipi di imboscate. E’ un ticchettio gigantesco che si allarga nell’aria di casa in casa e di villaggio in villaggio, uno spadellamento senza volto che mette in guardia le pattuglie miste americane-irachene e toglie ai guerriglieri il solo vantaggio tattico in loro possesso, quello della sorpresa. Lo fanno perché – dice il generale Jim Huggins, incaricato della zona – “questa è gente che ne ha avuto abbastanza”. La minaccia irachena più grande contro al Qaida in Iraq ha la faccia tranquilla e gli occhi dal taglio allungato di Abdul Sattar Abu Risha. E’ lo sceicco capo dell’Anbar Salvation Council, una potente coalizione di tribù della provincia di Anbar che include almeno altri 200 sceicchi sunniti – quindi della stessa tradizione religiosa degli attentatori suicidi – e che combatte contro i qaidisti una guerra senza ritorno. Gli uomini dell’Asc non sono quelle reclute dell’esercito con l’elmetto largo sbattute sulle pagine dei giornali (ma quelle combattono come gli americani, e sopportano tre volte il numero di perdite), o le famiglie stanche di guerra che picchiano sui lampioni. Sono invece uomini dei numerosi clan di al Anbar. Organizzati, vendicativi, ben armati. Preparano e portano a termine retate, controimboscate, servizi di scorta, con tutti i vantaggi del giocare in casa propria. Abu Risha ha messo su il consiglio dopo che al Qaida ha ucciso suo padre e quattro suoi fratelli, l’autunno scorso. “Al Qaida ha abusato delle nostre tradizioni e della nostra generosità”, dice. Come lui, anche altri sceicchi iracheni, un tempo potenziali alleati dei terroristi, ora sono furiosi. E pericolosi. Hussein Zbeir, uno dei notabili, spiega ai suoi uomini che è stata al Qaida a trasformare il dopoguerra iracheno nel proprio campo di battaglia e a innescare il livello di indicibile violenza che ha travolto il paese. “Se non fosse stato per quegli sciacalli che si sono nascosti in mezzo a noi, nessuno sarebbe stato ucciso. Nessuno sarebbe stato rapito. Nessuno sarebbe saltato in aria. Voi sapete chi ha portato qua gli yemeniti con le cinture esplosive”. Dice Ali Hattan al Suleiman, un altro sceicco dell’Anbar Salvation Council: “Vengono qui semplicemente pieni di soldi. Danno denaro ai disoccupati. Non sono iracheni, sono soltanto arabi. Sono dei bastardi. E la gente che li segue, anche loro sono dei bastardi”. Lo sceicco Jabbar al Fahdawi, un ingegnere civile sulla trentina che sta per prendere il comando della sua tribù, racconta che suo fratello e centinaia di appartenenti al suo clan sono stati ammazzati da al Qaida. “Il 20 per cento dei miei uomini è stato arruolato in questi anni da al Qaida. Un altro 20 per cento è finito con gli altri gruppi di guerriglieri. Ho chiesto ai miei di fermare ogni attacco contro gli americani. Ora li consideriamo come amici, così riusciremo a liberarci dagli estremisti. In quanto ai rinnegati della nostra tribù colpevoli di assassinio, devono essere presi e giustiziati e le loro famiglie allontanate dal clan”. Si arrotola le maniche per mostrare profonde cicatrici. Sono le pallottole che lo hanno colpito negli ultimi scontri con al Qaida. “Ho lasciato il mio lavoro a Baghdad per tornare qui a liberare la mia tribù”. Abu Risha dice che l’Anbar Council accetta soltanto volontari. “Lavoriamo da soli, come fossimo delle squadre autonome. Quando catturiamo uomini di al Qaida o iracheni che lavorano per loro li consegniamo all’esercito o al ministero dell’Interno”. Ovvio che la resistenza alla cattura, per i jihadisti, vuole dire morte sul posto. E quando i combattimenti diventano duri, “qualche