Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
L'Iran arricchisce l'uranio: rassegnamioci e continuiamo con la diplomazia e crediamo alla propaganda del regime
Testata:La Repubblica - La Stampa Autore: Alix Van Buren Titolo: «L´Aiea: l´Iran già avanti con il nucleare»
L'Aiea annuncia che l'Iran ha ormai la teconologia per arricchire l'uranio. Ormai è troppo tardi per rimediare commenta in sostanza, incredibilmente, Mohammed El Baradei. Tuttavia, per Alix Van Buren della REPUBBLICA , la minaccia non è l'Iran, ma l'intransigenza americana. Ecco l'articolo, pubblicato il 24 maggio 2007:
Dieci navi da guerra americane fanno rotta sul Golfo Persico il giorno in cui un rapporto dell´Agenzia internazionale per l´energia atomica (Aiea) conferma quel che il presidente iraniano Ahmadinejad va annunciando da tempo con pompa: che Teheran ha iniziato a produrre combustibile nucleare su scala industriale. Mentre Washington dispiega la sua flotta armata per dare contenuto alle minacce verbali indirizzate alla Repubblica islamica - «privilegiamo la diplomazia, ma nessuna opzione è da scartare, compresa quella militare», ripete ieri il portavoce della Casa Bianca - il documento Aiea fa svaporare lo scetticismo con cui l´Occidente aveva accolto in aprile il proclama di Ahmadinejad sui risultati degli scienziati iraniani nell´installare una prima cascata di tremila centrifughe, con l´obiettivo di costruirne 54 mila. Infatti i calcoli dell´Agenzia coincidono con i dati affissi da Teheran: nel superimpianto di Natanz 1640 centrifughe separano i costituenti dell´uranio fissili da quelli non fissili; altre 1300 centrifughe a gas già sono impegnate nel processo di arricchimento dell´uranio. Nelle parole della Casa Bianca ciò equivale «alla lista della spesa della continua sfida iraniana alla comunità internazionale». Il resoconto degli ispettori arriva allo scadere del secondo ultimatum espresso dal Consiglio di sicurezza dell´Onu il 24 marzo con la richiesta a Teheran di interrompere la produzione di combustibile nucleare. Da Washington l´Amministrazione Bush fa sapere d´avere allo studio un terzo rincaro delle sanzioni, sostenuto dal Consiglio di sicurezza, dalla Germania e da un nuovo alleato: il neopresidente francese Nicolas Sarkozy, favorevole a un «rafforzamento delle misure» punitive. Il Dipartimento di Stato martella coi suoi «no: non accetteremo un processo di arricchimento limitato, e no, non permetteremo che 1300 centrifughe continuino a rotare nello stabilimento di Natanz», dice il sottosegretario Nicholas Burns. Nel mirino stavolta c´è anche il capo dell´Aiea, Mohamed el Baradei, il quale la settimana scorsa ha scartato la strategia occidentale giudicandola «obsoleta»: l´Iran, sostiene el Baradei, già possiede la tecnologia dell´arricchimento d´uranio, perciò negargliela non servirebbe. Meglio porre un tetto alla produzione prima che questa avvenga su scala industriale. Burns, per tutta replica, informa che un gruppo di ambasciatori porgerà una protesta ufficiale a Vienna. Sullo sfondo, mentre le portaerei si avvicinano al Golfo, e il network Abc trasmette la notizia di un piano segreto autorizzato dal presidente Bush che dà mandato alla Cia di finanziare movimenti armati delle minoranze etniche iraniane, e di colpire la valuta di Teheran sui mercati finanziari, dalla Ue arriva un invito alla distensione. Anonimo, un diplomatico avvisa: sono in programma colloqui ad alto livello fra la Ue e l´Iran. L´Onu, assicura l´inviato europeo, ne aspetterà l´esito.
