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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Libero - danielpipes.org Rassegna Stampa
03.05.2007 Alcune verità sul fondamentalismo islamico
dall'incompatibilità dei Fratelli musulmani con la democrazia alla necessità di un cambio di regime in Iran

Testata:Il Foglio - Libero - danielpipes.org
Autore: Giulio Meotti - Roberto De Mattei - Claudia Gualdana - Daniel Pipes
Titolo: «Per i Fratelli musulmani la democrazia è un tram, prima o poi si scende - La società senza classi nelle teocrazie islamiche - «In Iran serve una rivoluzione interna, come nell'Est europeo» - Dove permane la "Grossa Bugia" nazista»
I Fratelli musulmani non sono compatibili con la democrazia. Lo sostengono Amir Taheri, Wafa Sultan, Sylvan Besson e Fiammetta Venner nell'ultimo articolo della serie dedicata da Giulio Meotti al saggio di Foreign Affairs che promuoveva il "diaologo" con l'organizzazione fondamentalista.
Ecco il testo, dal FOGLIO del 3 maggio 2007:


Roma. Nell’ottobre del 1981, i pasdaran iraniani intitolarono a Khaled al Islambouli la strada in cui si trova l’ambasciata egiziana di Teheran. Islambouli è il terrorista che ha ucciso Anwar al Sadat. Il presidente iraniano Mohammad Khatami gli ha poi dedicato un monumento alla memoria. Quando Sadat fu abbattuto, Khomeini disse che “un figlio dell’islam ha agito per eliminare il faraone apostata”. E’ uno dei tanti esempi che aiutano a capire come la storia dei Fratelli musulmani, da cui uscirono gli assassini di Sadat, alimenti il fuoco fondamentalista in medio oriente. Nei giorni scorsi è scoppiato il caso intorno a un saggio di due studiosi pubblicato dalla rivista Foreign Affairs. Robert Leiken e Steve Brooke chiedono al Dipartimento di stato americano di avviare il dialogo con la Fratellanza sulla base della loro “evoluzione non violenta”. Fondati nel 1928 da Hassan Al Banna, i Fratelli musulmani raggiunsero il milione di aderenti negli anni Quaranta. Nasser li bandì, Sadat concesse loro spazio, sperando di contenere i terroristi che lo avrebbero ucciso. Nel 1954, dopo un tentativo di putsch, furono torturati a migliaia. Le repressioni ciclicamente si ripetono. Ieri Christian Science Monitor raccontava la storia di Abdel Moneim Mahmoud, blogger incarcerato insieme a un migliaio di Fratelli. Quasi ovunque nel mondo arabo i Fratelli musulmani sarebbero il partito di maggioranza relativa se vi fossero libere elezioni, come chiedono a gran voce. “Sono l’anticamera del fronte fondamentalista”. L’esule iraniano e commentatore di fama internazionale Amir Taheri ci dice che l’elemento più pericoloso è la loro visione manichea: “Luce e tenebre, spirito e materia, islamico e infedele. La Fratellanza dice che il Corano è la sua Costituzione e bolla come ‘empie’ le altre organizzazioni. Sono i padrini dei movimenti terroristici arabi e pakistani. Il loro cambio di strategia ha creato un vacuum riempito da al Qaida”. Taheri elogia la transizione di Hosni Mubarak. “Escludendo la fratellanza, Mubarak prosegue la storica tendenza di prevenire i partiti dal fare dell’islam una prerogativa. E’ iniziata in Turchia ed è continuata in Indonesia. L’idea che i movimenti politici non debbano basarsi sulla religione trova consensi nel mondo islamico. Algeria e Tunisia hanno emendato le Costituzioni per prevenire la formazione di partiti della fede. La democrazia irachena impone restrizioni all’uso della religione. La questione è particolarmente sentita in Egitto, dove la comunità cristiana è bersagliata dalla Fratellanza. Mubarak ha sconfitto una dozzina di gruppi jihadisti in una delle più lunghe guerre antiterroristiche