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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.05.2007 Coinvolgere la Lega araba
la proposta dello scrittore Gadi Taub per risolvere la crisi palestinese

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 maggio 2007
Pagina: 15
Autore: Gadi Taub
Titolo: «Una forza guidata dalla Lega araba per costruire la nazione palestinese»

Dal CORRIERE della SERA del 28 maggio 2007:

Israele ha dovuto colpire Hamas, e probabilmente lo farà ancora. Nessuno Stato sovrano può stare a guardare mentre una sua città viene svuotata dagli attacchi missilistici. L'azione militare avrà qualche effetto, ma non a lungo termine: il ciclo, con ogni probabilità, si ripeterà. Nessuna invasione, seppur inesorabile allo stato attuale delle cose, risolverà il problema. Nell'assenza di uno Stato palestinese autosufficiente, qualsiasi gruppo armato può tenere in ostaggio il futuro della popolazione, trascinando tutte le parti in un circolo vizioso. Non c'è modo di applicare strategie politiche, dinanzi al caos. Nessuno da dissuadere, nessuno da remunerare, con cui scendere a patti, né cui dichiarare guerra. Soltanto una spirale ove la violenza genera sempre maggiore violenza. La guerra in Libano ha impartito agli israeliani l'amara lezione che Hamas, assieme a un'ampia costellazione di gruppi di guerriglia a Gaza, sta ora corroborando: senza una qualche forma di potere sovrano stabile cui affidare l'autorità, il ritiro unilaterale non è garanzia di pace. Il conflitto libanese, però, ha anche suggerito una possibile via d'uscita: l'intervento internazionale e il ricorso a una forza multilaterale di peacekeeping.
Forza che, però, nel caso di Gaza (e possibilmente della Cisgiordania) dovrà adoperarsi più di quanto la missione guidata dall'Italia stia attualmente facendo in Libano. Per prima cosa, dovrà essere molto più rigorosa nel monitorare la proliferazione delle armi. E, soprattutto, in Palestina dovrà assolvere a un compito molto più critico: facilitare il «nation building», la costruzione della nazione. In quella che, nelle speranze di tutti, sarà una Palestina fiorente, l'apparato statale è oggi ancor meno presente che in Libano. E senza uno Stato, in Israele come in Palestina, nessuno potrà dirsi al sicuro.
Dopo il passo falso dell'America in Iraq, due principi appaiono chiari: il processo di «nation building» deve essere suffragato da un mandato internazionale, e la teoria della democrazia istantanea, probabilmente, non riflette una prospettiva realistica. Al fine di eludere il fantasma del colonialismo occidentale, che tuttora agita vecchi scheletri nell'armadio del mondo arabo, sarebbe più che ragionevole assegnare alla Lega araba un ruolo-chiave in questo processo. D'altro canto, per esorcizzare le paure degli israeliani, quest'ultima dovrebbe agire sotto una copertura internazionale quanto più ampia. Se Israele sceglierà la via della ragionevolezza, sosterrà la creazione di tale cornice. Ciò che presuppone anche che il Paese compia passi coraggiosi e riconosca il piano di pace della Lega araba quale punto di partenza per la pacificazione della regione.
Un quadro per le trattative di pace, assieme a un mandato Onu in Palestina con il sostegno di una forza internazionale di peacekeeping, offrirebbe ampi margini per una soluzione ragionevole: l'occupazione israeliana cesserebbe, rendendo possibile la costituzione di una Palestina autosufficiente e accelerando la riconciliazione tra Israele e i Paesi vicini. I tempi sono maturi. Con l'incombere dello spettro del fondamentalismo, molteplici interessi convergono su tale piano: dai regimi arabi moderati all'Europa, all'Onu e alla comunità internazionale in generale, tutti hanno una posta in gioco. E una cosa è certa: gli israeliani e i palestinesi hanno tutto da guadagnare, e sempre meno da perdere.

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