Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata:La Stampa - Libero Autore: Giacomo Galeazzi - Giovanni De Luna - Martino Cervo Titolo: «“Beatificare Pio XII è un ostacolo al dialogo con tutti noi ebrei - I sospetti e le nebbie da dissipare - «Non si può chiedere a Gerusalemme di essere più "papisti" dei cattolici»»
Da La STAMPA del 13 aprile 2007, l'intervista di Giacomo Galeazzi al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni :
«Siamo molto amareggiati, del resto come potremmo noi ebrei mostrare entusiasmo per la beatificazione di Pio XII?». Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni prova a nascondere la delusione e la preoccupazione dietro una battuta: «Per noi c’è un “santo subito” (Karol Wojtyla) e un “santo subìto” (Papa Pacelli)». Rabbino, l’assenza del nunzio alla commemorazione della Shoah riapre una ferita? «Sì, una piaga dolorosa che non si è ancora rimarginata. La beatificazione di Pio XII è oggettivamente un ostacolo al dialogo, molto più di quanto non lo fosse quella rinviata di padre Dehon per i suoi scritti antisemiti. Pio XII significa la Chiesa in un determinato momento storico. Mi è venuto in mente un episodio avvenuto in Polonia quando un giovane prete fece in modo che non fosse battezzato e fosse restituito al suo ambiente d’origine un bambino ebreo affidato a una famiglia cattolica per sottrarlo alle persecuzioni naziste. Quel sacerdote si chiamava Karol Wojtyla». Quale sarà la vostra reazione? «La Chiesa ha tutti i diritti di elevare agli altari chi ritiene opportuno. Semmai il problema diventa nostro. Di fronte a una Chiesa che identifica come ideale spirituale un Papa che ha avuto determinati comportamenti, noi ebrei possiamo decidere se e come dialogare. Sono talmente forti e gravi le polemiche su Pio XII che il modo peggiore per affrontare la discussione è quello agiografico e apologetico. All’interno della comunità ebraica, nel ricordo di Pio XII prevale il senso dell’amaro». Il Vaticano considera un’offesa quella didascalia... «Si sono accorti adesso della foto al museo dell’Olocausto? Io quella didascalia l’ho vista e non ho trovato nulla di male. Rispecchia il pensiero prevalente nel mondo ebraico: l’accusa per il silenzio di Papa Pacelli, quindi della Chiesa stessa, durante la Shoah. Piuttosto mi sembra evidente che sta crescendo la tendenza cattolica a riabilitare la figura di Pio XII. Per noi ebrei è e resta il Pontefice che ha taciuto». Come valuta questo «strappo»? «L’assenza del nunzio è un gesto grave. Questo incidente poteva essere evitato. Bisogna vedere dove nasce e dove porta. Non sono sicuro che non abbia conseguenze, ma spero almeno che sia frutto di una decisione personale e non della Santa Sede. Per noi l’impatto emozionale è molto negativo, in discontinuità con l’esortazione wojtyliana a ricordare le vittime della Shoah e quasi la prosecuzione del silenzio di Pio XII. In un’epoca così tragica ognuno doveva assumersi le sue responsabilità e Papa Pacelli non l’ha fatto. Speravamo che nel nuovo culto della Chiesa nei confronti degli ebrei non si affrontasse il problema in questo modo».
Sempre dalla STAMPA, un intervento di Giovanni De Luna:
Certo che è una ferita ancora aperta. La Shoah si consumò nel silenzio di Pio XII. Invano si attese una sua parola di condanna del massacro, una sua esplicita denuncia dei crimini di Hitler. Certo la diplomazia vaticana si adoperò a tessere le sue reti umanitarie; in Italia conventi e parrocchie si aprirono per salvare ebrei e antifascisti e certo il mondo cattolico fu attraversato da torrenti di solidarietà che fecero da antidoto alle pulsioni antisemite sedimentatesi nei secoli. Ma quel silenzio ci fu. Una interpretazione benevola suggerisce una scelta consapevole di Pio XII; il Papa riteneva infatti più efficaci i piccoli passi della diplomazia che una clamorosa protesta, con il rischio di suscitare terribili ritorsioni da parte dei nazisti e di peggiorare la situazione degli ebrei. Ma c'è da dire che anche i passi successivi della Chiesa non sono stati tali da dissipare le nebbie e i sospetti di complicità che ancora oggi circondano quel silenzio. Anzi. Nel dopoguerra il Vaticano fu il crocevia di tutta una serie di iniziative che puntavano a salvare criminali nazisti del calibro di Priebke, Mengele, Eichmann, avviando quella «operazione Odessa» che vide tra i suoi protagonisti lo stesso Montini, futuro Papa Paolo VI. E ancora, molto più recentemente, il discorso di Benedetto XVI ad Auschwitz non è stato certo il balsamo ideale per lenire quelle ferite. E’ sembrata discutibile - e non solo agli Ebrei - l’affermazione del Papa tesa a circoscrivere le colpe del nazismo a «un gruppo di criminali» che «usò e abusò» del popolo tedesco; ancora maggiori perplessità ha suscitato poi l'altra affermazione sui «nazisti che volevano distruggere il popolo ebraico per strappare la radice su cui si fonda il Cristianesimo». Il progetto di sterminio si sviluppò in realtà lungo una direzione che francamente fa oggi apparire il Cristianesimo un bersaglio trascurabile, quasi inesistente. In realtà ci sarebbe per il Vaticano la possibilità di fugare quelle nebbie e quei sospetti. Nell'ottobre 1999 il Vaticano e l'International Jewish Committee for Interreligious Consultations vararono una Commissione mista di storici (3 cattolici e 3 ebrei) per indagare sui rapporti tra la Chiesa cattolica e la Shoah. La Commissione concluse i suoi lavori con un rapporto che constatava l'insufficienza delle fonti a disposizione, segnalando come gran parte della documentazione necessaria a una conoscenza storica compiuta giacessero ancora inaccessibili negli Archivi Vaticani. Gli 11 volumi pubblicati di Atti e documenti della Santa Sede relativi alla II Guerra Mondiale non esauriscono il materiale archivistico che si potrebbe utilizzare proficuamente; ebbene il Vaticano ha deciso di limitare la ricerca vincolandola obbligatoriamente solo a quel corpus di fonti (già interamente pubblicati), impedendo di affrontare in sede storiografica una serie di nodi. Sarebbe opportuno spalancare al più presto quegli archivi.