della storia”. Il giornalista Sylvan Besson, del quotidiano Le Temps di Ginevra, ha scritto un libro sull’egemonismo della Fratellanza: “La conquista dell’occidente”. “I Fratelli parlano di riforme e democrazia – ci dice Bessan – Ma non condannano il terrorismo. Per loro il male è la civiltà occidentale, Israele e l’amministrazione Bush. Negano che l’11 settembre sia di matrice islamica. Parlano dell’infinita sofferenza islamica, da Kabul a Baghdad. Il mondo è un campo di battaglia fra il materialismo (dal comunismo al sionismo) e l’islam. La storia è il teatro delle conquiste islamiche. Il loro messaggio è: ‘Partecipa alla vita pubblica, rispetta le leggi e sii orgoglioso dell’islam’. Non cercano di scardinare le democrazie, ma di preparare il terreno alla radicalizzazione”. Spesso la cronaca dice il contrario. Imad Eddin Barakat Yarkas è fra le menti dell’11 marzo spagnolo. Era un affiliato della Fratellanza in Siria. L’egiziano Osman Rabei fu arrestato a Milano il 7 giugno 2004. Nella condanna a dieci anni della Corte d’assise si parla dei suoi ispiratori. Rabei era in contatto con due predicatori wahabiti, fra cui Yusuf al Qaradawi, l’eminenza teologica della Fratellanza. Presidente dell’Unione internazionale degli ulema, del Consiglio europeo della fatwa e presente anche nell’Istituto europeo di scienze umane di Nièvre, il centro degli imam legati alla Fratellanza, Qaradawi è egemone all’interno del movimento islamista. In un testo del 1990 spiega che in Europa devono creare un’“opinione pubblica islamica” per preparare la comunità ad accogliere l’“esistenza della nazione musulmana”. Qaradawi ha lanciato una fatwa contro i vignettisti danesi: “Chi offende Maometto, se è un dhimmi, ha violato il patto e diventa lecito ucciderlo”. Il 25 aprile 2004 il teologo della Fratellanza Abd al Muni’m Abu al Futuh su al Jazeera disse che “il jihad è un dovere individuale”. Contro Qaradawi si è pronunciato Abd al Hamid al Ansari, preside della facoltà di legge islamica all’Università di Qatar: “Le leggi della sharia che vietano di fare del male ai civili sono rimaste in vigore per secoli, fino a quando Qaradawi non ha causato una pericolosa frattura sul jihad. Il deterioramento morale ha raggiunto il punto in cui vengono uccisi bambini con le bombe a Baghdad e pacifici civili sugli autobus a Londra. Queste fatwa sono un marchio morale e ideologico di vergogna”. “I crimini che hanno commesso sono ancora vividi nella nostra memoria e il sangue innocente che hanno fatto scorrere è presente nei nostri cuori” dice al Foglio la dissidente Wafa Sultan, testimone dell’esecuzione del suo professore da parte dei Fratelli a Damasco. “Fu ucciso in aula sotto i miei occhi al grido di ‘Allah è grande’. I Fratelli musulmani credono in versetti che non siano quelli che incitano alla lotta contro gli ‘infedeli’? Hanno cambiato idea su ‘coloro che incorrono nella rabbia di Allah’? Stanno forse desistendo dall’accusare altri di apostasia? Invocano veramente una società pluralistica e democratica basata sulla giustizia e l’eguaglianza?”. Nel dicembre 2005, in un’intervista al londinese Asharq al Awsat, il capo dei Fratelli Mohammed Akef disse che “siamo un movimento globale i cui membri cooperano basandosi sulla stessa visione: la diffusione dell’islam fino a che non dominerà il mondo”. La flessibilità è una qualità. “In occidente la violenza è sostituita da un misto di penetrazione nell’appeasement e di radicalizzazione” ci dice Lorenzo Vidino, autore di “Al Qaeda in Europe”. “Appellandosi alla ‘darura’, concetto islamico di necessità, legittimano la partecipazione al processo democratico. Si presentano