volta chiamiamo gli americani per avere appoggio aereo”. L’Anbar Council include almeno 17 diverse tribù, e tra gli sceicchi è diventato conosciuto anche come l’“Anbar intifada”. La lotta di Anbar contro l’oppressione di al Qaida. Chissà che effetto fa, ai seguaci di Osama bin Laden, il confronto esplicito alla lotta dei palestinesi contro gli israeliani. La rivoluzione antiqaidista non ha naturalmente soltanto motivazioni idealistiche. Il capitano Jay McGee, ufficiale dell’intelligence americana, dice che le tribù si stanno unendo all’Anbar Council per fare il loro stesso interesse. “Non vogliono che al Qaida li sostituisca nel controllo della loro zona. Per loro, al Qaida è una minaccia a lungo termine, molto più di quanto potremmo esserlo noi”. Per McGee, molti degli uomini che ora combattono al fianco degli americani e delle forze di sicurezza regolari del governo di Baghdad hanno combattuto fino a poco tempo fa con altri gruppi di insorti, come le Brigate rivoluzionarie del 1920, l’Esercito dell’islam o l’Esercito di Maometto. Ma oggi, nella provincia di al Anbar, l’occupante è diventato al Qaida. Toglie i camion ai loro guidatori, ruba i carichi, rapisce i più indifesi e chiede riscatti, estorce con la violenza ai negozianti. In una zona di confine, al Qaida controllava il mercato della benzina. Gli abitanti aspettavano ogni mese l’arrivo di dieci camion cisterna con 50 mila litri di gasolio, pagati in buona parte dall’assistenza di stato, e di cinque cisterne con kerosene. I qaidisti deviavano la maggior parte delle spedizioni verso la Siria e la Giordania, dove i prezzi sono più alti, lucravano 10 mila dollari a carico e tenevano sotto scacco 30 mila persone. Nessun poliziotto locale ha osato mai fare un arresto. La struttura tribale, costruita nel corso di secoli, era stata messa da parte. Gli sceicchi che protestavano erano fatti saltare in aria, gli altri preferivano abbandonare il campo. Con la creazione dell’Asc le cose sono cambiate. Lo scorso novembre una tribù locale vicino a Ramadi si è offerta di indicare a un battaglione di veterani iracheni i nascondigli dei guerriglieri nell’area. Il colonnello Mohammad, il comandante del battaglione, ha accettato subito la loro offerta. “Gli irhabi – i terroristi, il termine che descrive in termini più accurati la realtà di quanto non faccia il nostro nobilitante “jihadisti” – chiamano loro stessi ‘martiri’. Sono dei mentitori. Ho perso uno dei miei uomini, e quando gli ho levato il giubbotto antiproiettile, ecco, quello era il sangue di un martire”. Con i soldati iracheni e i marine americani schierati di scorta, sceicco locale e uomini della tribù hanno attraversato la città, puntando discretamente il dito contro i guerriglieri. La retata s’è conclusa con trenta catturati, compreso “Abu Muslim”, nome di battaglia di un ricercato di medio livello. “Era mescolato alla folla, e salutava con la mano il nostro passaggio in mezzo agli altri”, dice un soldato. Non sono soltanto i clan a combattere. Persino gli altri gruppi di guerriglieri sunniti danno la caccia agli stragisti di al Qaida. Il colonnello Bruce Antonia racconta al settimanale Time che qualche notte prima di dare l’assalto al quartiere Buhritz di Ramadi è stato avvicinato da uomini – così hanno detto loro – delle Brigate rivoluzionarie del 1920, che scivolavano fuori dal quartiere. “Ci hanno detto che stavano combattendo contro al Qaida, ma di essere rimasti a corto di munizioni, e ce ne hanno chieste. Abbiamo risposto: ‘Mostrateci dove sono, li combatteremo noi’”. I guerriglieri hanno obbedito e gli