Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Al Qaeda è forte, dunque si deve scappare dall'Iraq la logica suicida di Vittorio Zucconi e Umberto De Giovannangeli
Testata:La Repubblica - L'Unità Autore: Vittorio Zucconi - Umberto De Giovannangeli Titolo: «Al Qaeda e la frontiera irachena la guerra che Bush non vince - 11 settembre, Al Qaeda più forte di 6 anni fa»
Al Qaeda è più forte dopo la guerra in Iraq ?Così interpreta il rapporto dell'intelligence americana sul rafforzamento del gruppo terroristico Vittorio Zucconi, sulla REPUBBLICA. Segue il saggio consiglio all'America: abbandonare l'Iraq al suo destino ritirandosi. Al Qaeda sarà allora più debole ? O non le si darà piuttosto l'opportunità di conquistare uno Stato ?
All'Iraq La REPUBBLICA dedica oggi 13 luglio varie pagine, con l'intento evidente di screditare Bush e le sue ultime dichiarazioni sulla guerra. A pagina 19 c'è la cronaca di Mario Calabresi "Bush: "In Iraq una guerra tra ideologie". L'articolo che riferisce le dichiarazioni di Bush è incorniciato da altri due "Al Qaeda è più forte che nel 2001" e "Così perseguitano i cristiani video choc della Chiesa caldea", per suggerire che la liberazione dell'Iraq sia un irremediabile fallimento. Le due pagine seguenti sono occupate da un reportage sul "Pronto soccorso Baghdad", dove vengono curati i feriti della guerra scatenata dai terroristi. A pagina 23 si trova l'articolo di Zucconi.
Eccone il testo:
Tradito dalla cronaca, che ogni giorno lo aggredisce con le notizie dall´Iraq, abbandonato dall´opinione pubblica e dal proprio partito che lo condannano a indici di gradimento (27%) ormai vicinissimi a quelli di Nixon (24%), George W. Bush si affida all´ultima dea di tutti i presidenti disperati: alla storia. Guarda a un futuro lontano, misurabile in generazioni, dunque indifferente alla disastrosa e angosciante conclusione raggiunta dai suoi stessi analisti di intelligence, secondo i quali Al Qaeda, il Maligno, l´avversario mortale ideologico, come lui dice, per il quale sono stati sacrificati finora 3.600 giovani americani, spesi 200 mila euro al minuto, e uccisi centinaia di migliaia di iracheni, «è più forte e organizzato ora di quanto sia stato dopo l´11 settembre». Sei anni di presunta «guerra al terrore» di occupazione dell´Afghanistan, quattro in Iraq e il terrore è più forte di prima. Non ci sarebbe stato bisogno di leggere quest´ultimo rapporto riservato dell´intelligence americana, puntualmente passato ai giornali e non smentito (altro sintomo classico della fuga dei topi dalla nave che affonda) per sapere che l´infezione del terrorismo islamico antioccidentale si sta diffondendo e non risolvendo. Che l´invasione dell´Iraq e la macellazione pubblica di Saddam Hussein non sono stati affatto quella cauterizzazione dolorosa e risolutiva, promessa dai suoi ideatori, ma al contrario hanno avuto l´effetto di moltiplicare le spore maligne, impegnando e quindi paralizzando il solo avversario che «l´islamofascismo» davvero tema, gli Stati Uniti, nell´insensata moscacieca fra clan, tribù, terroristi interni, kamikaze d´importazione e nuove reclute locali, che soltanto Bush può ancora giudicare come «un progresso». Il fatto che il mondo non sia affatto «più sicuro» dopo l´abbattimento del Rais, che Al Qaeda abbia trovato nel vuoto di potere (e nella complicità) ai confini del Pachistan il proprio nuovo santuario, basterebbe da solo a chiudere ogni discussione su una guerra che ormai continua soltanto per permettere a Bush di non ammettere l´errore e di non pronunciare la parola «ritirata». Il ridotto nel quale si sono arroccati è un paradosso allucinante eppure reale, è l´affermazione che se l´America si ritirasse, gli altri, le forze del Male, potrebbe gridare vittoria, esibire la testa di Bush, dopo avere esibito le teste di Breznev e di Gorbaciov in Afghanistan e proclamare che la potenza di Allah ha ancora una volta avuto ragione dei demoni miscredenti. Questo è tutto ciò che rimane di una campagna militare lanciata