pubblicamente come moderati, partner del dialogo e rappresentanti delle comunità islamiche. Se in inglese, francese e olandese parlano di democrazia, in arabo, turco e urdu predicano l’interpretazione politicizzata dell’islam. Una citazione del 1995 del premier turco Erdogan, sostenuto da partiti islamisti connessi al network dei Fratelli musulmani, la dice tutta: ‘La democrazia è un tram: la useremo finché ci serve, poi scenderemo’”. Rachel Ehrenfeld, autrice di “Funding evil” e direttrice dell’America center for democracy, è durissima con Foreign Affairs: “L’atteggiamento camaleontico della Fratellanza è strumentale all’islamizzazione della società”. Abu Qatada, capo spirituale di al Qaida in Europa negli anni Novanta disse: “Roma non sarà conquistata dalla parola, ma dalle armi”. Qaradawi ha detto: “Non con la spada, ma con la predicazione Essoterie Quando massoni e psicoanalisti non facevano tanti giri di parole e la famiglia era il nemico Stato laicale Alla difesa dell’istituzione serve anche la maiuscola. Soprattutto se si sostiene uno come Sarkozy l’islam tornerà in Europa vincitore”. La differenza è nei metodi. Bat Ye’or, studiosa di origine egiziana della sorte dei non musulmani nelle terre islamiche, parla di abuso del termine democrazia. “Se intendiamo adottare la sharia attraverso le elezioni, è la democrazia di Gaza. Se intendiamo indipendenza della magistratura, libertà di parola e religione, eguaglianza di sesso e dignità, di questo i Fratelli non parlano mai. I loro scrittori, da Qutb a Mawdudi, incitano all’odio verso gli ebrei”. L’analista americano Patrick Poole ricorda che “nel 2004, quando le autorità del Kuwait attaccarono i radicalisti, il governo scoprì che la fonte della predicazione jihadista erano gli imam associati alla Fratellanza”. Fiammetta Venner ha scritto molti libri sull’islam e l’Uoif, ramo francese della Fratellanza: “Anche se indossano sempre un abito occidentale anziché una jellabah e rassicurano i media sulle loro intenzioni pacifiche, portano avanti un’impronta fondamentalista dell’islam. Se dovessero prendere il controllo di Egitto e Siria, è da temere un drammatico riassetto dell’ordine mondiale. Gli scritti di Qutb hanno giustificato l’uccisione di ‘tiranni apostati’ e ispirato bin Laden e gli assassini di Sadat. L’ascesa dei Fratelli promette un’islamizzazione che potrebbe destabilizzare il mondo, come possono costituire un antidoto al terrorismo?”. “Abbiamo bruciato case e ucciso donne e bambini”. E’ la confessione di un janjaweed al londinese Times. Si chiama Dily, è un arabo sudanese di vent’anni che ha combattuto in Darfur al grido di “Uccidi gli schiavi, uccidi gli schiavi”. Il regime sudanese è ispirato dai Fratelli musulmani, il cui messaggio originario di odio riemerge, carsicamente, dalle dune del Darfur. La guida suprema della Fratellanza, Mohammed Akef, nel settembre 2006 rigettò la risoluzione Onu sull’invio di contingenti e non a caso il guru sudanese Hassan al Turabi ha definito Tariq Ramadan “il futuro dell’islam”. Quella terra intrisa di sangue e dimenticata dalle piazze pacifiste è l’esempio più recrudescente del pericolo che la Fratellanza può porre ai cristiani, che in Darfur non possono bere vino nella messa, ma anche ai musulmani. Dopo i bombardamenti arrivano le orde di diavoli a cavallo: donne dai seni recisi, vecchi dalla testa fracassata e bambini sbattuti contro i muri. Centinaia di donne deflorate con lunghi coltelli e marchiate a fuoco sulle mani. A Tawila, in un solo giorno, uccisero quarantuno ragazze, stuprate insieme alle maestre, alcune fino a quattordici volte, di fronte ai genitori costretti a guardare.

