Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Tzipi Livni chiede a Olmert di dimettersi editoriali sul ministro degli Esteri d'Israele
Testata:Libero - Il Foglio - La Stampa Autore: Angelo Pezzana - Amy Rosenthal - Francesca Paci Titolo: «Tzipi, troppo brava per restare soltanto ministro degli Esteri - Tanto fumo di Londra e poco arrosto, così Olmert ha deluso gli israeliani - Tzipi, lady pulizia con i nervi d'acciaio»
Da LIBERO del 3 maggio 2007 un articolo di Angelo Pezzana.
Un terremoto il Rapporto Winograd l’ha provocato, anche seil quadro politiconon è ancora chiaro. Quel che è certo, è che è arrivatal’ora di Tzipi Livni, attuale ministro degli esteri,come scrive Nahum Barnea, l’influente commentatore di Yediot Haaronot, il più diffuso quotidiano israeliano. Che Olmert fosse in difficoltà non era un mistero per nessuno, i sondaggi sono mesi che lo danno in caduta verticale, e l’opinione pubblica, in Israele, vale più di un rapporto governativo. Adesso Olmert deve vedersela con chi – dalla fine della seconda guerra in Libano dello scorso anno – non ha mai nascosto di ritenere la debolezza del Premier un argomento forte per una sua candidatura a sostituirlo. Tzipi Livni, di provenienza Likud, era stata nella passata legislatura, quando il premier era ancora Ariel Sharon, ministro della giustizia, un dicastero che ha tenuto con polso tacheriano. L’avevamo incontrata due anni fa nel suo ufficio, nell’unico ministero localizzato nella parte est di Gerusalemme, quella araba, una scelta non a caso, come dire ai duecentomila e più abitanti arabi della città, che la giustizia era uguale per tutti, persino l’edificio nel quale viene amministrata è qui vicino a voi, che la legge non discrimina i cittadini, nemmeno in base al territorio. Un politico determinato, dunque, che sa dove vuole arrivare. Che sia una donna in Israele non fa poi differenza. Se c’è un paese dove il femminismo ha una lunga storia, in gran parte fatta di obiettivi raggiunti, questo è Israele. Come ministro degli esteri, carica che ricoprirà forse ancora per poco, è stata leale verso il suo Premier. Non si può dire che fossero amici, ma il sentimento era ricambiato. Più volte Olmert ha mostrato aperto fastidio verso prese di posizione o dichiarazioni non proprio in linea con le sue. Ma la barca, pur facendo acqua da tutte le parti, andava avanti, un governo non dimissiona, anche in Israele, volentieri e di propria iniziativa. E’ stato il rapporto dei saggi, guidati dal giudice Elyahu Winograd, a innescare la miccia. E Tzipi Livni, dimostrando grande tempestività, ha colto la reazione della gente e ha posto la propria candidatura. Avendone tutti numeri.
Dal FOGLIO, l'articolo di Amy Rosenthal sul fallimento del governo Olmert:
Gerusalemme. Il rapporto Winograd sulla Seconda guerra del Libano ha scatenato il dibattito in Israele sul futuro della leadership che oggi guida il paese. La commissione d’inchiesta – i cui risultati per ora riguardano i primi cinque giorni del conflitto – ha rilevato le responsabilità del premier, Ehud Olmert, del ministro della Difesa, Amir Peretz, dei vertici militari. Il Foglio ha intervistato quattro commentatori israeliani per cercare di capire quali conseguenze avrà il rapporto. Sono Aluf Ben di Haaretz; Attila Somfalvi di Yediot Ahronot, Elihu Ben-Onn di Israel Radio; Yoash Tsiddon-Chatto analista dell’Ariel Center per la ricerca politica. Il primo ministro Olmert ha subito uno dei più vertiginosi cali di popolarità nella storia israeliana. Alla situazione già delicata, si è aggiunto il Rapporto Lindenstrauss, pubblicato la scorsa settimana, con il quale si esorta ad avviare un’indagine sul premier per un possibile conflitto di interessi quando era ministro dell’Industria. Il risultato è che non c’è da sorprendersi se, quando si chiede a un israeliano che cosa dovrebbe fare Olmert, la risposta unanime è: “Dovrebbe dimettersi”. Ma che cosa c’è in Olmert (a parte queste accuse) che non piace agli israeliani? Ben-Onn prende la parola per primo: “Olmert non è riuscito a conquistare la fiducia degli israeliani perché è un avvocato che dà l’impressione di rappresentare gli interessi di qualcun altro. In più molti dicono che sia una persona arrogante e insensibile: questo basta a farci capire perché la sua popolarità sta