Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La vittoria politica dell'Iran, la debolezza della Gran Bretagna nella crisi dei marinai britannici sequestrati
Testata:Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera Autore: la redazione - Maurizio Molinari - Fabrizio Rondolino - Guido Olimpio Titolo: «Tehran attacca, bluffa vince Londra umiliata - In onda il volto rassicurante della dittatura - Tony è troppo debole la partita nel golfo l'ha vinta Teheran - Così Siria e Iraq hanno aperto il canale»
Dal FOGLIO del 5 aprile 2007:
Roma. Finale glorioso per il regime. L’annuncio della conclusione del rapimento dei 15 marinai britannici ha avuto un sapore dolce per Mahmoud Ahmadinejad – che prima di salutare di persona i rapiti davanti al palazzo presidenziale di Teheran li ha fatti vestire in completo grigio, come una squadra di calcio – che infatti si è anche potuto permettere di dileggiare Tony Blair. Ancora una volta, il presidente iraniano ha dimostrato che il suo Iran è in grado di dettare l’agenda, di tenere in mano l’iniziativa, di potersi permettere qualsiasi violazione della legalità internazionale e di conservarsi sostanzialmente impunito. Consegnando la medaglia d’oro al comandante dei pasdaran rapitori, prima di annunciare la liberazione, Ahmadinejad ha reso omaggio al nucleo duro della sua leadership politica, rimarcando come grazie anche alla loro duttilità – la rinuncia al processo dei 15 “invasori”– gli estremisti iraniani sono in grado di ottenere eccellenti affermazioni. Anche i suoi acerrimi nemici non hanno potuto fare a meno di ammirare la sua conferenza stampa dai toni magistralmente giocati, revolutionary correct e con finale teatrale davanti a centocinquanta giornalisti da tutto il mondo. Il prezzo che la Gran Bretagna di Tony Blair ha pagato è grande sul piano del prestigio e dei rapporti di forza ed è stato la liberazione di Jalal Sharafi, il “diplomatico” di Teheran arrestato qualche settimana fa in Iraq. E a partire da ieri, dice l’agenzia Irna, un diplomatico iraniano è stato autorizzato a fare visita ai cinque connazionali arrestati a gennaio in un blitz di incursori americani nel consolato dell’Iran a Irbil, nel Kurdistan iracheno, con l’accusa di fare parte delle unità speciali al Quds delle Guardie rivoluzionarie iraniane (anche se ieri il dipartimento di stato ha negato qualsiasi collegamento). Nel complesso, è la prova che l’azione combinata dell’ala realpolitiker degli ayatollah – con Ali Larijani in posizione di primo piano – non tempera affatto le mire eversive dell’ala estremista dei pasdaran e dei fondamentalisti, ma riesce invece a capitalizzare al massimo il dividendo politico delle forzature e delle rotture da loro provocate. Questo è stato negli ultimi due anni anche lo schema del progetto nucleare – con Larijani che sfruttava al massimo le divisioni del fronte occidentale e le smarcature, come quella di Putin – e Ahmadinejad, i pasdaran e i generali, che lanciavano la parola d’ordine di “distruggere Israele” e portavano il paese sull’orlo del baratro economico pur di puntare tutto sull’“arma finale”. Identico è stato anche lo schema della gestione del rapimento dei 15 marinai, magistralmente giocato da Larijani, una volta bloccati gli eccessi dei pasdaran, grazie alla piena disponibilità britannica a fermarsi solo un gradino prima della perdita dell’onore. Mentre il presidente iraniano umiliava la Gran Bretagna, il suo complice e alleato, Bashar al Assad, che appena due anni fa era a un passo dall’incriminazione per omicidio, trionfava ieri nella sua Damasco ricevendo l’omaggio di Nancy Pelosi, leader della Camera dei rappresentanti americana. Come Ahmadinejad, Assad ha seguito negli ultimi anni la politica della provocazione, della violenza, dell’illegalità internazionale: i suoi servizi hanno assassinato Rafiq Hariri in Libano, i suoi alleati di Hezbollah hanno rapito soldati israeliani e scatenato una guerra, i suoi killer hanno ucciso Pierre Amine Gemayel e una decina di democratici, paralizzato il governo Siniora,e messo sotto assedio il Parlamento di Beirut.
