Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Operazioni coperte, manovre navali e diplomazia il confronto tra Usa e Iran
Testata:Corriere della Sera - La Stampa Autore: Guido Olimpio - Maurizio Molinari Titolo: «La sfida di Bush agli ayatollah Schierata la flotta nel Golfo, via alle «operazioni coperte» - Muscoli più negoziati»
Dal CORRIERE della SERA del 24 maggio 2007:
La fuga di notizie ha anticipato di qualche ora il rapporto dell'Aiea sull'Iran. La Cia — secondo quanto rivela la rete Abc — è stata autorizzata da Bush a lanciare nuove operazioni coperte. Quelle che gli agenti chiamano nel loro gergo «black». Nere, sporche. L'obiettivo è quello di destabilizzare il regime dei mullah. Logorandone i nervi, esacerbando le tensioni interne, esercitando pressioni militari-diplomatiche che facciano pensare a qualcosa di più pesante. L'intelligence si impegnerà in manovre di propaganda, disinformazione e manipolazione nei confronti di Teheran. Gli 007 cercheranno di intercettare possibili forniture tecnologiche e interverranno sugli scambi commerciali iraniani provando a sabotare contratti come affari. Contando sulle difficoltà degli ayatollah nell'acquisto di materiale nucleare, la Cia organizzerà delle «stangate». In poche parole offrirà, sotto mentite spoglie, macchine fallate o informazioni errate. Il piano — aggiunge l'Abc — non prevederebbe però attività armate: l'ordine di Bush precisa che devono essere «azioni non letali». In questa cornice rientrano maggiori aiuti alla dissidenza iraniana all'estero e il supporto alle voci contrarie all'interno. Le assicurazioni sulla non letalità delle operazioni in realtà lasciano dubbiosi gli esperti. Gli americani, da diversi mesi, hanno accresciuto l'assistenza a formazioni armate iraniane. I curdi nel Nord (forse con la collaborazione di Israele), la minoranza araba nel Centro-Sud, i beluci di Jundallah verso Oriente. In particolare questi ultimi sono i più intraprendenti nel lanciare attacchi contro i pasdaran, malgrado abbiano subito retate anche ad opera dei pachistani. Ma le rivelazioni non rappresentano l'unica coincidenza con il rapporto nucleare. Il Pentagono ha dato pubblicità alle nuove esercitazioni nel Golfo Persico. Due portaerei — Nimitz e Stennis —, sette navi di scorta, decine di aerei, 17 mila uomini compieranno manovre attraverso lo Stretto di Hormuz, vena giugulare petrolifera e snodo strategico. Una esibizione di cannoniere per rammentare all'Iran che se la diplomazia dovesse fallire sono allo studio altre opzioni. Negli ambienti diplomatici si ritiene che la presenza della task force costituisca un'ulteriore forma di pressione nella campagna di logoramento. Anche se i falchi di Washington fanno balenare l'idea del blitz sono in molti a credere che sarà l'ultima risorsa. Troppi i rischi di un'altra avventura. I consiglieri invitano poi a non sottovalutare l'Iran. Malgrado l'assedio, il presidente Ahmadinejad sfoggia risolutezza. E risponde a Bush colpendo ugualmente sotto la cintura. Fonti di intelligence hanno segnalato l'attività degli 007 iraniani su tre livelli: 1) Inviano armi ai talebani in Afghanistan: in particolare razzi e missili anti-aerei. 2) Continuano a essere coinvolti nelle trame in Iraq sostenendo non solo gli sciiti ma anche i radicali sunniti. 3) Raccolgono informazioni su possibili obiettivi in Occidente (centrali e impianti industriali). In caso di un attacco Usa saranno i primi bersagli della rappresaglia. Ma non è l'unica sorpresa. A fine febbraio, in Sudan, si è svolto un summit tra il dirigente di Hamas, Khaled Meshal, esponenti sudanesi e un ufficiale dell'Armata Qods dei pasdaran. I tre hanno deciso di creare un canale di rifornimento per le armi dirette sia a cellule della Jihad egiziana che agli estremisti a Gaza. In Egitto il traffico sarà gestito da Kamal Habib, alto esponente integralista. I carichi bellici iraniani partiranno dal Sudan e saranno contrabbandati come pezzi di ricambio. Per rifornire i palestinesi saranno usati i tunnel costruiti al confine Gaza-Egitto. Il coordinamento toccherà alle spie iraniane. E la spregiudicatezza di Teheran è confermata dal ricorso alla carta degli ostaggi. Diversi americani o iraniani con cittadinanza Usa sono trattenuti nelle prigioni iraniane. Tra loro Haleh Esfandiari del centro Wilson, Kian Tajbakhsh, consulente di George Soros e professore alla Columbia University e l'ex agente Fbi Bob Levinson, sparito dopo un viaggio sull'isola di Kish. I primi due sono accusati di atti sovversivi, il terzo è un fantasma in quanto Teheran sostiene di non saperne nulla. I mullah li considerano una moneta di scambio per 5 ufficiali dei pasdaran arrestati dagli americani a Erbil. E' probabile che la sorte di tutti prigionieri sia discussa al vertice in programma a Bagdad per il 28 maggio. Americani e iraniani, nonostante tutto, hanno deciso di parlarsi «solo sull'Iraq».