Da LIBERO, un articolo di Roberto De Mattei sugli studi  di Laurent Murawiec che ricollega il fondamentalismo islamico alla storia e ai caratteri dei totalitarismi che lo hanno preceduto.
Ecco il testo:

Nato in Francia, europeo di formazione culturale, americano di adozione, Laurent Murawiec è considerato uno dei più brillanti studiosi dell'islam contemporaneo. Dopo la tragedia delle Twin Towers, nel luglio 2002, Murawiec, Senior Policy Analyst della Rand Corporation, fu chiamato davanti al Defence Policy Board, un importante organo consultivo del Pentagono, per svolgere un'analisi del ruolo politico dell'Arabia Saudita. Con una impietosa requisitoria, Murawiec documentò le complicità e le collusioni dei sauditi con il terrorismo internazionale, dimostrando come la moltiplicazione delle scuole coraniche in Pakistan, le relazioni strette con i talebani in Afghanistan, il controllo dell'università egiziana di AlAzhar fossero frutto degli investimenti del governo di Riad. Ne seguì un'accesa polemica sui giornali che gli costò il posto presso la Rand, un'istituzione che collabora strettamente con le Forze Armate americane e non ama l'eccessiva visibilità dei suoi ricercatori. Oggi Murawiec lavora presso un altro prestigioso "think tank" di Washington, l'Hudson Institute, e dopo aver dedicato un volume all' «attacco saudita all'Occidente» ("Princes of Darkness: the Saudi Assaut on the West", 2005), ha recentemente pubblicato uno studio che costituisce una delle migliori letture sulla "guerra santa" islamica ("The Mind of Jihad", Hudson Institute). Murawiec che conosce bene gli studi di Norman Cohn sui "fanatici dell'apocalisse", e quelli di Eric Voegelin e di Alain Besançon sui movimenti rivoluzionari di massa, approfondisce in questo volume uno spunto particolarmente fecondo: il rapporto del fondamentalismo islamico con lo gnosticismo e con le antiche ideologie millenariste. L'islam è infatti una religione sincretista, formatasi sotto diverse influenze: il messianismo ebraico, le eresie cristiane dei primi secoli, i culti zoroastriani e manichei della Persia. Questa miscela dottrinale non è mai riuscita a costituire una religione salvifica dal messaggio universale. Il carattere dell'islam resta, secondo Murawiec, quello di una religione sostanzialmente tribale, fondata sul culto dell'onore, della morte e del sangue. Questi concetti sono stati rielaborati in chiave terroristica dagli islamismi radicali che si abbeverano a loro volta alle ideologie totalitarie del Novecento. Il senso dell'onore nel martire Non c'è parola tanto ricorrente nella letteratura politica e nell'oratoria araba e islamica dell' "onore". Il sentimento dell'onore appartiene al patrimonio di antiche civiltà, come l'occidentale e la giapponese. Ma presso questi popoli l'onore è considerato una virtù individuale, fondata sulla dignità umana, estesa al massimo a gruppi o corpi sociali. Per l'islam l'onore è un sentimento collettivo che diventa il cemento stesso dell'aggregato sociale. Tra il culto dell'onore e quello del sangue il rapporto è diretto. Il terrorismo contemporaneo differisce da quello degli anarchici dell'Ottocento, ma anche da quello dai fanatici baschi o dell'Ira, perché questi ultimi danno la morte, senza pretendere di trasformarla in culto, come accade invece ai seguaci del jihad islamico, che ripetono le parole del fondatore dei Fratelli Musulmani Hasan al-Banna secondo cui «Il Corano impone di amare la morte più della vita». «È il martirio - scrive lo sceicco Morteza Motahavi che infonde sangue fresco nelle vene della società». Si tratta, secondo Murawiec, di una vera e propria tanatofilia, in cui gli sciti radicali non si distinguono dai loro oppositori sunniti. Personaggi come lo "scita rosso" Ali Shariati , l'ayatollah Khomeini, l'ideologo egiziano Sayyed Qutb, e quello pakistano Maulana Mawdudi, il leader di Hezbollah Nasrallah, e quello dell'Olp Arafat, fino ad Osama Bin Laden, condividono una medesima visione tribale, che ha nel sacrificio umano il suo rito fondativo. La concezione islamica può essere definita tribale anche a causa dell'assenza di corpi intermedi tra l'individuo e la Umma, la comunità islamica mondiale stabilita dal Profeta e centrata sul Libro divino. Sotto questo aspetto l'islam si apparenta al totalitarismo del XX secolo caratterizzato proprio dalla lotta a quelle comunità e a quei gruppi che costituiscono la trama naturale della società. La Umma non è uno Stato, né una nazione, né una chiesa, ma la comunità universale dei credenti nel Corano che abbraccia tutti i paesi in cui è stabilita la shari'a, la legge islamica. L'unità contro il nemico comune

