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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
26.06.2007 Per Fabio Mini Hezbollah è una forza di stabilizzazione
faceva, meglio, il lavoro dell'Unifil

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Francesco Grignetti - Fabio Mini
Titolo: «“Qualcuno sta tentando di scalzare Hezbollah e noi siamo in mezzo” - CHI SPARA SUI CASCHI BLU»
In un'intervista alla STAMPA e in un articolo pubblicato dalla REPUBBLICA del 26 giugno 2007 il generale Fabio Mini dipinge Hezbollah come una forza di stabilizzazione del sud del Libano.
Le truppe Unifil, secondo lui,  farebbero, peggio, lo stesso lavoro che prima faceva Hezbollah: impedire infiltrazioni de gruppi  maggiormenete"estremisti".
Nell'articolo, inj un elenco di attori regionali che, invece di stabilizzare come Hezbollah, destabilizzano, compare anche Israele.

Ricordiamo che il gruppo terroristico sciita, già responsabile di attentati e sequestri contro occidentali in Libano e di attentati antisemiti in America latina, non persegue soltanto la distruzione di Israele, ma anche l'esportazione nel mondo della rivoluzione khomeinista.
E che anche attraverso di esso la Siria mantiene una forma di controllo del Libano, contro i democratici locali e la comunità internazionale.


Da La STAMPA ( apagina 13 ):


Il generale Fabio Mini, già comandante della missione in Kosovo, all’inizio l’aveva vista bene, la missione Unifil in Libano. Ma con il passare dei mesi era cresciuta la preoccupazione. «Perché mi sembra chiaro che si è tornati all’antico. I Caschi Blu fanno gli osservatori e basta. Puntualmente siamo tornati a prendere legnate».
In che senso, generale, siamo tornati indietro?
«Ricordate con quale slancio era cominciata questa missione? Non a caso si chiama Unifil-2. E’ perché l’Onu sta da quelle parti da trent’anni con l’esperienza di Unifil-1. Un fallimento. I soldati dei diversi contingenti internazionali stavano lì con i mezzi dipinti di bianco a incassare colpi senza poter reagire. Poi è arrivata Unifil-2 e la Risoluzione 1701. Risultato: per dodici mesi tutto è andato bene, ma nel frattempo qualcosa stava cambiando sul terreno».
Che cosa stava accadendo?
«Hezbollah, unilateralmente, ha sgombrato il campo. Una scelta politica per non interferire con la missione Onu che, al momento, è gradita. Ma hanno fatto un errore di prospettiva: hanno visto dispiegarsi tanti soldati e hanno pensato che ci avrebbero pensato quelli a occupare il territorio. Errore. Un contingente Onu è un falso pieno, in realtà è un mezzo vuoto. Dipende dalle regole d’ingaggio stabilite a New York. I Caschi Blu non possono fare nulla, se non difendersi in caso di attacco. Non possono uscire dalla fascia di territorio concordato. Non possono usare le maniere forti. Non possono fare accordi “sporchi”. Devono solo mostrare la bandiera dell’Onu, sperando nel buon cuore dei contendenti, e fare affidamento sull’esercito regolare libanese che di fatto non controlla niente. E adesso il brutto risveglio: c’è qualcuno, non so chi, chiamiamolo un terzo incomodo, che evidentemente ce l’ha con Hezbollah e vuole insidiare il suo ruolo, e che ha deciso di occupare quel vuoto. Alla maniera libanese, cioè con un’autobomba».
E ora, generale Mini?
«La missione, così com’è, è terribilmente vulnerabile. Lo dico per paradosso: c’è solo da sperare che l’attentato costato la vita agli spagnoli non fosse un atto preciso contro Unifil, ma un’azione di terrorismo in generale. Perché, se invece il bersaglio era proprio Unifil, ci sarebbe da preoccuparsi e molto. Tutti coloro che partecipano alla missione, anche gli italiani, sarebbero in pericolo».
E quale è lo scopo finale di questi attentati?
«Innanzitutto incrinare il mito di Hezbollah. Dimostrare che non controllano affatto il sud del Libano. Più in generale, siccome quel partito è insieme una forza estremista ma anche un partito interessato alla politica e al governo, c’è chi ha deciso di mostrarsi più estremistai».
Scenario inquietante, non trova?
«Guardi, che a un certo punto la missione dei Caschi Blu potesse finire per trovarsi tra i due fuochi, era nel conto. Il guaio è che sta finendo tra tre o quattro fuochi diversi. Io avevo creduto che Unifil-2 avrebbe segnato l’avvio di una stagione di maggiore protagonismo della comunità internazionale e degli europei. Così non è stato. La situazione è assai delicata. La missione rischia di finire in un cul de sac».