per bonificare l´Afghanistan dai Taliban e poi in Iraq per costruire una Disneyland della democrazia laica che avrebbe dovuto attirare i figli dell´intera mezzaluna mussulmana con la promessa dell «effetto domino virtuoso». Evitare il peggio, perché Bush ha ragione e il ritiro, subitaneo o a rate, dei 170 mila soldati americani dall´Iraq, sarebbe realmente celebrato, nelle proverbiali «strade arabe», come il trionfo sul Satana d´Occidente. Un trionfo che lui ha regalato, gettandosi a testa bassa nella fossa dove il nemico voleva attirarlo con la sfregio mostruoso dell´11 settembre. Poiché nessuno dei falsi geni che aveva concepito la campagna d´Iraq aveva previsto la possibilità che potesse divenire un´altra Cecenia, un nuovo Vietnam, o l´Afghanistan che divorò l´Armata Rossa, l´ipotesi di perdere la guerra e quindi di offrire una Lepanto alla rovescia ai neo califfi, era stata contemplata. Il cruciale «what if?», e che succede se? non era ammissibile nel sistema ideologico chiuso e autorefenziale della destra neo con, come non lo era dietro le mura del Cremlino di Breznev. Dunque oggi l´America di Bush si trova a dover subire l´ipotesi di una spaventosa disfatta autoinflitta. Nessuno, non i democratici, ai quali cinicamente va benissimo che George W. resti chiuso nella gabbia che si è costruito intorno, non i repubblicani, che sono tentati dalla defezione in massa ma temono il contraccolpo del tradimento, e certamente non Bush, che galleggia aggrappato al mitico «rapporto del generale Petreaus», il comandante al fronte, in settembre», sa come uscire. I media, ora pentiti del loro bellicismo patriottardo anteguerra, chiedono il ritiro subito, senza altri traccheggiamenti, come ha fatto il New York Times. Le network e le radio bushiste ignorano l´Iraq, o lo seppelliscono sotto le Paris Hilton e la cronaca nera. E lui, sempre più malinconico e pensoso («è in una fase di riflessione e di meditazione» fanno sapere dalla Casa Bianca,) si racconta in tv «vecchietto e solo nel mio piccolo ranch nel Texas davanti allo specchio» della coscienza. Ad aspettare il giudizio della storia, mentre l´America, e il resto del mondo, continueranno nel frattempo a pagare ai sanguinari di Al Qaeda il conto della cronaca.
L'UNITA' partecipa alla stessa campagna, da pagina 11, l'articolo di Umberto De Giovannangeli:
LA «PIOVRA» ha esteso i suoi tentacoli. Il network del terrore jihadista si è ramificato, ha acquisito nuove «copartecipazioni», ed oggi è pronto a rilanciare in grande stile il Jihad globalizzato. La rete terroristica di Al Qaeda «sta risorgendo nelle sue capacità di pianificazione». Dal fenomeno del «franchising» del terrorismo che si era andato delineando negli ultimi anni dopo le operazioni americane in Afghanistan e in Pakistan, la rete sta tornando ad avere un unico comando da cui partono le direttive, secondo la valutazione espressa da John Kringen, capo del direttorato intelligence della Cia, in una audizione di fronte alla Commissione difesa della Camera dei rappresentanti. Gli elementi che ne fanno parte «sembrano essersi ben sistemati nel rifugio sicuro offerto dalle località prive di governo in Pakistan... assistiamo a una maggiore attività di addestramento, a un maggiore flusso di denaro, a maggiori comunicazioni», si legge in un documento di cinque pagine di cui è entrata in possesso la Cnn prima del loro inserimento nella valutazione nazionale dell’intelligence pubblicata a fine estate. In sostanza, le cinque pagine preparate dall’intelligence Usa intitolate «Al Qaeda ha maggiori capacità per colpire l’Occidente», affermano che dopo sei anni dall’inizio della guerra contro il terrorismo internazionale da parte di George W. Bush, Al Qaeda è più forte che mai. Il vice direttore dell’intelligence nazionale, Thomas Fingar, nella stessa audizione in cui è intervenuto Kringen, ha denunciato che gli esponenti di Al Qaeda rifugiati in Pakistan «sono in grado di mantenere relazioni con i loro affiliati in Medio Oriente, Nordafrica, Corno d’Africa, ed