L'elemento unificante della Umma è la lotta al nemico comune, per imporre al mondo la shari'a. Il mondo, come nella concezione gnostica, è diviso in due, gli "eletti" e gli "infedeli". «Voi dice il Corano - siete la migliore comunità mai suscitata fra gli uomini; promuovete la giustizia e impedite l'ingiustizia e credete in Dio» (Cor. 3, 110). Netta e senza appello, come nel manicheismo, è la contrapposizione tra la Casa dell'islam (dar al-Islam), dove regna la legge del Profeta, e la Casa della guerra (dar alHarb), il territorio popolato dagli infedeli. Tra le due Case vige uno stato di guerra legalmente e religiosamente obbligatorio, fino al trionfo finale dell'islam sulla miscredenza. La concezione gnostica emerge nelle parole di Sayd Qutb secondo cui la lotta contro il nemico non costituisce una fase temporanea, ma una guerra perpetua e permanente, che conosce la tregua solo come condizione momentanea, fino alla sottomissione di tutta la terra al potere musulmano. Il punto di partenza dell'islam radicale, secondo Murawiec, sta nella nozione di "jahiliyya", elaborata da Qutb e dall'ideologo indopakistano Mawdudi. Con questo termine i fondamentalisti islamici definiscono l'Occidente corrotto e decadente, affermando che grazie ai suoi mezzi di penetrazione nel mondo musulmano, esso è ormai divenuto un nemico interno all'islam. Qutb afferma che fuori dalla Umma, la comunità dei credenti, vi è solo il partito della jahiliyya, composto da «demoni umani, crociati, sionisti, idolatri, comunisti, uniti tra loro ogni qual volta si tratti di distruggere l'avanguardia dei movimenti della resurrezione islamica sulla terra». L'escatologia islamica non è individuale, come quella delle religioni tradizionali, ma collettiva. Al suo centro, sta il mito del Mahdi, il salvatore spirituale destinato ad apparire, sotto la diretta ispirazione del Profeta, nel periodo di caos e di anarchia che precederà la fine del mondo. Se Gesù Cristo afferma che «il mio Regno non è di questo mondo», gli ideologi mahdisti reclamano la costruzione, hic et nunc, di un regno dei perfetti, analogo a quello sognato dagli gnostici, dai taboriti e dagli anabattisti del XVI secolo, che sterminavano i loro nemici per instaurare una teocrazia ugualitaria, prefigurante la società senza classi del comunismo. Il rifiuto totale della realtà La visione del mondo islamica non si contrappone solo a quella, secolarizzata, del mondo moderno, ma, più ancora, a quella tradizionale dell'Occidente cristiano. Lo gnosticismo propone l'autoredenzione della società e la de-creazione del mondo, che deve essere rifatto, perché è stato creato dal malvagio Dio dei cristiani. Lo gnostico rifiuta il mondo come è, per tentare di imporre con la violenza un mondo utopico, caratterizzato dal rifiuto del reale. Il criterio del bene e del male perde la sua oggettività, per essere rapportato alla volontà arbitraria dell'eletto, che si autoproclama salvatore dell'umanità. Con le dovute differenze, le analisi del bolscevismo e del nazismo di Voegelin, di Cohn e di Besançon si applicano a quell'ideologia jahdista che il Presidente Bush ha definito «islamo-fascismo» , ma che si potrebbe definire altrettanto ragionevolmente islamo-marxismo.

