Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele, una democrazia che fa i conti con se stessa i commenti di Fiamma Nirenstein e Angelo Pezzana
Testata:Il Giornale - Libero Autore: Fiamma Nirenstein - Angelo Pezzana Titolo: «La pace impossibile di Israele - Guerra in Libano un disastro Olmert sotto accusa»
Dal GIORNALE del 1 maggio 2007 l'editoriale di Fiamma Nirenstein:
È un terremoto del nono grado quello che ieri un gentile giudice in pensione con le orecchie a sventola di nome Eliahu Winograd (nella foto) insieme ai suoi quattro anziani compagni, ha causato in Medio Oriente con il suo rapporto di 218 pagine in cui la parola «fallimento», cheshel (tre consonanti in ebraico, caf, shin, dalet), è ripetuta 166 volte. Ma non hanno capito bene gli Hezbollah, che hanno trasmesso parola per parola, in traduzione simultanea, le espressioni di condanna per il Primo ministro Ehud Olmert (nella foto), il ministro della Difesa Amir Peretz e l’ex capo di Stato Maggiore (che si è dimesso già da tempo) Dan Halutz che Winograd ha pronunciato. Non possono capire, con la testa piena di retorica, di odio, di prepotenza, le parole nette, semplici, inequivocabili, senza giochetti, inganni, senza pietà o compiacenza, che non risparmiano accuse di inefficienza, di ignoranza, di irresponsabilità a coloro che siedono sui più alti scranni del potere... Mentre il vecchio giudice parlava piano, con stile pulito, senza aggettivi, mentre Olmert con gli occhi sempre più gonfi lo fissava rosso in viso, Al manar, la tv di Nasrallah, miserabilmente mandava in onda una palla da biliardo che butta giù una serie di birilli su cui sono effigiate le facce dei leader israeliani, la sigla del trionfale programma che certo ha avuto molti emuli in tutto il Medio Oriente. Israele si autocritica fino a sanguinare, che soddisfazione. Anzi: quale vittoria, hanno certo pensato i vicini di Israele. Nel mondo di quasi un miliardo di persone che circonda la minuscola democrazia mediorientale, 7 milioni abitanti, dalle case oltre il confine in cui criticare il potere equivale alla pena di morte, alla tortura, alla prigione, in un mondo in cui ancora oggi gli egiziani credono seriamente di avere vinto la guerra del 1973, e in cui di tutte le sconfitte si accusa la congiura ebraico-americana rifiutando riflessione e autocritica, gli hezbollah invece di rallegrarsi tanto avrebbero forse dovuto domandarsi come mai pur di restare fedeli alla verità le istituzioni israeliane, per loro stessa decisione, si flagellano. E noi stessi possiamo chiedercelo con preoccupazione, certo, ma ricavando da questa vicenda soprattutto l’idea che la parola democrazia è coniugabile con democrazia, a differenza di quello che tanti pensano o pretendono di pensare. Il grande storico del Medio Oriente Bernard Lewis spiega bene come la rovina economica e culturale, il totale declino del mondo arabo è proprio nato dal rifiuto dell’Islam di cercare dentro di sé le risposte sulla sconfitta dall’Occidente dopo i primi sette secoli di grande dominazione: dogmatismo, vittimismo, trionfalismo, millenarismo religioso unito a selvaggi costumi di aggressione terrorista, questo è stato il risultato di secoli di negazione delle proprie difficoltà, mentre l’Occidente fioriva. Adesso lo stato d’animo a Gerusalemme, a Tel Aviv, a Haifa, si capisce, è oltremodo eccitato e anche confuso: sono spietate le accuse a Olmert di non avere soppesato con ponderatezza cosa significava la guerra, di esservi entrato impulsivamente senza aver chiaro l’andamento e gli scopi della guerra, di aver ciecamente seguito le indicazioni di Dan Halutz di gestirla dall’aria senza aver studiato le alternative. È micidiale l’accusa a Peretz di aver occupato il suo ruolo da incompetente, senza neppure provarsi a capire. È definitiva l’accusa a Halutz di aver immaginato una vittoria dall’aria praticabile solo nella sua fantasia di ex capo dell’aviazione. Israele è già in piazza da queste ore per chiedere le dimissioni di questo governo, specialmente alla luce della possibilità di una nuova guerra, che non può essere affrontata da questa leadership. Olmert e Peretz hanno fatto sapere che non intendono andarsene, ma come potranno resistere alle accuse dei loro giudici, come ai genitori dei ragazzi uccisi in battaglia negli ultimi giorni e ai soldati delle riserve che troppo tardi sono stati mobilitati senza preparazione adeguata? Tzipi Livni, Bibi Netanyahu, Ehud Barak, altri politici non implicati o meno implicati (tutto il governo votò la guerra) nelle responsabilità di questa guerra cominciano a prepararsi all’agone politico. Intanto l’esercito già da tempo ha dato il via a un lavoro di radicale revisione. Ma la commissione Winograd pone due problemi sostanziali: il primo è quello di decidere con i piedi di piombo, con piani precisi e consistenti quando è il momento di combattere. Il secondo è che il nemico fanatico e ben armato dall’Iran non deve essere sottovalutato più. Winograd insomma dice che in Israele era ormai viva l’illusione di poter vivere evitando ogni guerra nonostante il fallimento di Oslo e nonostante che gli hezbollah avessero seguitato a bombardare il Paese anche dopo il ritiro del 2000. È parso che pensare la pace fosse equivalente a farla, sostiene Winograd. Poi venne il 12 luglio lungo il fronte del Libano, i soldati rapiti, le katiusce, i kassam, i missili zilzal, e gli errori. Adesso, una democrazia forte e ferita cerca di pensare, mentre gli hezbollah festeggiano.
