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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Il Riformista Rassegna Stampa
22.06.2007 Il gay pride a Gerusalemme
non è stato fermato dagli anatemi degli ultraortodossi

Testata:Il Giornale - Il Riformista
Autore: la redazione -momi
Titolo: «La maledizione dei rabbini sul gay pride - Per sfilare a Gerusalemme schierati 2000 poliziotti»
Dal GIORNALE del 22 giugno 2007, apagina 10:

Davanti a tutti ci sono loro, i tre superporcellini, muscoli pompati e avambracci depilati, tre cappellacci da cowboy rosa, scintillanti di lamè e lustrini, sotto il raso bianco di tre ombrellini. Regalano baci carezze, slinguate e sculacciate, danzano nel tutù deforme, sollevano i polpacci, offrono il pube scandalosamente prosperoso. Poi gli altri duemila, forse meno, nell’abbraccio soffocante di 7mila poliziotti. Un esercito in settecento metri di sfilata. Gerusalemme assediata, e cotanto rumoroso, sfavillante, orgoglio gay imprigionato nell’asfalto transennato che dall’incrocio di King David Street e Moshe Hess Street sale allo storico King David Hotel.
Da ieri notte Mea Sharim e gli altri quartieri del fondamentalismo ebraico sono in fermento. Certi come sempre di poter disporre degli arcani della cabbala, i capi rabbini di “Eda Haredit” già annunciano «funerali imminenti» per chiunque partecipi o renda possibile la manifestazione. Gli agenti di servizio – consigliano premurosi - «farebbero meglio a darsi malati e risparmiarsi imminenti visite ai reparti oncologici degli ospedali». All’ormai tradizionale maledizione s’accompagna la consueta mobilitazione di tutto l’estremismo religioso ebraico.
I primi sul piede di guerra sono gli haredim, i tradizionalisti ultraortodossi in pastrano nero e cappellaccio calato su barba e treccine. Fosse per loro quei duemila debosciati andrebbero espulsi dalla Citta Santa, mandati a purificarsi da vizi e peccati. Due anni fa a raccogliere i loro inviti ci pensò il signor Yishai Schlissel. Saltò le transenne, si mescolò alla folla, tiro fuori il coltellaccio da cucina, lo affondò nella schiena di tre disgraziati. Loro se la cavarono, ma da allora la polizia non vuole più sorprese. E non ha torto. L’altra notte a Meah Sharim, Givat Shaul, Beit Israel e Beit Vegan si son vissute ore di guerriglia urbana tra cassonetti incendiati, lanci di molotov, gragnuole di sassi e botte da orbi tra agenti e fanatici in pastrano nero.
A rendere tutti più agitati, poco prima della parata, ci pensa un altro giovane invasato sorpreso a girare con un rudimentale ordigno esplosivo. «Volevo farlo esplodere tra le erbacce... tanto per mettere un po’ di paura a quella gente», racconta mentre gli agenti lo portano via.
In King David Street i tre porcellini già guidano il corteo inseguiti dal rutilante, balzellante, starnazzante universo arcobaleno. Due ragazze s’infilano l’un l’altra la lingua in bocca, s’accarezzano le braccia e più giù mentre un girotondo di palloncini multicolori le consegna agli obbiettivi dei fotografi. L’estrema sinistra saltella attorno al bandierone disteso tra i due lati della strada e avanza al grido di “Ha’zot litzod Hi Zhot Herot”, “Il diritto di marciare è un diritto basilare”. Subito dietro un’arrapata pattuglia di lesbiche va più sul concreto: «Di sposarci – strilla – non ce ne frega niente vogliamo solo scopare».
A vegliare su tutti ci pensa Eli Krichman. Ha 62 anni, il barbone bianco, la camicia militare, un liso pantalone d’ordinanza e il sandalo di plastica ai piedi. Su uno scudo di legno ha disegnato una stella di David tutta nera. L’altra mano agita un bastone con sopra piantato lo stendardo arcobaleno.
Eli è stato un paracadutista, ha combattuto sul fronte egiziano, era qui, ricorda, 40 anni fa quando una foto immortalò i suoi commilitoni in preghiera davanti al “muro del pianto” conquistato. «Ora – ti spiega - combatto per i diritti di questi ragazzi, arrivo da Tel Aviv, lo faccio ogni volta... perché questo deve essere un Paese libero».