Da La STAMPA, un'intervista di Maurizio Molinari ad Harlan Ullman, esperto di strategia militare del Centro di studi strategici e internazionali di Washington:
«L’esito della partita degli ostaggi inglesi è un rafforzamento dell’Iran nel Golfo». Guardando le immagini dei soldati britannici rilasciati Harlan Ullman, esperto di strategia militare del Centro di studi strategici e internazionali di Washington, non ha dubbi sulla conclusione del braccio di ferro. Perché ha vinto Teheran? «Ha ottenuto quello che voleva. Con un’azione relativamente minore come il sequestro di due gommoni di soldati ha fatto capire che può essere in grado di tenere in scacco l’Us Navy se dovesse esserci un confronto nel Golfo e dunque ha avvalorato il proprio ruolo di potenza regionale, con la quale tanto i vicini che l’Occidente devono fare i conti. Catturando 15 militari inglesi senza colpo ferire mentre nel Golfo è schierata la più imponente forza navale americana degli ultimi tre anni Teheran ha dimostrato di essere l’unico Paese in grado di bilanciare la presenza Usa». Non crede che anche Blair possa dichiararsi vincitore per aver riottenuto i soldati senza dover ammettere lo sconfinamento? «Downing Street farà di tutto per avvalorare questa lettura ma la verità è che Blair è un premier debole e poco popolare. Blair è riuscito ad evitare il peggio facendo recapitare a Teheran una lettera che impegna Londra ad evitare futuri sconfinamenti ma resta il fatto che l’errore è stato di essersi messi nelle condizioni di avere 15 soldati in mano all’Iran». Come spiega la decisione di Teheran di liberare i soldati senza ricevere in cambio le scuse formali da Londra. È stata una marcia indietro? «Ad imporsi a Teheran non sono stati i pasdaran, come molti suggerivano, ma l’orientamento più realista del Consiglio Supremo della Rivoluzione che ha spinto il presidente Ahmadinejad ad ammorbidire le posizioni e a mostrare pragmatismo, al fine di far apparire l’Iran come una potenza ragionevole, disposta al dialogo anche quando si trova in posizione di forza». Vi saranno conseguenze nel braccio di ferro all’Onu sul dossier nucleare iraniano? «Vi potrebbero essere se la Casa Bianca trarrà le conseguenze di quanto avvenuto, rendendosi conto che a Teheran c’è qualcuno che vuole trattare con la comunità internazionale ed è in grado di esercitare una forte influenza su Ahmadinejad. Vedremo come reagirà la Casa Bianca». Come spiega il fatto che lo scambio di prigionieri fra i militari inglesi ed i 5 pasdaran in mano agli Usa sembra per il momento escluso? Perché Teheran ha rinunciato ad ottenere pasdaran? «È un’ulteriore dimostrazione che il Consiglio Supremo della Rivoluzione è stato in grado di orientare le decisioni di Ahmadinejad. A Teheran chi voleva un casus belli è uscito sconfitto mentre a prevalere è stato il fronte opposto».
Sempre dal quotidiano torinese, un commento di Fabrizio Rondolino:
Il dittatore che concede la grazia al prigioniero è lo stesso che gli infligge la tortura: la sua scelta è improntata all’arbitrio, al capriccio, alla convenienza. Il dittatore «buono», lo sappiamo bene, non può esistere: il suo gesto di generosità non è soltanto una maschera: è una declinazione particolare della sua efferatezza. Il pollice che si alza o si abbassa per decidere della vita del prigioniero è lo stesso pollice. La messinscena mediatica con cui Ahmadinejad ha liberato i marines, non è altro che messinscena: e tuttavia, proprio per questo, non priva di effetti e, forse, di risultati. La dittatura, tradizionalmente, è più arcaica, antica, provinciale della democrazia: il suo sistema di valori è premoderno, affonda le radici in una visione del mondo insieme chiusa e compatta, autarchica e feudale. L’aspetto di Ahmadinejad, da questo punto di vista, è emblematico: la giacchetta da grande magazzino, la camicia di un colore opaco, la pettinatura da ragazzo di una volta sembrano studiate apposta per esprimere e raccontare un mondo lontano nel tempo. Ahmadinejad si veste come forse i nostri nonni, e se non avesse quel sorriso a metà fra il mercante e lo psicopatico, somiglierebbe davvero a loro. Anche l’Est europeo vestiva così, e così, quando non è in divisa, veste Fidel. In questo contesto insieme strapaesano e luciferino, Ahmadinejad ha messo in scena la festa di compleanno di Maometto, liberando gli inglesi come se congedasse un gruppo di studenti che hanno concluso l’Erasmus, e permettendosi anche - dal fondo del suo arcaismo - un rimprovero al governo di Londra, che manda in missione «una madre di famiglia». Intorno al focolare di Ahmadinejad le donne portano il velo e tutt’al più sferruzzano. Il paternalismo untuoso di Ahmadinejad è anch’esso tipico del dittatore: quante foto di Hitler e di Stalin con un bambino in braccio - a volte pare persino si tratti dello stesso bambino - hanno scandito la carriera dei due piccoli padri? È probabile che proprio quest’aspetto - la benevolenza, chiamiamola così - sia il nocciolo del messaggio che Ahmadinejad ha confezionato ieri, consegnandolo in diretta alle tv di tutto il mondo. Nel proporsi come nuovo leader della grande coalizione antioccidentale il dittatore persiano assume dunque l’atteggiamento del padre, che sa esercitare l’arte del perdono tanto quanto può essere inflessibile nel punire e nel reprimere. Ahmadinejad educatore è naturalmente una barzelletta: ma il mondo è pieno di creduloni.