americani hanno preso il quartiere. Un altro ufficiale conferma la storia: “Ci hanno anche mostrato sette depositi di Ied (gli ordigni esplosivi improvvisati, ndr) nascosti sottoterra. Ci hanno dato tutte le indicazioni che servivano: la descrizione delle case, degli alberi, il colore dei cancelli…”. Il risultato di questa sollevazione popolare è che nella provincia di al Anbar l’andamento della guerra ha cambiato completamente direzione. Anbar per i soldati americani era “un’approssimazione dell’inferno”. Ci abitano solo il 16 per cento degli iracheni, ma sono quelli che hanno sferrato l’85 per cento degli attacchi. L’ottanta per cento dei 3.500 morti americani è caduto ad Anbar. “In pieno giorno gli uomini scaldano l’asfalto delle strade, lo fondono per aprire buche – raccontavano l’anno scorso i corrispondenti iracheni per le televisioni americane, gli unici a potersi avventurare nel territorio – e ci ficcano dentro trappole esplosive. Poi aspettano il passaggio dei convogli armati”. Ramadi, Fallujah, Hadita. Sono i nomi di città sunnite nel cuore di al Anbar che hanno offerto ospitalità ai gruppi più feroci della guerriglia. Per la nuova generazione di soldati arrivata dall’America sono nomi che hanno preso il posto di quelle battaglie dai suoni nasali, la valle dello Ia Drang, l’assedio di Khe Sahn, la presa di Hue, che hanno segnato a fuoco la generazione Vietnam. Tutto questo sta finendo. Ramadi è la capitale di al Anbar. Un anno fa i guerriglieri lanciavano in media trenta attacchi al giorno in città; cecchini; colpi di mortaio; lanciarazzi; trappole esplosive. Oggi gli attacchi sono meno di uno al giorno. Nell’intera provincia la tendenza è la stessa. Ad al Anbar gli attacchi lo scorso ottobre sono stati 1300. Progressivamente sono calati. Questo giugno sono stati 225. Il generale John Allen, vice comandante della Second Marine Expeditionary Force ad al Anbar ed esperto dei collegamenti con le tribù, dice che la sterminata provincia, grande come mezza Italia, è un modello di successo per la controguerriglia. “Da circa 500 attacchi a settimana siamo passati a meno di un terzo; le scoperte di depositi clandestini di armi ed esplosivi, grazie alle indicazioni di iracheni simpatizzanti, sono aumentate del 190 per cento. Un anno fa la polizia locale ha raccolto soltanto 20 nuove reclute. Più di un milione di abitanti di Anbar, su un totale di 1,3 milioni, appoggia il Risveglio e secondo Abu Risha “si sta pure allargando ad altre zone dell’Iraq”. Il mese scorso ha anche inviato alcuni dei suoi fiduciari a Sadr City, la gigantesca roccaforte metropolitana dei rivali sciiti, per incontrarsi con Moqtada al Sadr, il comandante-santone dell’Esercito del Mahdi. Il generale americano David Petraeus ha anche persuaso il premier sciita, Nouri al Maliki, a fare visita a Ramadi, nel cuore della (ex) pericolosissima provincia di al Anbar, per incontrare le tribù. E’ stato l’inizio delle negoziazioni. Ad al Anbar la situazione è migliorata perché le tribù si sono allineate contro al Qaida. Ma questo è successo perché i marine, i soldati e la Guardia nazionale americana hanno insistito con il lavoro sul territrio, nonostante le perdite, fino a quando le tribù non si sono convinte che gli americani, per usare le parole di un capo locale, sono “la tribù più forte”. Da quel momento si sono rivoltati contro al Qaida, sapendo che la “tribù più forte” li avrebbe appoggiati. Le tribù riconoscono apertamente che a convincerle a unirsi ai combattimenti sono stati il comportamento personale, la forza delle armi e la tenacia delle forze