Dal RIFORMISTA, a pagina 6:

Settemila poliziotti, quarantacinque ambulanze e più di duecento paramedici. E tutto per garantire la sicurezza di una manifestazione che avrà attirato, sì e no, duemila persone. A Gerusalemme, il Gay Pride è diventato una questione di sicurezza nazionale, a causa delle proteste violente delle componenti più radicali della comunità ultraortodossa. Più della manifestazione, ha fatto rumore la contro-manifestazione omofoba, cui hanno partecipato circa 1500 persone. La contro-manifestazione è stata organizzata dall'associazione “Edah Hacharedis”, che rappresenta le sette ebraiche anti-sioniste ultra-ortodosse presenti a Gerusalemme. Questa piccola ma agguerrita comunità, che vanta qualche migliaio di persone, vive seguendo un'interpretazione quasi medievale dei testi sacri: il risultato è che non riconoscono la legittimità dello stato laico (men che meno di Israele, colpevole a dir loro di avere bypassato l'attesa del Messia), e che ritengono la violenza contro gli omosessuali un dovere morale. In Italia dei “rabbini antisionisti” si è parlato lo scorso anno, in occasione del «Convegno anti-Israele», organizzato a Montecitorio dall'Islamic Anti-Defamation League a ridosso dell'11 settembre.
Altre comunità ebraiche ortodosse, ultra-ortodosse, cristiane e musulmane hanno condannato lo svolgimento del Gay Pride nella città santa alle tre religioni, ma non per questo hanno reagito con violenza. Non solo, proprio temendo il monopolio di “Edah Hacharedis” e delle componenti più violente, i rabbini ortodossi e ultra-ortodossi hanno invitato i fedeli a non partecipare alla contro-manifestazione. Le autorità israeliane ritengono che questa decisione sia stata molto utile per contenere le violenze. Che comunque non sono mancate.
Il quotidiano Haaretz riportava che la polizia locale si era preparata alle peggiori evenienze, inclusa la possibilità di un ipotetico attacco terrorista (vuoi di matrice islamica, vuoi di matrice ebraica ultraortodossa, visto che l'omofobia mette d'accordo i fanatici di ambo le parti), o il tentato omicidio di alcuni manifestanti.
I timori erano ben fondati. Un giorno prima della parata, mercoledì, la polizia ha trovato un paio di bombe finte nelle strade, gli pseudo-esplosivi recavano la scritta: «Se ci sarà il Gay Pride, i prossimi saranno veri».
Ieri, infatti, i poliziotti hanno arrestato un giovane ultra-ortodosso che portava con sé una bomba di fabbricazione casereccia. Sempre ieri, altri fanatici religiosi hanno attaccato la polizia, lanciando molotov e pietre contro gli agenti: due i poliziotti feriti, 23 i manifestanti arrestati.
Poco fuori dalla capitale, nel sobborgo di Beit Shemesh, altri ultra-ortodossi hanno bloccato la strada e dato fuoco a cassonetti dell'immondizia per protestare contro il Gay Pride. Non è la prima volta che la manifestazione dell'orgoglio omosex è accompagnata da reazioni violente.
Nell'edizione di due anni fa, un fanatico religioso, tale Yishai Schissel, era riuscito a infiltrarsi nella parata, armato di coltelli, e prima che la polizia lo fermasse riuscì a ferire tre persone.
In molti hanno tentato di fermare la manifestazione dell'orgoglio omosessuale nella città sacra per tre religioni. Un noto estremista di destra, Itamar Ben-Gvir (già membro del movimento Kach, dichiarato illegale per la costante incitazione alla violenza dei suoi leader), ha persino fatto appello a una corte locale, con il pretesto che una manifestazione di quelle dimensioni, in questi giorni, non può essere a norma di sicurezza, visto che è in atto uno sciopero dei vigili del fuoco. In effetti, per gli organizzatori del Gay Pride, il tempismo non è dei più felici: circa 1500 pompieri di Gerusalemme sono in sciopero da giorni, per ragioni sindacali che nulla hanno a che vedere con l'occasione. I giudici, comunque, hanno deciso che lo sciopero dei pompieri non doveva rimandare la parata, a patto che le forze dell'ordine fossero dotate di apparecchiature anti-incendio.
Poche settimane fa, la Knesset aveva approvato in via preliminare il testo di una legge che dichiarava illegale le manifestazioni omosex a Gerusalemme: visto che non è stata approvata in via definitiva, la legge non è ancora in vigore, e quindi il Gay Pride si è potuto svolgere. La proposta era stata avanzata da due piccoli partiti radicali, il Mafdal e lo Shas, ed era passata grazie ai voti di Kadima, pare in cambio del sostegno dello Shas per l'elezione di Shimon Peres alla presidenza.
I rappresentanti di “Open House”, la più grande associazione gay di Gerusalemme, hanno accettato di dare alla manifestazione un tono pacato, onde non fomentare ulteriormente il clima di tensione che si respira nella capitale. Questo non è servito a placare gli animi delle sette antisioniste.

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