Da LIBERO, l'editoriale di Angelo Pezzana:
“ Avete svolto un lavoro serio, vi ringrazio a nome del governo”, è stato il commento con il quale Ehud Olmert ha ringraziato i componenti la Commissione Winograd, incaricata di verificare la condotta del governo israeliano durante la guerra contro Hezbollah della scorsa estate. Eliyahu Winograd, giudice a riposo e capo della commissione, un’ora prima della conferenza stampa di presentazione dei risultati, si è recato personalmente da Olmert e dal ministro della difesa Amir Peretz per anticiparne le valutazioni. Se consideriamo che la commissione era di nomina governativa, non si può non elogiarne l’indipendenza con quale ha valutato i fatti. Il giudizio è molto critico nel confronti del governo, la leadership del Primo Ministro viene definita addirittura “ sconsiderata e passiva”. A dire il vero non è una novità. Già dopo le prime due settimane del conflitto appariva evidente che il governo guidato da Olmert non era in grado di mantenere quanto aveva promesso nei primi giorni di conflitto. Israele, dopo l’uscita dal Libano nel 2000, aveva concentrato la sua politica sugli aspetti sociali ed economici della società, non si stava preparando ad una guerra, la cui voce era quasi scomparsa dalle analisi politiche e militari, come capita alle democrazie che si occupano del benessere dei propri cittadini e non di attaccare gli stati vicini. Persino Dan Halutz, capo di stato maggiore, aveva sottostimato gli arsenali da guerra di Hezbollah, sicuro che le forze aeree sarebbero state sufficienti per bombardare le basi dalle quali partivano i razzi che colpivano il nord del paese. Un errore pagato con le dimissioni alla fine della guerra. Ma è anche vero che è stata l’intera società civile israeliana, dopo aver dato una prova straordinaria di compattezza e forza, se pensiamo che ha vissuto sotto attacco missilistico per un mese e mezzo, ad essersi messa in discussione a guerra finita. Esigere dalla propria classe politica un esame di coscienza per capire dove si è sbagliato, è una delle prove più alte per verificare se una società è democratica oppure no. Nessun processo sommario, nessuna defenestrazione, persino nessuna crisi politica immediata. Ad Olmert non è stato chiesto brutalmente di andarsene, né al governo Kadima di rassegnare le dimissioni, anche se l’opinione della gente era, ed è, fortemente negativa sul suo operato. Ma la commissione Winograd, il cui rapporto integrale si conoscerà solo il prossimo agosto, un verdetto l’ha già dato, confermando ciò che gli israeliani pensano dell’attuale governo. Sbaglia però chi crede che la non-vittoria contro Hezbollah sia rivelatrice di una società “ americanizzata” – come qualcuno ha scritto ieri – “senza più valori in cui credere, dedita ad uno sfrenato individualismo e all’arricchimento, dove un sistema corrotto di partiti non è più in grado di governare il paese”. In Israele succede quello che avviene in tutti i paesi democratici, dove i panni sporchi si lavano in pubblico, dove chi sbaglia non viene fucilato ma, subito o dopo poco, perde il posto e torna a casa. Certo i partiti litigano, le accuse di corruzione si sprecano, ma è la legge a prevalere, un processo sommario, anche a livello di pubblica opinione, è impensabile. Politici e militari, analisti ed esperti, stanno studiando per capire dove hanno sbagliato nel sottovalutare il nemico. La lezione servirà, perché Israele non può permettersi, mai, di dimenticare che il cammino verso la pace è ancora lungo e, se possibile, ancora più difficile.