Dalla STAMPA del 24 maggio 2007:
Dietro le esercitazioni a sorpresa della grande armata della Us Navy a ridosso delle acque territoriali iraniane c’è la strategia della Casa Bianca di tenere sotto pressione Teheran in coincidenza dell’inizio dei colloqui sull’Iraq. Come avveniva con Mosca ai tempi della Guerra Fredda, Washington gioca su più fronti: mostra gli arsenali, negozia, conduce operazioni segrete, sostiene il dissenso e costruisce alleanze. Se la dottrina Usa del contenimento aggressivo dell’Urss nacque dal «lungo telegramma» scritto dall’ambasciatore a Mosca George Kennan fra il 1944 e 1946, nel caso dell’Iran il documento iniziale è stato il rapporto dell’«Iraqi Study Group» di John Baker e Lee Hamilton che a fine 2006 ha suggerito al presidente George W. Bush un approccio simile. «Bisogna negoziare con l’Iran al fine di tutelare meglio i nostri interessi» disse Baker, ex Segretario di Stato di Bush padre, citando a chiare lettere il precedente dell’Urss. E questo è proprio quanto sta avvenendo: il 28 maggio a Baghdad gli ambasciatori di Usa e Iran daranno vita ai primi colloqui ufficiali da 27 anni, incentrati sulla situazione in Iraq, e l’Us Navy si esercita a possibili sbarchi per rammentare agli ayatollah che Washington quando parla non cede ma aspetta risultati. Durante la Guerra Fredda tensioni militari e negoziati si sovrapponevano spesso: dal blocco di Berlino, alla crisi di Cuba, fino allo schieramento dei missili SS20, Pershing e Cruise in Europa, la dimostrazione di forza bellica si è accompagnata a contatti e trattative su interessi contrastanti. In questo caso a illustrare gli interessi americani è stato il vicepresidente Dick Cheney parlando tredici giorni fa dal ponte della porterei Uss Stennis che guida le operazioni della Navy di fronte alle coste iraniane: «Non vi consentiremo di avere le armi nucleari e manterremo aperte le rotte nel Golfo». Come dire: gli ayatollah devono rinunciare al sogno delle atomiche come a mire egemoniche regionali. E’ questo contenimento aggressivo la cornice nella quale l’ambasciatore Ryan Crocker si presenterà a Baghdad con la richiesta di bloccare gli aiuti alla guerriglia irachena, facendo capire che accettando di disinnescare la guerra civile fra sciiti e sunniti Teheran può diventare un interlocutore negli equilibri in Medio Oriente, mentre rifiutando rischierà un crescente isolamento. Le pedine del grande gioco di Bush attorno all’Iran sono tutte in bella mostra: Us Navy a parte, ha autorizzato la Cia a condurre azioni clandestine in Iran, sostiene il dissenso interno di sindacati e intellettuali, e all’Onu ha consolidato un’intesa con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che preannuncia una terza risoluzione disseminata di sanzioni contro il nucleare. La morsa sull’Iran suggerita da Baker, sostenuta dall’Arabia Saudita e realizzata dal tandem Condoleezza Rice-Cheney si sta stringendo. L’unica, ma significativa, differenza rispetto alla Guerra Fredda è che in questo caso Bush e Cheney ripetono: «Ogni opzione è sul tavolo». Ricordando a Teheran che non dispone della deterrenza che aveva l’Urss e dunque un attacco non può essere escluso.
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