Un breve ritratto di Murawiec:

ESPERTO DI ISLAM Laurent Muriawec è stato analista politico della Rand corporation, think thank statunitense che collabora col Dipartimento della Difesa. Attualmente lavora in un'altra prestigiosa agenzia di Washington, l'Hudson Institute. È stato consulente del Pentagono per una ricerca sull'Arabia Saudita, di cui ha denunciato la collusione col terrorismo internazionale. Ha scritto un libro sulla minaccia saudita, intitolato "Princes of Darkness: the Saudi Assaut on the West" (2005), e recentemente uno studio sulle caratteristiche della guerra santa islamica: "The Mind of Jihad" SIMILITUDINI TERRIBILI Muriawec individua una serie di analogie fra il fondamentalismo islamico e i totalirismi del Novecento. Tra di esse la liquidazione dei corpi intermedi della società, l'individuazione di un nemico comune da abbattere, il culto della morte

Sempre da LIBERO, un'intervista a Michael Ledeen sul suo nuovo libro, che affronta il tema della minaccia iraniana:

Michael Ledeen torna a occuparsi degli ayatollah di Teheran. Storico e politologo dell'American Enterprise Institute, un centro del pensiero politico conservatore molto apprezzato dal governo Bush, da anni Ledeen sostiene che la chiave di volta del terrorismo internazionale è il regime iraniano. In questi giorni è in Italia per l'uscita del suo ultimo libro, "Iran, Stato del terrore" (Boroli Editore; pp. 160, euro 14; presentazione oggi a Milano, presso Mondadori Multicenter di via Marghera, ore 18 e 30). «Le grandi organizzazioni del terrorismo internazionale dipendono dal regime iraniano, Hezbollah è una sua creazione». Inoltre, sottolinea che gran parte del popolo iraniano è pronto per ribellarsi alla tirannia. Quindi secondo Lei è arrivato il momento di rovesciare il regime iraniano? «In questi ultimi giorni abbiamo visto gli insegnanti scioperare in tutto il paese. Rivendicano pretese economiche, ma in realtà il loro obiettivo è politico: vogliono che cada il governo. Poi ci sono gli operai, che non hanno ricevuto lo stipendio per mesi se non per anni. In prima linea ci sono addirittura quelli del settore petrolifero». Aggiunge che Condoleeza Rice sbaglia a sostenere la via dei negoziati e delle sanzioni voluta dall'Europa. «Un negoziato non può funzionare con un Paese che ci fa la guerra da quasi 29 anni. È necessario provocare una rivoluzione democratica, come abbiamo fatto in Polonia e nella Repubblica Ceca». Chi sono gli oppositori del regime iraniano? «Tra i dissidenti figurano studenti, intellettuali, giornalisti. Alcuni sono conosciuti. Come Pourzand, uno scrittore che si occupava di questioni culturali. Un uomo gentile che in questi ultimi anni è stato quasi portato alla morte: ha 62 anni ma sembra un vecchio, è stato in prigione negli ultimi sette. Alla fine lo hanno liberato, ma sembra che sia stato riarrestato da poco. È molto noto un leader studentesco, Batebi, il ragazzo che alzava una maglietta macchiata di sangue durante le manifestazioni del '99. Anche lui sta malissimo, è stato torturato in carcere, poi lo hanno rilasciato e incarcerato di nuovo. È la terrificante pratica del regime: imprigionano e torturano i dissidenti, poi li rilasciano per qualche mese perché la gente veda quanto è terribile stare in carcere». In cosa consiste l'Iran Freedom and Support Act, la strategia politica di supporto ai dissidenti per il momento accantonato dalla Rice? «Prevede semplicemente di ripetere il programma che abbiamo messo in pratica con i sovietici. Per prima cosa, è necessario tenere informati i dissidenti che vivono nel Paese. Abbiamo scoperto che gli iraniani sono informati su quanto accade nel mondo, ma non ricevono le notizie che riguardano le questioni interne dell'Iran. Sono quelle le informazioni che i regimi fascisti bloccano. Perciò gli iraniani che vivono a Teheran, per esempio, non sanno cosa è successo a Tabriz. Poi bisogna inviare aiuti economici agli operai, perché possano scioperare senza morire di fame. Infine, è molto importante la tecnologia, in modo che abbiano la possibilità di comunicare tra di loro: dobbiamo rifornirli di telefoni cellulari e satellitari, computer etc». Vladimir Putin si è proposto come mediatore per l'Iran. Ma adesso chiede una moratoria sul Cfe, il trattato sulle armi convenzionali. È un ritorno alla guerra fredda? «Assolutamente si. Il ruolo giocato da Putin con l'Iran è la conseguenza della politica di Clinton e del suo vice, Al Gore, che hanno permesso alla Russia di stipulare un accordo segreto che prevedeva la possibilità di armare l'Iran con armi convenzionali e di fornire aiuti per il nucleare. Secondo me Putin sta ingannando gli ayatollah, facendo loro credere che ha l'intenzione di attaccarci. Così lui vincerebbe due volte: noi saremmo indeboliti da un attacco iraniano, mentre gli ayatollah sarebbero seriamente danneggiati, forse distrutti, da un contrattacco americano. Putin è un uomo del Kgb».