Da La REPUBBLICA ( a pagina 6):

Che in una situazione complessa come quella libanese saltino fuori nuovi fattori di destabilizzazione non è insolito. Da tempo alcune fonti internazionali d´intelligence attribuivano le rivolte e gli attacchi a cellule terroristiche collegate ad Al Qaeda. Gente "esterna", che agirebbe per conto di una centrale del terrore globale secondo uno schema ormai facile da capire. Perfino troppo facile. Oggi gli attacchi subiti dal contingente spagnolo di Unifil sono attribuiti a queste cellule, e gli stessi esponenti di Hezbollah si uniscono alla sorpresa e all´indignazione di tutti gli altri. Non sembra meravigliare più di tanto il fatto che degli "esterni" siano riusciti ad infiltrarsi in Libano. Paradossalmente, per essere ottimisti, bisognerebbe ipotizzare che l´ondata di violenze sia generalizzata e "generica". È più "rassicurante" un´azione selvaggia di nuovi terroristi che s´infiltrano nelle maglie delle decine di attori locali e internazionali e colpiscono chiunque trovano sulla loro strada, piuttosto che ipotizzare una nuova strategia di uno o più dei soliti attori (palestinesi, Hamas, Hezbollah, siriani, sciiti, maroniti, israeliani...) contro la forza internazionale. Perché in questo caso bisognerebbe prendere atto di una modifica sostanziale della situazione e di un innalzamento del rischio, che le forze internazionali non sono in grado di affrontare con il mandato e con le limitazioni attuali. In particolare, significherebbe che qualcuno ha capito che la parte più vulnerabile è l´Unifil.
Chi sperava che la missione Onu potesse riempire il vuoto creato da Hezbollah a sud del fiume Litani, non aveva dimestichezza con le missioni Onu. Se lo stesso Partito di Dio pensava che abbandonando le attività militari nel sud del Libano avrebbe consentito all´Onu di "controllare" il territorio, ha dimostrato una fragorosa ignoranza del sistema operativo Onu. I caschi blu non riempiono mai i "vuoti" lasciati da altri, perché sono vuoti di potere e l´Onu rinuncia ad esercitare un qualsiasi potere attivo se non a parole. L´Unifil non può agire autonomamente, si deve affidare alla buona volontà di altri: governo ed esercito libanesi, Hezbollah, capi locali, israeliani, siriani. L´Unifil è costretta in una fascia di territorio e non ha capacità di manovra all´esterno. Non ha fonti informative autonome e affidabili. Deve prendere per buono quello che le dicono le intelligence dei vari paesi, e non sempre tali informazioni sono tempestive o scevre da interessi particolari. L´Unifil è sempre sotto ricatto materiale e morale: se reagisce con la forza viola le regole, se non reagisce alimenta i crimini e i propri rischi.
Quando l´Onu aumenta le truppe in genere aumenta i bersagli per l´avversario, e quando aumenta il numero dei settori aumenta le diversità di gestione, complicando l´azione dei comandanti. Quando l´Onu fa decadere (come ha fatto) l´importanza e la responsabilità della cellula strategica non fa altro che sottrarre autorità e responsabilità a chi se le voleva assumere. L´intervento in Libano avrebbe dovuto inaugurare un nuovo impegno politico europeo e internazionale nell´area. Si è parlato molto e fatto poco. Se l´azione terroristica di questi giorni è generalizzata, la situazione è grave per il Libano. Se è diretta contro l´Unifil, significa che qualche marpione senza scrupoli ha ripreso a colpire il punto più debole del sistema di sicurezza internazionale, che oggi è affidato ai nostri soldati e ai loro compagni d´arme.

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