Dal CORRIERE della SERA, l'analisi di Guido Olimpio:
Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha una carta in più rispetto ad altri leader mediorientali. In qualsiasi momento, facendo appello alla sua visione messianica, può giustificare le sue mosse con la «volontà del Profeta». Un po' ci crede, come ci credono molti dei suoi barbuti seguaci. Un po' ci fa, perché gli iraniani sono abili nel mescolare il paziente pragmatismo del bazar, la fede nell'Islam e la Realpolitik. L'annuncio di Ahmadinejad, racchiuso in una cornice mediatica ben costruita, permette di fissare alcune bandierine sulla mappa del Golfo. Segnali di movimenti ancora opachi, tracce di manovre segrete. Il presidente ha negato che vi sia stato uno scambio e ha parlato di dono in omaggio alla nascita del Profeta e alla ricorrenza della Pasqua. In realtà, come hanno confermato fonti diverse, i contatti diplomatici ci sono stati. Londra si sarebbe impegnata con una lettera a non compiere nuove violazioni delle acque iraniane. Il ringraziamento di Blair ad amici e Paesi della regione cela una complessa trattativa. Protagonisti — secondo la rete Sky — il Qatar, sempre più convinto del suo ruolo di mediatore tra Ovest e Islam, e la Siria, spettatrice interessata. Damasco ha un'alleanza tattica con Teheran e vuole preservarla. Al tempo stesso si offre come canale di comunicazione. Anche l'Iraq ha avuto la sua parte. In questi giorni si è sostenuto che 5 ufficiali pasdaran catturati dagli Usa a Erbil fossero loro la moneta di scambio. Washington ha sempre detto no al baratto, però gli iraniani potranno visitarli nella prigione irachena dove sono detenuti. E un altro elemento, catturato in circostanze poco chiare a Bagdad, è stato liberato martedì. Resta invece fitto il mistero dell'ex agente dell'Fbi scomparso durante «un viaggio d'affari» su un'isola iraniana. La velocità con la quale le parti hanno minimizzato il caso invece che far chiarezza aumenta gli interrogativi. La partita è ancora da giocare. Con la presa d'ostaggi, l'Iran ha trasmesso un chiaro messaggio agli occidentali. Se state conducendo una guerra segreta contro i nostri 007, pagherete un prezzo pesante. I 15 prigionieri sono nulla in confronto a quello che potrebbe accadere in futuro. I mullah sono maestri della battaglia delle ombre e gli avversari conoscono i rischi. Teheran ha quindi ribadito che quanto accade nel sud dell'Iraq rientra nella sua sfera di influenza e vuol dimostrare di poter regolare le fiamme della tensione. Intervenendo con le proprie forze, dai pasdaran (come è avvenuto con la cattura degli inglesi) alle unità clandestine Qods. Oppure con l'azione degli amici locali. Uno scenario condiviso dagli esperti americani che avvertono l'importanza del quadrante perché comprende la principale via logistica per il contingente Usa ed è il solo sbocco al mare per l'Iraq. Per giorni gli iraniani hanno «congelato» Ahmadinejad, evitando che prendesse posizioni vincolanti sulla sfida. Ciò ha favorito le speculazioni: a) È d'accordo con i pasdaran, responsabili della cattura dei britannici. b) Si è piegato alle pressioni dei guardiani. c) È coinvolto nella faida contro i pragmatici che gli rimproverano gli eccessi in politica estera. In apparenza il presidente ha sorpreso tutti mostrando un volto umano e magnanimo. Non minacce ma clemenza, senza dimenticare il «valore» della Guardia costiera. Il presidente è uscito dall'angolo riportando un successo grazie a una strategia probabilmente frutto di una mediazione. Non essendosi mai espresso in modo chiaro sul dossier, Ahmadinejad aveva dei margini di manovra e ha scelto la strada più favorevole e non quella — scontata — dello scontro. Si è sottratto a nuove pressioni internazionali, ha soddisfatto l'orgoglio persiano, ha costretto i marinai inglesi ad «ammettere» l'intrusione, ha mostrato ai musulmani come si tiene testa ai Grandi. E si è regalato l'imperdibile occasione della foto ricordo con i marinai. Al posto della mimetica indossavano sobri vestiti, simili alla giacca da venti euro divenuta il simbolo di Ahmadinejad.