precipitando”. Interviene Somfalvi: “In effetti Olmert è uno di quei politici israeliani che non ha mai saputo suscitare l’amore e l’ammirazione degli israeliani. Non è visto come un uomo che rappresenta il cittadino medio di Israele, ma piuttosto come uno che vive la ‘vida loca’. Si veste con abiti estremamente costosi, fuma sigari cubani e le sue cravatte costano più di quanto la maggioranza degli israeliani guadagna in un mese. Non è un uomo con il quale ci si possa identificare”. Su un piano più pratico, Aluf Ben spiega che le ragioni principali del disamore sono tre: “Primo, Olmert ha seguito le orme di un leader molto popolare e ammirato, Ariel Sharon. Secondo, la sua gestione della guerra contro Hezbollah e i successivi scandali sulla corruzione hanno incrinato la fiducia dell’opinione pubblica. Terzo, Olmert non ha saputo dimostrare, malgrado l’economia sia in fase di ripresa e il terrorismo in fase calante, di avere le capacità necessarie per condurre il paese su un autentico processo di pace. Per di più, non ha saputo nemmeno dimostrare in quale modo le sue iniziative contro Hezbollah e i palestinesi di Gaza abbiano mutato i termini del problema della sicurezza”. Le chance di Livni, “inesperta ma popolare” Ora tutti i commentatori aspettano di vedere le reazioni al rapporto Winograd. Ci saranno migliaia di persone in piazza? Somfalvi spiega: “Temo che l’opinione pubblica israeliana sia troppo stanca per farlo. Guardate, quasi ogni settimana c’è un nuovo rapporto (da quello di Lindenstrauss a quello di Winograd), e la gente è stufa di tutti discorsi di rapporti e di rapporti sui rapporti”. Il maggiore-generale Uzi Dayan ha organizzato una dimostrazione a Tel Aviv per esortare il governo ad assumersi le proprie responsabilità per l’esito della guerra in Libano. Chiediamo pertanto ai nostri esperti se questa manifestazione servirà a misurare l’attuale insoddisfazione dell’opinione pubblica nei confronti di Olmert e del suo governo. Ben-On ritiene che questa protesta richieda “la guida di una figura pubblica di maggior spessore, come lo scrittore David Grossman, se si vuole davvero richiamare l’attenzione della maggioranza degli israeliani”. Anche Somfalvi è d’accordo: “Oppure un politico forte, che abbia criticato Olmert, come Bibi Netanyahu o Ami Ayalon. Se ciò avviene, allora potremmo assistere allo scoppio di una ‘rivoluzione civile’”. Ben è più cinico: “Malgrado il malcontento pubblico, la Knesset non ha alcuna intenzione di commettere un suicidio politico e di sciogliersi, e questo Olmert lo sa perfettamente. Una delle circostanze che aiuta il premier a mantenere il potere è che al momento non ci sono alternative credibili per rimpiazzarlo”. Tsiddon-Chatto e Ben-Onn non sono d’accordo, ritengono che “vi siano potenzialmente molte persone con ottima esperienza e buona volontà, che potrebbero assumere oggi la guida del paese”. Tsiddon-Chatto ne cita tre: “Bibi Netanyahu del Likud, il laburista Ehud Barak e Ami Ayalon. I primi due sono persone di estrema intelligenza, ma in passato hanno commesso gravi errori. Tuttavia, sono pronti a imparare da questi errori. Quanto a Ayalon, è un candidato senza macchie, ma non ha esperienza”. Ben ritiene che Ayalon non abbia chance: “Alla fine, assisteremo a una gara tra Barak e Netanyahu, il che non è poi uno scenario infausto, visto che Israele ha avuto buone esperienze con i politici riciclati”, dice, sussurrando i nomi di Yitzhak Rabin e Arik Sharon. C’è poi l’affondo del ministro degli Esteri, Tzipi Livni, lanciato ieri contro Olmert. “Ho detto al premier che dovrebbe dimettersi”, ha dichiarato, candidandosi a una futura leadership di Kadima. Secondo Ben la mossa di Livni è un po’ azzardata, “è molto popolare – dice – ma non ha avuto alcun test politico ed è piuttosto inesperta”. Anche Ben-Onn è d’accordo: “Non c’è una scuola per i leader, ma Livni ha molta buona volontà e un grandissimo sostegno popolare. Ma la domanda è un’altra: è pronta a diventare leader e portare a termine la missione?”. Secondo Somfalvi l’importante per il ministro degli Esteri è “prendere subito le distanze da Olmert. Se lo fa ha buone possibilità di diventare primo ministro”. Per il momento ha dalla sua il fatto che nel rapporto Winograd il ministero degli Esteri non è quasi mai citato.