Dal sito di Daniel Pipes in italiano, un'articolo sul legame tra propaganda araba e propaganda nazista (originariamente pubblicato dal New York Sun:

"Esiste un'ottima ragione se l'odierna propaganda araba anti-israeliana ed anti-ebraica ben somiglia a quella del Terzo Reich". Testuali parole sono state scritte da Joel Fishman del Jerusalem Center for Public Affairs in "The Big Lie and the Media War against Israel" ("La Grossa Bugia e la Guerra dei Media contro Israele"), un sagace pezzo di ricerca storica.

Fishman inizia con l'osservare l'odierna situazione ribaltata in base alla quale Israele viene considerato un pericoloso predatore, dal momento che difende i suoi cittadini dal terrorismo, dalla guerra convenzionale e dalle armi di distruzione di massa. Un sondaggio condotto nel 2003, ad esempio, ha rilevato che gli europei ravvisavano in Israele "la maggiore minaccia" alla pace mondiale. C'è da chiedersi come sia potuta attecchire questa demenziale inversione della realtà – vale a dire che l'unico paese mediorientale pienamente libero e democratico viene considerato la principale minaccia mondiale.

Fishman risponde a questo interrogativo con una rilettura della Prima guerra mondiale, il che non costituisce affatto una sorpresa, dal momento che gli analisti che si occupano degli anni successivi alla Guerra Fredda individuano sempre più la portata di quel disastro, di cui ancora l'Europa paga lo scotto, tanto nella rinnovata politica di appeasement europea quanto negli atteggiamenti assunti dall'Europa nei confronti della propria cultura. Durante quel conflitto, il governo britannico sfruttò i progressi dell'epoca nel settore della pubblicità e nel campo della diffusione delle notizie per tentare di forgiare le menti della propria popolazione e quelle delle popolazioni civili nemiche.

I popoli delle Potenze centrali ascoltarono messaggi volti a minare l'appoggio ai loro governi, mentre i cittadini dei paesi dell'Intesa furono cibati di notizie in merito alle atrocità commesse dai governi degli imperi centrali, alcune delle quali erano false. Le autorità britanniche, in particolar modo, asserirono che la Germania guglielmina fosse dotata di una "Industria per la Trasformazione dei Cadaveri" (Kadaververwekungsanstalt), che utilizzava le salme dei soldati dell'Intesa per confezionare sapone e altri prodotti. Dopo la fine della guerra, quando i britannici finirono per conoscere la verità, queste menzogne lasciarono un residuo di ciò che Fishman definisce come "scetticismo, tradimento e sentore di nichilismo postbellico".

