giovedi` 15 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.06.2007 Rivolta e repressione in Iran
per il razionamento della benzina

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: la redazione - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Perché i mullah gettano vera benzina sul fuoco di Teheran - «La gente è scontenta, le proteste cresceranno»»
Dal FOGLIO (pagina 3)del 28 giugno, un'analisi sulle proteste in Iran per il razionamento della benzina:

Roma. Il razionamento del prezzo della benzina ha provocato una serie di moti popolari a Teheran e nel resto del paese, nel corso dei quali decine di distributori (dodici nella sola capitale) sono stati ieri dati alle fiamme da manifestanti inferociti. Manifestazioni di rabbia, a cui il regime ha subito risposto con violenza immediata ed efficace, che lascia intravedere i contorni di un disegno preordinato più che di una crisi del regime degli ayatollah. La rivolta disperata e impolitica è stata infatti la reazione prevista a una provocazione dall’alto, da un governo che trova così la giustificazione per effettuare un’ulteriore stretta repressiva, dopo quella in corso da mesi sul piano della “moralità islamica”. Una stretta repressiva contro “i sobillatori” che condanna al mutismo e all’impotenza i settori sociali moderati, sempre più tentati dall’opposizione, ma timorosi di essere coinvolti da disordini tanto violenti, quanto inconcludenti. Una provocazione dunque, che cade alla vigilia di nuove e più stringenti sanzioni dell’Onu, che permette al regime di sostenere meglio sul piano interno la necessità ancora più motivata di sviluppare il programma nucleare e di scatenare bassiji e pasdaran nella repressione dei pochi oppositori che hanno il coraggio di sollevare la testa. Certo, la necessità di razionare il carburante deriva dal fatto che dal 1979 a oggi l’Iran rivoluzionario nulla ha investito nelle raffinerie ereditate dallo scià, prova evidente di incapacità nel fare fronte ai bisogni del paese. Oggi, la Repubblica islamica produce circa 4,2 milioni di barili al giorno e ne esporta 2,4, il resto è consumato sul mercato interno. Ma, a causa dell’obsolescenza delle sue raffinerie, l’Iran non è in grado di provvedere al fabbisogno nazionale, così che il consumo quotidiano di benzina, che sfiora gli 80 milioni di litri, viene coperto per il 40 per cento da carburante estratto in Iran, raffinato all’estero e poi reimportato. Nell’anno iraniano finito nel marzo 2007, lo stato ha speso cinque miliardi di dollari per le importazioni di benzina raffinata all’estero e venduta sottocosto (come se fosse raffinata nel paese). Per il prossimo esercizio, che finirà nel marzo del 2008, il Parlamento ha stanziato soltanto 2,5 miliardi di dollari, che basteranno per coprire le importazioni soltanto per i primi quattro mesi, cioè fino alla fine di luglio. Da qui la decisione di razionare il carburante (3,3 litri al giorno), misura la cui responsabilità – il punto è fondamentale – non ricade sull’esecutivo dell’estremista Mahmoud Ahmadinejad, ma sul Parlamento, dominato dalla componente realpolitiker. A dimostrazione del fatto che il gruppo dirigente iraniano nel suo complesso non teme di apparire inadeguato a fronte dello sviluppo, non si preoccupa del consenso dei ceti produttivi, né si spaventa per la fuga crescente di capitali. Il programma nucleare di Ahmadinejad, che questo razionamento di benzina porta ancora di più a enfatizzare è d’altronde pienamente condiviso – solo con una diversità di accenti realpolitiker – dalla maggioranza parlamentare, come da Rafsanjani e dagli altri ayatollah che in occidente vengono oggi definiti “moderati”. Ugualmente è pienamente condivisa da tutti i settori del Parlamento e del regime, l’obiettivo strategico della distruzione di Israele (enucleato nel 1979 dall’ayatollah Khomeini), propugnato anche da quel Kathami, che l’Europa tanto ama. Forte della espansione della sua influenza regionale in Libano e a Gaza (l’Egitto continua a denunciare l’influenza iraniana dietro le iniziative di Hamas), il regime si prepara oggi, anche con queste provocazioni, a una stretta sul piano interno per meglio reggere l’urto con la comunità internazionale. Né dovrà sorprendere una possibile sostituzione, preconizzata da non pochi analisti, di Mahmoud Ahmadinejad con un altro premier. In realtà il presidente iraniano non è il leader, ma soltanto lo speaker, populista e efficace, di un gruppo dirigente fondato sull’alleanza tra pasdaran e ayatollah. Può essere sostituito quindi senza strappi o mutamenti di strategia da una leadership spregiudicata che appare, purtroppo, sempre più agile.