Da LIBERO, un'intervista di Martino Cervo a Giorgio Israel
«Come mai in Italia in tutti i dibattiti sui temi bioetici la voce dell'ebraismo religioso è stata finora del tutto assente?». Ernesto Galli Della Loggia ha posto la domanda sul Corriere della Sera di ieri. La cronaca ha finito per aumentare il peso della questione. Lo stesso quotidiano, infatti, dava conto delle polemiche sollevate da alcuni esponenti dell'ebraismo sulle "radici cristiane" del manifesto del Partito democratico. «O si tolgono, o si affiancano a quelle ebraiche», è il senso delle richieste di personalità quali Amos Luzzatto, Giorgio Gomel e Victor Magiar. Giorgio Israel, docente di matematica, storico ed editorialista, fa un passo indietro: «Mi auguro, anzi sono certo, che chi ha espresso questo parere l'abbia fatto a titolo personale, e non a nome dell'ebraismo. Sarebbe gravissimo "contrattare" l'adesione a un ipotetico partito democratico a nome di una religione. Poi, fa sorridere che questo dibattito prende corpo a sinistra, dopo che da mesi in quell'area ci si accapiglia contendendosi la bandiera di difensori della laicità...». A Galli Della Loggia, invece, cosa risponde? C'è un'afasia sui temi morali nell'ebraismo religioso? «Anzitutto, rispetto all'esempio francese citato dall'editorialista, quello italiano è più sparuto, e quindi meno forte. Mi pare comunque che si sia consolidata una tradizione strutturalmente meno "interventista" in questo senso. Quanto alle motivazioni, Galli Della Loggia avanza, prudentemente, una domanda: "Forse le autorità religiose non intervengono per non correre il rischio di condividere nella sostanza il punto di vista della Chiesa"?». Lei che risposta dà? «Non sono io a doverla dare. È un'ipotesi legittima, che invita a una risposta da parte delle autorità religiose». È di ieri, però, una nuova polemica, che contrappone Santa Sede e Israele: un caso diplomatico con al centro la figura di Pio XII, che secondo lo Yad Vashem ebbe un ruolo «ambiguo» e «silente». Che lettura dà della vicenda? «Mi dispiace molto. Per quel che vedo, è un dissidio che non doveva esserci. Da parte del Vaticano vedo un errore di impostazione: non capisco l'opportunità di sollevare un conflitto, un incidente simile. E lo dico da ebreo, avendo su Pio XII posizioni di grandissimo rispetto. E poi, alla Chiesa io devo la vita...». Cioè? «Mio padre fu nascosto e protetto in un convento romano che lo ospitò e lo trasferì sotto il rischio di rastrellamenti nazisti. Io nacqui dopo, e grazie a questa protezione. Tornando a Pio XII, mi pare che - a meno che non ci sia sotto altro - l'incidente sia fuori luogo e dannoso a un cammino di riavvicinamento tra ebrei e cattolici». Non crede che il Museo avrebbe potuto evitare quella didascalia? «Vorrei leggere con attenzione il testo, ma da quanto ho capito mi pare faccia semplicemente riferimento a una figura controversa, il che è un dato di fatto a livello storiografico. Certo, se si parlasse di responsabilità dirette ci sarebbe ragione di scandalizzarsi». Le anticipazioni sui lavori di prossima uscita, frutto di studi sugli archivi tedeschi, sono conferme di quanto l'ex nunzio apostolico in Germania fosse considerato un ostacolo dal Reich... «Ben venga. Sono in attesa di questi lavori, mi auguro che contribuiscano a dissipare ogni ombra. Nel frattempo, mi limito a domandare come mai allo Yad Vashem sia chiesto un atteggiamento che non viene preteso neppure dagli storici cattolici, alcuni dei quali sono tutt'altro che teneri con Pio XII. Spero davvero che il tempo e il lavoro degli storici sanino ogni problema tra Vaticano e Israele». Crede che questi problemi possano aver favorito, in Italia, un rapporto più problematico su alcuni temi? Per esempio, possono aver portato anche a quel "silenzio" notato da Galli Della Loggia? «Voglio proprio sperare di no. Sono certo che i pronunciamenti rilevanti avvengano perché ci si crede, e non per opportunità politica. Sarebbe a dir poco folle se le istanze etiche fossero coordinate in base ad altri criteri». Proprio ieri il presidente onorario del Comitato di Bioetica Francesco D'Agostino ha paventato «il rischio che nel pdl sul testamento biologico si nasconda l'intenzione d'introdurre forme di eutanasia». Questo terreno può costituire l'occasione per un pronunciamento comune tra cristiani ed ebrei? «Lo auspico, perché concordo con il contenuto della dichiarazione: ebraismo e cristianesimo hanno introdotto la concezione morale nell'Occidente: non manifestare una comune sensibilità su questi temi sarebbe deprimente».
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