americane. La rivoluzione controqaidista è ovviamente incoraggiata dai comandi dei marine americani. E’ la grande prova che i sunniti del paese sono finalmente convinti di avere sbagliato a tenersi fuori dal processo politico. Notizia altrettanto importante: le tribù hanno chiesto ai propri giovani di arruolarsi nella polizia irachena, per agire con la legittimità della divisa. Un anno fa la polizia locale aveva raccolto soltanto 20 nuove reclute. Ora, grazie agli sceicchi locali che incoraggiano i loro uomini ad arruolarsi, sono 8 mila. Il 19 agosto giureranno le prime 550 reclute della prima accademia di polizia della provincia. E’ a Habbaniya, la stessa cittadina dove lo scorso febbraio un imam osò pronunciare un sermone infiammato contro al Qaida. Il venerdì seguente i qaidisti parcheggiarono un pick up carico di esplosivo accanto alla moschea sunnita, e assieme a lui uccisero altri quaranta fedeli, tra cui un gran numero di donne e bambini. A Ramadi, prima che gli sceicchi delle tribù chiedessero ai loro uomini di unirsi alla polizia, c’erano circa 140 poliziotti. Per 400 mila abitanti. Ora sono 4 mila. All’apertura dell’accademia, lo scorso giugno, c’era anche il comandante delle forze americane in Iraq, il generale David H. Petraeus. Il punto atroce è che tutto questo, per ora, sfugge ai senatori di Washington, preoccupati molto più dal problema privato delle elezioni in arrivo nel 2008 che dalla strategia militare sul campo. E sfugge pure a Baghdad, dove il premier sciita al Maliki, due giorni fa, ha detto fa che “gli americani se ne possono andare quando vogliono”, perché è preoccupato di non sembrare troppo ossequioso con gli alleati davanti al suo elettorato. Salvo essere smentito dal veterano del suo governo, il ministro degli Esteri, Hoshyar Zebari, al suo posto sin dal lontano settembre del 2003: “La partenza degli americani sarebbe un problema molto più grande della loro presenza”.
Dal CORRIERE della SERA, un'intervista al neocon Kenneth Adelman sul rapporto unicef sulla situazione dei bambini in Iraq prima e dopo la caduta di Saddam (pagina 12):
WASHINGTON — Kenneth Adelman è uno dei neocon pentiti, passati cioè da sostenitori a critici della guerra in Iraq, che si poteva vincere, sostiene, ma fu condotta male, e cui bisogna rimediare con un cambiamento di strategia. Ex direttore dell'Agenzia del disarmo sotto il presidente Ronald Reagan, fu consigliere politico del Pentagono nel primo mandato di George W. Bush. Dichiara che quella dei bambini iracheni — e afghani — è «una tragedia nella tragedia», ma smentisce che in genere stessero meglio sotto Saddam Hussein, come sostiene l'Unicef: «L' Onu, forse il Commissariato per i rifugiati, lo disse già due anni fa, ma è uno sbaglio». Lo stesso parere dell'islamista Daniel Pipes. Come giudica la condizione infantile in Iraq? «Innanzitutto, bisogna ricordare che la causa diretta e indiretta delle sofferenze dell'infanzia irachena sono i terroristi, gli insorti e i nostri altri nemici. Non siamo noi. Negli attentati, loro fanno continuamente stragi di innocenti, mentre nelle nostre operazioni militari noi cerchiamo di limitare al massimo le perdite civili. I nostri soldati hanno l'ordine di proteggere i bambini e dall'America moltissime associazioni mandano loro ingenti aiuti, soldi, cibo, medicine, vestiti, giocattoli». Ma è innegabile che i bambini stiano male. «Secondo me, si generalizza. Nelle zone di guerra sì, ma ripeto non è colpa nostra, sono i nemici che ci costringono a combattere. Se rispettassero le popolazioni della città, la vita sarebbe quasi normale.