La campagna di disinformazione britannica ebbe due disastrose conseguenze per la Seconda guerra mondiale. Innanzitutto, essa indusse l'opinione pubblica degli Alleati ad essere scettica riguardo le atrocità commesse dai tedeschi contro gli ebrei, che si trovarono a sperimentare sulla propria pelle quegli immaginari orrori di cui avevano profusamente parlato i britannici, e pertanto non si teneva regolarmente conto delle notizie in merito alle efferatezze perpetrate nei territori occupati dai nazisti. (Ciò spiega il motivo per il quale il generale Dwight Eisenhower predispose delle visite ai campi di concentramento subito dopo la loro liberazione, per testimoniare e documentare la loro realtà.)

In secondo luogo, Hitler osserva con ammirazione il precedente inglese nel suo libro Mein Kampf (1925): "Dapprincipio, quanto asserito dalla propaganda [britannica] era così impudente da indurre la gente a pensare che fosse demenziale; poi, dette ai nervi e si finì per dare credito a ciò". Dieci anni dopo, questa ammirazione venne tradotta nella strategia nazista della "Grossa Bugia", che capovolse la realtà al punto di trasformare gli ebrei in persecutori e la popolazione tedesca nelle vittime. Una gigantesca macchina di propaganda inculcò, con gran successo, queste bugie nella mente dei tedeschi.

La disfatta della Germania nazista screditò provvisoriamente tali metodi volti a invertire la percezione della realtà. Ma alcuni nazisti che riuscirono a scappare portarono il loro vecchio armamentario antisemita a paesi oggi in guerra con Israele e che tentano di sterminare la sua popolazione ebraica. Migliaia di nazisti trovarono rifugio in Egitto, e un numero più esiguo raggiunse altri paesi arabi, in particolar modo la Siria.

Fishman prende in esame in modo specifico il caso di Johann von Leers (1902-65), un nazista della prima ora, un protetto di Josef Goebbels – il ministro della Propaganda nazista – un amico di lunga data del capo delle SS, Heinrich Himmler, e un palese assertore della politica del genocidio contro gli ebrei. In un articolo apparso nel 1942, dal titolo "Giudaismo e Islam come Opposti", Von Leer tesseva le lodi del mondo musulmano a causa del suo "incessante compito" di tenere gli ebrei "in uno stato di oppressione e ansietà". Questo von Leers scappò dalla Germania dopo il 1945 per poi ricomparire dieci anni dopo in Egitto, dove si convertì all'Islam e divenne consigliere politico presso il Dipartimento di Informazione del presidente Nasser. Fu allora, racconta Fishman, che egli "promosse la pubblicazione di una edizione in lingua araba dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, corroborò l'accusa del sangue, organizzò trasmissioni antisemite in numerose lingue, mantenne i contatti con i neonazisti sparsi per il mondo e mantenne una calda corrispondenza con essi incoraggiando così la prima generazione dei negazionisti dell'Olocausto".

Un simile lavoro di fondo dette i suoi frutti dopo la storica vittoria di Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967, che costituì una umiliante sconfitta tanto per l'Unione Sovietica quanto per gli alleati arabi. La successiva campagna di propaganda arabo-sovietica negò a Israele il diritto di difendersi e capovolse la realtà accusandolo implacabilmente di aggressione. Precisamente, come Hitler aveva circostanziato in Mein Kampf se quanto asserito era così impudente da indurre dapprincipio la gente a pensare che fosse demenziale, in seguito si finì per dare credito a ciò.

In altre parole, la follia politica di oggi è direttamente collegata a quella di ieri. E allora, alcuni antisionisti odierni potrebbero vergognarsi nel capire che le loro idee, per quanto ritoccate, non sono altro che una mera elaborazione delle menzogne genocide abbracciate da Hitler, da Goebbels e da Himmler? Potrebbero dunque essi abbandonare queste idee?

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