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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.04.2007 Prendere in considerazione il piano saudita ? Israele lo sta facendo
un editoriale di Bernard Henry-Levy

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 aprile 2007
Pagina: 36
Autore: Bernard Henry-Levy
Titolo: «La pace da scegliere»
Dal CORRIERE della SERA del 7 aprile 2007:

E' evidente che bisogna prendere «in considerazione» l'iniziativa di pace cosiddetta saudita. E Israele, fra parentesi, non dice nulla di diverso quando, attraverso Shimon Peres, risponde: «A un diktat, no; a una premessa al ritorno dei rifugiati, neanche; ma a una base di discussione, punto di partenza di un negoziato sincero e serio, sì, naturalmente, a questo siamo aperti!». Giorni fa leggevo il libro di Annette Lévy-Willard, Trente-trois jours en été, pubblicato dalle edizioni Laffont, che è la cronaca dell'ultima guerra d'Israele in Libano (contemporaneamente, leggevo il libro di Olivier Rafowicz
Israel-Hezbollah,
edizioni Favre). In questi lavori ci si imbatte in israeliani sfiniti da un conflitto che continuamente finisce e ricomincia, disorientati da una leadership
insufficiente ed essa stessa scombussolata. Si vedono abitanti di Haifa e Kyriat Shmona, città che, sotto il fuoco dei missili sono diventate vere e proprie città-fantasma. S'incontrano membri delle unità d'élite di Tsahal che, al ritorno da operazioni militari, sono inebetiti dalla scoperta della determinazione fredda, senza parole né ragioni, del loro nuovo avversario. Si vede morire, stupidamente, in una guerra voluta da un Partito di Dio il cui unico scopo è, ancora e contrariamente ai palestinesi di una volta, di cancellare dalla carta geografica «l'entità sionista».
Allora, non fosse che per i giovani soldati che anch'io ho visto, nello stesso periodo, tornare da una missione con la certezza che, come diceva Tucidide a proposito dell'Atene di Pericle, nessuno è mai abbastanza forte da essere sicuro d'essere sempre il più forte, sono favorevole a prendere sul serio tutte le iniziative di pace, a cominciare quindi, adesso, da questa iniziativa dell'Arabia saudita.
D ecisamente, a Parigi, lo spirito di clan non muore mai. Ecco che il problema del Darfur è finalmente al centro dell'attualità. Ecco che i militanti della causa del Darfur, dopo tanti anni passati a predicare nel deserto, riescono a farsi ascoltare dal presidente e da coloro che aspirano a succedergli. Ecco nascere fra gli uni e gli altri, alla Mutualité di Parigi, un vero inizio di consenso su un'idea semplicissima: fare pressione sul padrone di Khartum, il generale Al-Bachir, affinché accetti il principio di una forza d'interposizione e di pace che finora egli finge di considerare come un attacco «neocoloniale» alla sovranità del suo Paese. Ebbene, cosa si crede che accada ora? Che la grande famiglia degli amici dei diritti dell'uomo si rallegri di questo passo avanti? Ebbene no. Non precisamente. Qui si dibatte perdendosi in sottigliezze sul numero delle vittime. Là si discute, in maniera teorica, per non dire teologica, sull'opportunità o meno di dare a questa carneficina il nome di genocidio. Altrove, si fanno considerazioni di esperti sulla natura del regime di Khartum e sul fatto che si dovrebbe, per una buona geopolitica, controllarlo meglio. E non parlo dello strano processo fatto a coloro che sono andati sul posto, che testimoniano e ai quali improvvisamente si rimprovera di chiedere ai «Caschi blu provenienti dal Terzo mondo» di andare a «morire al loro posto nel Darfur». Andiamo, compagni, un po' di decenza! Un po' di contegno! L'urgenza è di salvare vite umane. Di unirsi per cercare di bloccare il massacro. Ci sarà sempre tempo, dopo, per tornare alle vostre dispute.
(traduzione di Daniela Maggioni)

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