Dal CORRIERE della SERA (pagina 14) un'intervista all'economista Saeed Leylaz:

«Se Washington volesse davvero mettere fine al regime islamico in Iran, dovrebbe solo assicurarsi che Ahmadinejad resti al potere fino a quando la gente, la nostra gente non ne potrà più. Un'arma molto più efficace di qualsiasi sanzione, come mostrano le proteste di queste ore». Saeed Leylaz, uno dei più rispettati ed espliciti analisti indipendenti iraniani, economista, riformatore, già capo gabinetto con Khatami e direttore generale di aziende pubbliche fino all'elezione di Ahmadinejad (che lo licenziò in tronco), al telefono da Teheran sostiene che la decisione annunciata all'improvviso di razionare la benzina — in un Paese dove il diritto a averla quasi gratis è scontato — è solo un'ennesima prova della «politica assurda, populistica e catastrofica del presidente. Politica di cui la gente è già largamente stufa».
Ma che peso hanno queste proteste?
«Non molto di per sé, anche perché la quantità di carburante permessa per i prossimi quattro mesi potrà essere consumata in uno o due mesi e la vera emergenza scoppierà quindi tra un po'. Ma la benzina è un simbolo: la gente sta soffrendo da tempo per il forte deterioramento dell'economia, l'inflazione è triplicata in un anno, la massa monetaria cresciuta del 42%. Una crisi mai vista nella storia dell'Iran».
Le proteste sono organizzate? C'è qualche legame con quelle per diritti umani e libertà dell'élite intellettuale?
«Nessuna organizzazione. E nessun legame: alla stragrande maggioranza degli iraniani i diritti umani non interessano, guardano ai loro interessi. Ma c'è un legame nel senso che il governo ha preparato da mesi l'imposizione del razionamento aumentando la sicurezza in tutto il Paese con la scusa di controllare le donne "malvelate" o gli elementi sovversivi, gli intellettuali appunto. Infatti le proteste sono state subito sedate, il regime ha tutto sotto controllo».
Eppure il razionamento indica un indebolimento del regime, anche a causa delle sanzioni dell'Onu. Non crede?
«Certo, il governo avrebbe fatto volentieri a meno di imporre il razionamento, ma è costretto a farlo perché deve ridurre consumi e sussidi pena la bancarotta. E questo non tanto per le sanzioni, che in realtà uniscono il Paese e hanno poco impatto economico, ma per la politica del presidente: dei 75 miliardi di dollari entrati nelle casse dell'Iran nel 2006 una gran parte è stata bruciata da lui con corruzione ed errori. Anche il razionamento è un errore: il parlamento aveva proposto giustamente di aumentare il prezzo della benzina ma Ahmadinejad ha posto il veto, gli sembrava una scelta "impopolare". Tra l'altro, ora milioni di automobilisti dovranno usare carte elettroniche in un Paese dove non esistono nemmeno le carte di credito, mancano le infrastrutture tecnologiche e molti sanno appena scrivere. Il governo potrebbe fare marcia indietro dal razionamento adducendo "problemi tecnici" ».
Tra meno di un anno ci saranno le elezioni parlamentari: crede che lo scontento generale porterà alla sconfitta della destra?
«Sarà difficile, il sistema si sta ricompattando: la Guida Suprema Khamenei, che qualche mese fa aveva preso le distanze da Ahmadinejad, ora è tornato a sostenerlo in pieno. Il 99% dei media è nelle loro mani e anche in queste ore sono pieni di promesse e inviti alla calma. Il sistema di controllo sociale e politico è massiccio. E temo che il ricorso alle urne ormai non sia più uno strumento di cambiamento in Iran».
Cosa intende dire, che il cambiamento verrà da proteste di piazza, da una nuova rivoluzione?
«È presto per dirlo. Di certo il regime oggi ha il controllo del Paese. Ma di certo la gente è molto, molto scontenta. E la storia non finisce con le proteste di queste ore».

lettere@ilfoglio.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT