Caro direttore, ho aspettato di proposito la fine delle due manifestazioni contrapposte, il Family Day e l'Orgoglio Laico, prima di rispondere al rabbino Riccardo Di Segni, Gad Lerner e Riccardo Pacifici. Rav Di Segni e Lerner chiedevano entrambi ai dirigenti delle Comunità di far sentire la propria voce. Di più, si chiedevano dove fossimo finiti. Nella cena pasquale ebraica viene celebrata la libertà, che si realizza anche nella possibilità di fare domande; faccio mia questa tradizione.
Credono davvero Rav Di Segni, Lerner e Pacifici che su questi temi sia utile una presenza militante delle Comunità ebraiche? Sono convinti, Pacifici e Rav Di Segni, che pochi ebrei possano ebraicizzare le leggi italiane e pensano davvero che, qualora anche fosse possibile, sia nel nostro interesse farlo? E Gad Lerner ritiene corretto e opportuno attribuire etichette politiche a chiunque non la pensi come lui, notoriamente uomo schierato e di sinistra?
Mi pare che questa tensione sui temi religiosi, che questa volta ha investito le unioni di fatto e il matrimonio, nasca dalla minaccia del fondamentalismo islamico, alla quale vengono date due possibili reazioni tese entrambe a modificare il ruolo dello Stato.
Gli uni sostengono la necessità di riscoprire una forte identità religiosa occidentale con l'affermazione delle radici giudaico cristiane, la promozione di questi valori con la forza della Legge e la trasformazione di divieti morali in reati. Altri tendono ad arrivare a un rafforzamento distorto della laicità e replicano proponendo «il monoateismo», il tentativo di vietare i simboli religiosi fino a volte a invocare il divieto della «barbara» usanza della circoncisione. Ma sono davvero queste risposte adeguate?
Mi chiedo cosa possa insegnare la storia del nostro popolo. Abbiamo patito nei Paesi dove si voleva imporre una religione ufficiale con la forza dello Stato, ma anche dove all'opposto un'analoga espansione del ruolo dello Stato mirava a eliminare l'esistenza della religione stessa. Mi sembra invece che gli ebrei abbiano potuto vivere solo là dove lo Stato ha fatto un passo indietro ed è stata coltivata la libertà, così come avvenuto per esempio con la conquista — ricordata a Piazza Navona — della possibilità del divorzio. Forse è questo il messaggio che noi ebrei, per una volta uniti, potremmo dare al nostro Paese: la necessità di difendere la libertà di religione e la libertà di non essere religiosi. Vogliamo che i musulmani che vengono qui per lavorare possano pregare nelle moschee, nello stesso tempo è necessario che gli ingegneri cristiani, se lo desiderano, possano celebrare messa all'ombra dei pozzi petroliferi in riva al Golfo Persico.
Il rischio che corriamo invece è che le energie, le paure anche, che si sprigionano dall'incontro con la minaccia islamista finiscano per dare spazio a un rafforzamento dello Stato, il quale prima o poi limiterà le nostre libertà, mentre si rinuncia a esercitare alcuna influenza oltre il Mediterraneo, dove, in nome del dio business, si abbandonano gli oppressi, le donne musulmane, gli omosessuali, le altre minoranze religiose. Personalmente vorrei che usassimo le nostre forze, per altro esigue, per occuparci di questo.
Da EUROPA del 12 maggio, un intervento di Victor Magiar:È una condizione, quella del “diverso”, che gli ebrei conoscono fin troppo bene, e che da secoli accomuna nell’oppressione e nella persecuzione, tutti i “diversi” di ogni tipo, dai tempi della Santa Inquisizione fino ai cancelli di Auschwitz.
È proprio per questo che il sentimento di comprensione e di vicinanza che il mondo ebraico ha espresso nell’era moderna nei confronti degli omosessuali è sempre stato molto forte.
Questa vicinanza è stata palesata da artisti e intellettuali ebrei e ha trovato varie forme di sostegno “politico” da parte delle istituzioni ebraiche in momenti significativi (basti ricordare la querelle del Gay-Pride del 2000).
Questa attitudine alla “comprensione” della condizione degli omosessuali ha portato, per esempio, ad avere nello Stato di Israele una legislazione assai avanzata su questi temi.
Rimane comunque vivo il problema che per le religioni di Abramo l’omosessualità è un tabù, un comportamento non lecito.
Questione questa che, per i più osservanti, deve convivere con il sacro principio della laicità dello Stato democratico: la democrazia moderna nasce proprio sancendo questo principio, la netta divisione fra le leggi religiose e quelle civili dello Stato (principio scolpito a chiare lettere, per esempio, nella Costituzione americana).
Oggi la nostra società non sta discutendo se sia lecita l’omosessualità, ma sta cercando soluzioni pragmatiche a dei problemi reali: molte le coppie (eterosessuali e omosessuali) che convivono fuori dal matrimonio, molti i figli nati fuori dal matrimonio, molti i diritti sociali negati.
Permettere alla compagna di uno dei caduti di Nassiriya di partecipare ai funerali, permettere ad un paziente omosessuale ricoverato in ospedale di essere assistito dal proprio partner è una questione di civiltà e di umanità.
Sono alcuni diritti elementari, umani e umanitari, a spingerci a trovare soluzioni ragionevoli a problemi che angustiano migliaia di cittadini.
Già conosciamo la differenza fra legge dello Stato e legge religiosa: in Italia si può divorziare ma un buon cattolico seguirà i suoi principi, e non divorzierà… così la legge sui DICO non distruggerà alcuna famiglia ma darà qualche diritto e qualche garanzia, per esempio, ai figli nati fuori dal matrimonio.
Già in passato l’affermazione delle leggi sul divorzio e l’interruzione di gravidanza sono state presentate come una minaccia alla famiglia o come un affronto ai convincimenti religiosi della stragrande maggioranza degli italiani, così oggi c’è chi sostiene che la nuova legislazione sui DICO sia contro la famiglia: l’istituzione della famiglia, e il suo innegabile valore, sono strumentalmente agitati oggi non per far stare meglio chi è sposato, ma solo per far star peggio chi non è sposato.
Di più.
C’è chi usa la religione come strumento per la lotta politica, e anche chi usa la politica per difendere dei primati religiosi, basti ricordare la vicenda della bizzarra tesi delle “radici cristiane” (poi astutamente diventate giudaico-cristiane) dell’Europa: tesi questa poi respinta dalla maggioranza dei governi europei.
Di fronte a problemi complessi che non sono propriamente politici, ma che hanno a che fare con i cambiamenti della morale nelle nostre società moderne, e che mettono in discussione sensibilità e convincimenti profondi e radicati, la ricerca di una soluzione non può che passare attraverso una modalità di sperimentazione e di dialogo, per poi approdare ad un ragionevole compromesso che risolva, anche solo in parte, i problemi.
Per queste e molte altre ragioni, per difendere la convivenza fra le mille diversità delle nostre società libere, aperte e democratiche, dovremmo sempre difendere il primato della laicità dello Stato e della divisione della sfera politica da quella religiosa.
Difenderemo così anche i diritti di quelle persone la cui condizione di vita non è ancora garantita dalle leggi dello Stato e difenderemo anche le nostre religioni da chi le vuole strumentalizzare.
Di seguito, un intervento di Angelo Pezzana inviato a Kolot, newsletter del giornale ebraico on-line Morasha