Europa». Quel rapporto mette in crisi la strategia della lotta al terrorismo jihadista portata avanti dalla Casa Bianca. Ma George W.Bush non fa autocritica. Il presidente Usa ammette che Al Qaeda è «ancora pericolosa» ma non ai livelli di prima dell’11 settembre e questo proprio grazie alle «azioni intraprese» dalla sua amministrazione dopo le stragi a Washington e a New York. Bush accusa il colpo (del rapporto) ma contrattacca: «Vi è l’impressione, stando alla copertura data dalla stampa - insiste il capo della Casa Bianca - che Al Qaeda possa oggi essere tornata forte come al tempo dell’11 settembre. Non è assolutamente così». George Dabliu difende la sua strategia in Iraq e afferma perentorio: «Siamo nelle fasi iniziali di un grande conflitto ideologico: un conflitto tra quanti vogliono la pace e vogliono vivere in una società pacifica e normale e i radicali che vogliono imporre al resto del mondo la loro tetra visione». L’Iraq, trincea avanzata, e insanguinata, del «conflitto ideologico» tra il mondo libero e l’oscurantismo jihadista: è la visione, molto «neocon», che permea le considerazioni del presidente americano. Nella conferenza stampa alla Casa Bianca, Bush insiste a più riprese sul fatto che «Al Qaeda in Iraq ha giurato fedeltà a Osama Bin Laden» e aggiunge che «uno dei modi che i miliziani hanno per diffondere la loro ideologia è di far male a americani». «Quelli che uccidono civili innocenti in Iraq appartengono allo stesso gruppo responsabile dell’11 settembre», scandisce il presidente. Bush non nasconde che quella di Al Qaeda sia una «minaccia seria» che è destinata a «sopravvivere» alla sua presidenza. «È nel nostro interesse - insiste - diffondere un’ideologia alternativa e restare all’offensiva. Colpirli fuori prima che ci colpiscano dentro, e diffondere i valori universali della libertà». Non indietreggiare, non abbassare la guardia. «Al Qaeda è ancora un pericolo - insiste Bush - ed è per questo che è importante che abbiamo successo in Iraq e in Afghanistan». La guerra continua. Perché non può che essere così. Perché «andare via ora dall’Iraq sarebbe un disastro», ribadisce il presidente Usa. Un messaggio, il suo, rivolto alla Nazione, e al mondo. Restare in Iraq per combattere Al Qaeda, perché c’è l’organizzazione di Osama Bin Laden dietro il caos iracheno. «Consideriamo Al Qaeda il nostro primo nemico in Iraq», rimarca il portavoce di Bush, Tony Snow. Per tutto questo il capo della Casa Bianca (che in più occasioni nel corso della sua conferenza stampa ha ricordato di essere «il comandante in capo»), non vuole né può lasciare l’Iraq «subito», come gli chiedono in molti, alcuni dei quali all’interno del suo partito. «Lasciare ora porterebbe al rischio di un’escalation della violenza», afferma. E su questo Bush non ammette repliche, porrà il veto per bloccare qualsiasi legge del Congresso che preveda una scadenza. E, poche ore più tardi, ecco la sfida: con 223 voti a favore e 201 contrari la Camera dei Rappresentanti approva il ritiro delle truppe dall’Iraq entro aprile e il disimpegno previsto dovrebbe cominciare entro 120 giorni. «La decisione su quando far rientrare i nostri soldati deve essere presa su basi militari, e non su basi politiche», aveva ammonito il presidente. Comunque sia, aggiunge, se ad un ritiro si vuole pensare, di sicuro non si comincerà prima di settembre, e la questione sarà affrontata sulla base del rapporto del generale David Petraeus, responsabile delle forze statunitensi in Iraq.
Si deve notare che il rapporto dell'intellgence americana afferma che al Qaeda non è mai stata così forte dopo l'11 settembre. Non che è più forte di quanto non fosse allora. Ma è proprio questo che suggeriscono i titoli: "Al Qaeda è più forte che nel 2001" (La Repubblica) "11 settembre, Al Qaeda più forte di 6 anni fa" L'Unità a pagina 11') e soprattutto "Al Qaeda più forte dopo l'11 settembre" (L'unità in prima, totalmente errato)
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Repubblica e dell'Unità