Dalla STAMPA un articolo di Francesca Paci: Forse ancor più del rapporto Winograd gli israeliani aspettavano Tzipi Livni per accusare il premier, «Mrs Clean», la «lady pulizia» della Knesset, stile sobrio e reputazione politica integerrima, braccio destro di Ehud Olmert all'epoca del lancio di Kadima e oggi sua prima concorrente alla guida del partito e del Paese. Secondo un sondaggio del sito «Ynet» il 29 per cento degli elettori vorrebbe Benjamin Netanyahu al posto di Olmert, il 20 per cento Tzipi Livni. Lei, tailleur nero, nervi sotto controllo come da allieva modello del Mossad, piglio spartano da kibbutz, ha sintetizzato in tv i colloqui delle ultime ore: «Ho detto al primo ministro che farebbe bene a dimettersi». Poche parole decise: «Sono pronta a guidare Kadima». Il Paese teme una nuova guerra estiva: chi la gestirà? «E' il momento di Livni» scrive su «Yedioth Ahronoth» Nahum Barnea, il decano dei commentatori israeliani. Lo scenario politico ridisegnato dal rapporto Winograd: «Il ministro degli Esteri ha deciso di diventare premier, pensa di poterlo fare bene, lo vuole». Livni, 49 anni, due figli, ex sottufficiale dell'esercito, avvocato e militante storica del Likud prima della scissione da cui nasce Kadima, una delle più abili mediatrici della squadra formata da Sharon, non conferma. La strada è scivolosa, ma è chiaro che l'ha imboccata. In molti si chiedono ora come concilierà l'attacco frontale al capo del governo mantenendo la carica di ministro degli Esteri. Olmert sembrerebbe orientato a licenziarla: «Deve scegliere da che parte stare, non può continuare la campagna contro di me e restare il mio numero due». Per quanto proclami trasparenza, Tzipi Livni blinda il futuro politico dietro il volto ieratico e i glaciali occhi azzurri. Udi Segal, il giornalista di «Canale2» che la segue da anni, conosce bene la donna pubblica, la pasionaria di Kadima capace di incoraggiare Sharon nel varco del Rubicone, la ministra della Giustizia, dell'Emigrazione e dell'Edilizia prima ancora che degli Esteri, l'erede ideale di Golda Meir nella stagione della politica al femminile, dalla Merkel alla Rice, da Ségolène Royal a Hillary Clinton. Ma ammette di non sapere nulla della donna privata: «E' una persona impenetrabile, non ho aneddoti sulla sua vita, sulla sua famiglia». Amici e nemici concordano: che sia strategia mediatica o incapacità comunicativa da «debuttante della politica», il silenzio è la chiave della sua carriera. La requisitoria della commissione Winograd l'ha risparmiata, non ha avuto alcuna influenza sulle decisioni militari durante l'ultima guerra del Libano. «E' rimasta sullo sfondo, ha brillato per il suo silenzio», osserva ancora Barnea. Una qualità diplomatica che non tutti apprezzano. «Solo fumo e niente carne: parla poco per evitare di dire sciocchezze, è l'icona della nuova leadership debole», afferma Yossi Achimeir, ex parlamentare del Likud, storico del revisionismo sionista e direttore del Centro studi su Jabotinsky, il fondatore della destra israeliana. Uomo di apparato del partito, Achimeir segue «Tzipi», vezzeggiativo dal biblico Tziporah, dall'inizio. Non le ha perdonato il passaggio a Kadima, una formazione che lui considera di sinistra: «Suo padre si rivolterà nella tomba, pover'uomo». Il padre, Eitan Livni, era un comandante dell'Irgun, l'organizzazione clandestina che si battè contro la Gran Bretagna per l'indipendenza, un idealista persuaso che Israele avesse diritto ai confini biblici al punto da far incidere la sagoma del Paese sognato sulla sua tomba. La madre Sarah, che cantava alla piccola Tzipi le antiche ballate dell'Irgun, non ha mai capito a fondo lo strappo della figlia: «Sentirla parlare in tv di due popoli e due stati, noi e gli arabi, mi addolora». Ma Tzipi Livni non è una colomba. Cresciuta ascoltando la lezione del futuro premier e compagno dei genitori Menachem Begin, nessuna concessione agli arabi e niente terra in cambio di pace, ha capito a un certo punto che aveva ragione Sharon, che la duttilità in politica valeva più della forza e bisognava lasciare Gaza. Ha fronteggiato i coloni di Gush Katif in cinque ore di trattative serrate per il ritiro, ha messo in crisi gli arabi che non dimenticano mai di citare il suo passato nell'intelligence dichiarando la Siria di Assad un obiettivo strategico per Israele, ha fatto infuriare la destra quando, intervenendo sulla guerra, ha affermato che «chi uccide i soldati israeliani non è un terrorista». Parla poco, chiede molto. Chissà che oggi Israele non abbia bisogno di domande giuste anziché di risposte sbagliate.
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