Intervista a critica di Claudio Gallo, sulla STAMPA al vice ministro degli Esteri iraniano Mohammed Ali Hosseini, che può ripetere tutte le bugie della propaganda di Teheran. Gallo arriva ddirittura a chiedere:"C’è in Iran la volontà politica di trattare con l'America? Oppure è Bush che non vuole dialogare?, siggerendo lui che la colpa della crisi sia degli Stati Uniti, non di uno Stato totalitario che sostiene il terrorismo e vorrebbe cancellare Israele dalla faccia della terra. Ecco il testo: Il vice ministro degli Esteri iraniano Mohammed Ali Hosseini, portavoce del ministro Mottaki, ci riceve nel suo ufficio al centro di Teheran. Grandi tende azzurre e giallo pallido, un pannello di legno con intarsiati due pavoni stilizzati. Quarantenne, capelli e barba appena incanutiti, camicia a quadratini azzurrina col colletto islamico, un completo color bruno scuro. Signor Hosseini, pensa che l'America attaccherà l’Iran? «Mi sembra che l’ultima invasione condotta dagli americani nella regione non sia finita moto bene. Sicuramente ci sono saggi consiglieri a Washington che cercano di convincere il presidente a non attaccare l’Iran, perché non sarebbe opportuno. Anche se, lo sappiamo bene, altri cercano di insufflare il contrario». Condoleezza Rice ha posto come precondizione per un dialogo globale con Teheran lo stop all'arricchimento dell’uranio. È così importante per voi continuare? «Nel 2003 come segno di buona volontà nei confronti degli europei, mettemmo fine all’arricchimento dell’uranio. Fu un gesto d’apertura perché nel Trattato di non proliferazione non c’è nessun articolo che parli di sospensione dell’arricchimento. Dopo due anni e mezzo che cosa ci aveva offerto l’Europa? Nulla, tranne la richiesta di proseguire nella sospensione. Questa richiesta ha due punti deboli: non è logica e non è legale. È ovvio che l’Iran non accetti tale imposizione». C’è in Iran la volontà politica di trattare con l'America? Oppure è Bush che non vuole dialogare? «Nei ventotto anni trascorsi dalla rivoluzione islamica, Washington ha cercato in tutti i modi di danneggiarci. Ha applicato diversi tipi di embargo, ha congelato i fondi iraniani all’estero. Nei diciotto anni di guerra, che non abbiamo cominciato noi, con Saddam Hussein hanno sostenuto e armato il nostro nemico. Oggi stanno inventando nuove sanzioni. Contro di noi hanno tramato tutto il possibile. Per questo pensiamo che se gli Usa non cambiano la loro politica verso l’Iran non sarà possibile nessun dialogo». Che tipo di influenza ha l’Iran in Iraq? «Il rapporto tra Iran e Iraq è molto antico. La Repubblica islamica ha contatti amichevoli con i diversi gruppi nazionali: sciiti, sunniti e curdi. Abbiamo usato la nostra influenza per cercare di mantenere la sicurezza, abbiamo aiutato a costruire le infrastrutture per risollevare il paese. Negli ultimi quattro anni siamo stati gli unici ad aver sostenuto la costituzione e il parlamento iracheni mentre altri paesi confinanti, diciamo così, non sono stati così costruttivi. La sicurezza di Baghdad ci sta a cuore perché è una tessera importante della stabilità della regione. Il caos in Iraq sarebbe la miccia di un grande incendio». Gli americani dicono che Teheran fornisce armi sofisticate alle milizie sciite in Iraq. Recentemente un portavoce dell’UsArmy ha accusato l’Iran di legami con Al Qaeda e la resistenza sunnita per scatenare un’offensiva d’estate che spinga il Congresso a chiedere il ritiro delle truppe. «Un mucchio di fesserie, propaganda. Ho già detto che l’Iran ha tutto l’interesse nella pacificazione dell’Iraq. D'altra parte ora anche i paesi vicini ci riconoscono un ruolo positivo. Le accuse di legami con Al Qaeda sono ridicole: sappiamo bene chi ha contribuito alla creazione e al sostegno di Al Qaeda». È ottimista sui colloqui con gli americani in Iraq del 28 maggio? «Spero che Washington avrà il buon senso di provare a capire la complessità della situazione. Se farà questo sforzo, sarà la cosa più importante». L’arresto per spionaggio dell’iraniana-americana Haleh Esfandiari potrà essere un ostacolo al dialogo? «Su questa storia ci sono state molte esagerazioni. La signora Esfandiari è ancora sotto indagine». Che ruolo può avere l’Italia nell’aprire una via al dialogo con l’Occidente? «Con i paesi europei abbiamo un ottimo dialogo. L’Italia è un nostro partner economico e politico storico. Crediamo che Roma possa fare molto per instaurare un nuovo clima di comprensione con l'Europa» Che cosa pensa della tensione in Libano. I soldati italiani che fanno parte del contingente Unifil potrebbero correre dei rischi? «La crisi del Libano è un problema interno, nazionale. L’interferenza di forze straniere ha complicato la situazione. La forza internazionale ha reso lo scenario ancora più difficile. Al Libano serve una soluzione libanese. Il paese può anche ricevere aiuti dall'esterno ma devono sciogliersi da soli i propri nodi».
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Repubblica